Brexit: dove siamo rimasti?

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  Redazione
  01 settembre 2023
  9 minuti, 43 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Nel Regno Unito, il popolo britannico è sempre più scontento per gli effetti negativi secondari alla fuoriuscita dall’Unione Europea. I cittadini manifestano spesso per quello che non esitano a definire costantemente come un sonoro autogol. Cresce l’avversione verso il partito conservatore che ha sempre sostenuto e lodato la brexit. L’uscita dall’UE, invece, ha dimostrato che ne sono conseguiti solo danni sia all’economia che alle famiglie.

La Brexit è iniziata formalmente nel febbraio 2020, circa 27 anni dopo l’ingresso del Regno Unito nell’Unione Europea e poco meno di quattro anni dopo che il referendum aveva attribuito una maggioranza minima (51,9%) ai “Leavers”, una cifra che scende al 37,4% se si considerano tutti gli elettori registrati.

Le ragioni della brexit

La Brexit è avvenuta perché gli elettori britannici avevano tre preoccupazioni significative.

In primis, non volevano fare parte dell’Eurozona, ovvero il complesso degli Stati membri dell'Unione Europea che adottano l'euro come valuta ufficiale, e rinunciare nel contempo all’indipendenza monetaria. Di converso, paventavano, in contraddizione con se stessi, che rimanere esterni all’ambito dell’Eurozona avrebbe indebolito sensibilmente il proprio peso politico a Bruxelles. A latere la paura si estendeva anche alla possibilità di dover subire misure del tutto indesiderate relative al sistema bancario, emanate dalla Banca Centrale Europea (BCE).

In secundis, erano progressivamente preoccupati per le eventuali dinamiche in uso nella complessa gestione interna delle istituzioni comunitarie, ovvero la evoluzione dell’iniziale e fondante progetto europeo finalizzato a facilitare il libero scambio e la libera circolazione sia dei capitali che dei lavoratori.

Il modello così temuto era immaginato come una sorta di “superstato” soggetto in gran parte ad una pianificazione tecnocratica interamente gestita da un potere sovranazionale in mano ad una burocrazia potente, arrogante e costosa (la Gran Bretagna era un contribuente netto al bilancio dell’UE) come quella della UE.

L’ultimo ma non il meno importante, l'illusione dell’opinione pubblica britannica è stata in buona parte convinta dall'ipotesi (realistica visto ciò che sta accadendo) che le politiche di Bruxelles avrebbero potuto favorire l’immigrazione illimitata verso il Regno Unito da migranti provenienti da tutto il mondo.

Pensieri magici e speranze mal riposte

In opposizione ai “leavers”, tra le argomentazioni principali, spiccavano quelle inerenti alla questione economica, avanzate dai “remainers”.

Essi continuano a sostenere che l’allentamento dei vincoli con la CEE avrebbero fatalmente determinato un danno sensibile sia agli scambi commerciali che all’ammontare degli investimenti. Oltre che porsi in una condizione di maggiore fragilità sul piano dei rapporti internazionali e nella finanza globale.

Ancora, i Remainers preannunciavano, storicamente risultando a ragione, che il Regno Unito non avrebbe avuto le giuste risorse per compensare i numerosi benefici che sarebbero stati perduti e derivanti, invece, da una più stretta integrazione economica europea con legami più saldi e vantaggiosi con gli Stati Uniti, la Cina e gli ex paesi del Commonwealth. Detto in sintesi, che ne sarebbero derivati una minore crescita economica e un minore ruolo geopolitico.

Ciò che poi è realmente successo.

I dati e gli avvenimenti che succeduti alla brexit danno ragione un po’ ad entrambi.

Negli ultimi tre anni, il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) reale ha goduto di un aumento di circa il 30% nel Regno Unito e del 21% nell’UE (durante la ripresa economica post-Covid-19), per poi appiattirsi in entrambi i paesi.

Secondo una precisa analisi e rapporto, eseguiti dal Fondo Monetario internazionale (FMI) dell’aprile 2023, il PIL nei prossimi cinque anni dovrebbe essere più o meno stagnante sia nel Regno Unito che nell’UE.

Sotto questo profilo, i Leavers avevano ragione nel sostenere che la Brexit non avrebbe determinato un forte danno all’economia del Regno Unito. D’altro canto, i Remainers sostenevano che lasciare l’UE non avrebbe comunque realizzato il sogno di una Gran Bretagna più ricca e potente.

