Afghanistan: la terra delle donne senza diritti

Reintrodotta la lapidazione per le donne che commettono adulterio

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  Giorgia Milan
  10 aprile 2024
  3 minuti, 26 secondi

In Afghanistan è stata reintrodotta la lapidazione delle donne che commettono adulterio. Dopo l’obbligo del burqa, dopo aver chiuso le scuole e proibito alle donne di andare al lavoro, il regime talebano è riuscito a completare la sua missione principale: eliminare qualsiasi traccia di diritti umani per le donne. Una notizia che le donne afghane hanno sicuramente appreso con orrore, ma nessuna sorpresa. Ormai non si illudono più di poter vivere una vita degna di essere vissuta.

Quella dei talebani è una lotta contro la democrazia e una crociata contro le donne e i loro diritti. “Promettiamo di mantenere un governo moderato”. Le ultime parole famose dei talebani prima del ritiro delle truppe americane. C’è anche chi ci ha persino creduto, dando quindi fiducia a un gruppo estremista che non ha mai dimostrato di voler riconoscere i diritti delle donne. O meglio, non ha mai dimostrato di voler considerare le donne come esseri umani.
Dal 2021 infatti, quando sono tornati al potere, i talebani hanno avuto l’obiettivo di ricreare in tutto e per tutto il regime che avevano instaurato negli anni ’90, imponendo restrizioni sempre più evidenti nei confronti delle donne. La costituzione approvata nel 2004 è stata totalmente svuotata e il Codice penale è stato sostituito da una interpretazione rigida e fondamentalista della Sharia. Dal 2021 sono stati varati 12 decreti volti a limitare l’istruzione delle donne e quasi 18 per limitarne la libertà di movimento.
Siamo nel 2024 e questo processo è giunto a termine: l’istruzione femminile sopra i 12 anni è sospesa, le donne non possono lavorare in luoghi pubblici e privati, non possono viaggiare in auto o aereo se non accompagnate da un parente maschio, non possono visitare luoghi pubblici (parchi, palestre, bagni).

La lapidazione è dunque solo l’ultima delle violazioni ai diritti umani delle donne in Afghanistan. Il diritto iraniano nel capitolo dedicato alla lapidazione (basato sulla Sharia) stabilisce che “le pietre non devono essere così grandi da far morire il condannato al solo lancio di una o due di esse; esse inoltre non devono essere così piccole da non poter essere definite come pietre”. Deve essere un’agonia. Le donne adultere devono soffrire in piazza e fungere da monito ad altre donne. Guai a voi.

Il leader supremo Hibatullah Akhundzada ha affermato che questa potrebbe essere definita una violazione dei diritti delle donne perché in conflitto con i principi democratici emblematici dell’occidente. I diritti che tanto desiderano le donne afghane sono, secondo il leader supremo, contrari alla Sharia. E lui, in qualità di rappresentante di Allah, ha il dovere di rafforzare la Sharia in Afghanistan. Come dargli torto, no?

Qualcuno si potrebbe anche chiedere come sia possibile che si sia arrivati a questo punto. La risposta non è troppo difficile: è facile arrivare a questo punto quando non si ha nessuno a cui rendere conto. Nessuno che li ritenga responsabili degli abusi che commettono da anni. Nessuna condanna, nessuna azione concreta. Solo parole, che poi finiscono nel vuoto.
Ritorno al passato? Assolutamente no. La situazione è peggiore degli anni '90. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno definito la condizione delle donne in Afghanistan apartheid di genere. Non è un reato codificato nel diritto internazionale, ma forse siamo arrivati al momento in cui è necessario muovere qualche passo in tal senso.

È evidente come la comunità internazionale abbia fallito ancora una volta. Le donne afghane sono rimaste ancora una volta da sole, abbandonate da una comunità internazionale che in passato è stata tanto efficiente a parole, molto meno con i fatti. Questa volta però anche le parole mancano. Le violazioni contro le donne afghane continuano e continueranno nel silenzio più totale ed è proprio questa l’arma in più che possiedono i talebani: il nostro silenzio.

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L'Autore

Giorgia Milan

Giorgia Milan, classe 1998, ha conseguito una laurea triennale in “scienze politiche, relazioni internazionali e governo delle amministrazioni”, con una tesi riguardo la condizione femminile in Afghanistan, e successivamente una laurea magistrale in “Human rights and multi-level governance”, con una tesi riguardo la condizione delle donne rifugiate nel contesto dell’attuale guerra Russo-Ucraina, il tutto presso l’Università degli studi di Padova.

I suoi interessi principali sono i diritti umani, in particolare i diritti delle donne. È proprio il forte interesse per questi temi che l’ha spinta a intraprendere un tirocinio universitario presso il Centro Donna di Padova, durante il quale ha avuto la possibilità di approcciarsi al mondo della scrittura e della creazione di contenuti riguardanti la violenza di genere e le discriminazioni.

In Mondo Internazionale Post Giorgia Milan è un'autrice per l'area tematica di Diritti Umani.

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Diritti Umani

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Afghanistan Diritti delle donne lapidazione