I fiaschi politici

Parallelismi simili si potrebbero applicare alla politica monetaria.

Dopo la Brexit, la Banca d’Inghilterra (BoE) e la BCE si sono entrambe impegnate in estese manipolazioni riguardanti i tassi di interesse e le politiche monetarie non esattamente ortodosse, svolgendo al contempo un (a volte) deplorevole lavoro di monitoraggio dei vari settori bancari.

Se si deve giudicare dall’attuale tasso di inflazione nel Regno Unito (10,1% a marzo 2023), la BoE ha ottenuto risultati peggiori della BCE. In parole povere, la Brexit non ha avuto alcun impatto politico positivo ed il settore bancario è rimasto fragile su entrambe le sponde della Manica.

Le condizioni per le imprese commerciali ed industriale sono peggiorate

Secondo l'indice per ciascun paese, la dimensione del governo è stata un fattore significativo nel caso del Regno Unito.

Il rapporto debito/PIL di UK è superiore al 100% con la spesa pubblica che continua a crescere (ora è superiore al 46% del PIL) e il deficit di bilancio previsto per l’anno fiscale 2022-23 è un preoccupante 6% (la cifra dell’UE è di circa il 3,5%). .

Proprio come temevano i sostenitori del Remain, la Brexit non ha migliorato la qualità del processo decisionale, non è riuscita a rafforzare le condizioni delle finanze pubbliche del Regno Unito e ha avuto un impatto trascurabile sulla produttività.

Alla fine dello scorso anno, la produttività del Paese era superiore di meno del 2% rispetto al 2018 e al 2019 (il dato dell’UE era simile).

La Brexit avrebbe potuto essere una mossa vincente invece che un fiasco se avesse portato a una situazione economica migliore rispetto a quella prevista dal quadro dell’UE.

Invece tutto è rimasto “as usual”, come dicono loro. Il governo di Liz Truss tentò di modificare la situazione, rimediando un memorabile fallimento.

I critici hanno lamentato l'incapacità della Truss di spiegare come avrebbe riequilibrato il bilancio con entrate fiscali significativamente inferiori, come deliberate dal suo governo. Ma, la maggior parte dei cittadini non era disposta ad accettare un governo così superficiale e una spesa pubblica inutilmente ridotta.

Il primo ministro, Rishi Sunak, tuttora fervente sostenitore della Brexit, ma non altrettanto sostenitore del libero mercato, appartiene al campo del business-as-usual, che gli è valso la sua attuale posizione attendista.

Nessun ritorno all’ovile dell’UE

L'approccio del leader attuale Sunak è una buona guida per immaginare il futuro dell'economia britannica. A tratti, egli ha dimostrato di essere l’alfiere di una evoluta scuola di pensiero economica.

Come la maggior parte dei suoi colleghi europei, è consapevole che l'economia nazionale è in difficoltà, ne descrive prontamente i sintomi (istruzione carente, insufficiente produttività e scarsi investimenti) e conclude che la soluzione dovrebbe provenire da migliori politiche governative.

Non sorprende che “meno governo” non faccia parte del programma del primo ministro. Invece la sua strategia sembra essere: non fare nulla, aumentare la spesa pubblica se possibile e incrociare le dita per il resto della giornata. Decisamente poco.

I leavers sostengono che, sotto alcuni aspetti, la Brexit avrebbe avuto alcune opportunità positive ma gli inglesi non sono stati disposti a sfruttarla.

Questo atteggiamento, che oggi appare molto di maniera, frutto di una certa ostinazione tutta britannica, non sta dando i suoi frutti in termini di sondaggi elettorali i quali evidenziano che il 58% dei britannici ritiene che le condizioni economiche peggioreranno nei prossimi 12 mesi. Inoltre, il sostegno al Partito conservatore si è ripreso dopo il disastro economico del passato governo di Liz Truss (in carica nel settembre-ottobre 2022), ma che in termini assoluti è ancora in ribasso rispetto ai mesi precedenti il ​​governo Truss e ancora più indietro rispetto ai livelli del 2021.

Inoltre, solamente il 15% degli inglesi è soddisfatto di come l’attuale governo gestisce l’economia. Anche la popolarità del primo ministro Sunak, sul quale aleggiava un certo ottimismo al suo esordio, viene giudicato deludente: risulta che il 45% dei britannici ha un'opinione negativa su di lui. A confronto col 29% di coloro che hanno un'opinione favorevole.

Sembra che molti pensassero che la parola stessa – Brexit – avrebbe fatto una sorta di magia. Infatti, se le elezioni si svolgessero oggi, i perdenti sarebbero tutti i governi post-Brexit insieme al Primo Ministro Sunak.

Forse, all’inizio, molti cittadini inglesi pensavano che la parola brexit fosse una sorta di panacea incantata capace di risolvere tutti i mali.

Ma in una visione più ampia e documentata degli avvenimenti successivi, nel giugno 2016, quando gli inglesi votarono a favore della Brexit, molti erano altresì consapevoli che la loro economia non era nelle migliori condizioni.

Tuttavia, hanno ugualmente preferito dare la colpa all’UE piuttosto che alla propria classe politica dirigente. Ad esempio, tuttora molti elettori attribuiscono ordinariamente solo a Bruxelles le gravi carenze del servizio sanitario nazionale britannico. Un ulteriore pensiero dello stesso segno viene similmente applicato all’immigrazione illegale, un problema ad alto effetto emotivo nell’elettorato britannico.

I risultati

Dunque, sia i Leavers che i Remainers si sbagliavano, sempre e comunque.

La qualità delle politiche di Bruxelles è obiettivamente perfetta – anche in Italia ne sappiamo qualcosa - ma la semplice sostituzione dei tecnocrati europei con la pubblica amministrazione britannica non ha verosimilmente cambiato alcunché delle cose.

Il tentativo dello sciagurato governo Truss di vedere le cose in modo diverso venne fermato dall'establishment politico del paese con brutale e bruciante rapidità, quasi all'unanimità.

Scenari

Al giorno d’oggi, la maggioranza del pubblico britannico sembra rimpiangere la Brexit.

Alla fine di febbraio 2023, un sondaggio di “YouGov” ha indicato che il 53% della popolazione credeva che il Regno Unito avesse sbagliato a lasciare la UE, mentre il 32% continuava a sostenere tale scelta.

Prezzo alto, guadagno minimo

A parte il carattere sciovinista degli inglesi, i loro sentimenti attuali pro-UE oggi non sono guidati dal desiderio di far parte di un grande club nel quale la crescita economica è ancora lenta. Essi sono consapevoli che il processo decisionale centralizzato si afferma ogni giorno nella UE, come ad esempio come è accaduto nella recente legislazione adottata sul cambiamento climatico e la transizione energetica.

Probabilmente, lo status quo prevarrà una volta che i cittadini britannici accetteranno che cosa servirà per rientrare nuovamente e positivamente nell’UE, includendo in ciò, probabilmente, anche l’ingresso nell’eurozona.

Un’altra ragione importante è che Bruxelles probabilmente non è ansiosa di discutere di un nuovo matrimonio con l’esigente (e forse sleale) partner britannico.

Inoltre, creerebbe nuove tensioni con i paesi candidati in fila e causerebbe disordini tra i dipendenti dell’UE che avrebbero bisogno di tornare a casa per fare spazio ai nuovi arrivati ​​dall’altra parte della Manica.

Avere un budget più ampio e un maggiore peso geopolitico potrebbe non essere sufficiente per far sorridere i tecnocrati dell’UE.



Il percorso con la minor resistenza

La Brexit ha rappresentato un’opportunità unica per coloro che non solo scappano dall’UE ma sono anche desiderosi di dare energia al Regno Unito ripristinando la libertà economica – ovvero una massiccia deregolamentazione, un libero scambio unilaterale e una spesa pubblica molto più bassa – per indicare la strada a un’Europa stagnante.

L’esperimento si è concluso con un fiasco perché la maggior parte delle persone nel Regno Unito incolpava l’UE per le proprie carenze e aveva trovato per questo un comodo, facile (e vano) perenne capro espiatorio.

Tutti i protagonisti ritengono che quella finestra di opportunità sia ancora lì, ma è dubbio che il governo britannico attuale oppure quello futuro la coglieranno, foss’anche di sottecchi.

Di conseguenza, tutto andrà come al solito e l’economia del Regno Unito rimarrà mediocre come nella maggior parte dell’Europa.

Tutto “as usual”, come dicono loro, i figli di Albione.

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