Come stanno gli animali a Chernobyl?

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  Leonardo Di Girolamo
  09 maggio 2023
  10 minuti, 26 secondi

In seguito all’incidente nucleare durante la notte del 26 aprile 1986, la città di Pripjat è divenuta una città fantasma. Le enormi radiazioni fuoriuscite dal reattore n° 4, che ricaddero sulle aree attorno alla centrale, e il conseguente abbandono della quasi totalità dei residenti resero la zona di alienazione un luogo estremamente particolare. Ma quali sono le conseguenze ad oggi sulla fauna? Sorprendentemente, vi sono due narrazioni scientifiche diametralmente opposte: da una parte, c’è chi descrive una situazione terribile per via delle radiazioni; dall’altra, chi racconta di una forte biodiversità, con popolazioni più che sane. Chi ha ragione?

L’egemonia di Møller

Fra il 2000 e il 2015, due ricercatori in particolare sembrano avere una completa egemonia sugli studi della fauna di Chernobyl: Anders P. Møller e il suo collega Mouseeau. Nel 2011, Møller pubblica uno studio sulle rondini a Chernobyl, osservando caratteristiche particolarmente allarmanti: il 40% degli spermi sono sterili, e osserva un sovrannumero di esemplari albini. In un altro studio, si riporta anche come il cervello delle rondini si stia rimpicciolendo, all’incirca del 5%; la popolazione è in declino, e le radiazioni vengono indicate come causa di questo fenomeno.

Nell’anno successivo, Møller e colleghi pubblicano uno studio contando le tracce sulla neve per comprendere quanto siano presenti gli animali, e descrivono una situazione drammatica: Chernobyl si sta svuotando.

Gli articoli di Møller, Mousseau e colleghi hanno un forte riscontro mediatico: tali studi vengono citati spessissimo, talvolta anche dall’opinione pubblica. Questa narrazione piace al pubblico, ma all’interno della letteratura scientifica la situazione è molto meno semplice.

Metodologia scientifica

La narrazione di Møller sembra essere in controtendenza rispetto ad altri studi. Nel 1996, Becker e colleghi pubblicano uno studio, in cui si osserva la microfauna tramite l’utilizzo di fototrappole piazzate in varie zone di Chernobyl. Il risultato è sorprendente: non si notano grandi differenze fra zone distanti dalla centrale e zone vicine ad essa.

Nel 2011, un gruppo di ricerca composto fra gli altri da Jim T. Smith studia la situazione dei macro-invertebrati nei laghi: anche qui, non sembrano esserci sostanziali differenze fra i laghi più contaminati e quelli meno. Anzi, è interessante sottolineare come, nel lago più contaminato, si osserva la maggior ricchezza di biodiversità.

Nonostante due studi già vadano a evidenziare una situazione ben differente da quella descritta da Møller e colleghi, la microfauna e i macro-invertebrati fanno “meno rumore” a livello mediatico.

“Long-term census data reveal abundant wildlife populations at Chernobyl”: pubblicato nell’ottobre del 2015, con ancora una volta Jim T. Smith fra i firmatari, è la pietra tombale sull’egemonia di Møller. Si tratta, ancora una volta, di uno studio sulla neve, per il quale un gruppo di volontari ha percorso centinaia di chilometri di transetti. I risultati sono in netta contrapposizione: si evidenzia la presenza di alci, cervi, caprioli, cinghiali, e lupi, in una densità talvolta anche maggiore a quella delle riserve naturali.

Metodologia molto poco scientifica

La netta contrapposizione con i risultati pubblicati da Møller nel 2012 è evidente, citati e ridimensionati dagli stessi ricercatori: Møller e colleghi hanno percorso solamente 16.1km di transetti da 100 metri (già di per sé, una metodologia discutibile, in quanto camminate talmente brevi non possono permettere una corretta visione d’insieme). D’altro canto, questo studio ha percorso una distanza venti volte superiore, e soprattutto nel giro di tre anni. L’impatto mediatico è immenso, ma le perplessità riguardo gli studi di Møller sono appena incominciate.

Scavando più a fondo, è importante anche sottolineare come nel 2002, la Danish Committees on Scientific Dishonesty ha confermato come Møller avesse parzialmente o completamente modificato dei dati in un suo articolo del 1998.

Nel 2005, il professore dell’Alberta Rich Palmer critica tre paper pubblicati consecutivamente da Møller su un campione pressoché identico: un gruppo di rondini, le cui caratteristiche però tendono a cambiare da uno studio all’altro, evidenziando una possibile tendenza a selezionare un campione via via diverso per dimostrare una data tesi. Un comportamento gravissimo e particolarmente antiscientifico.

Infine, nel 2007, è ancora Jim T. Smith a criticarlo, mostrando enormi incongruenze nelle sue ricerche. Evidenziando elevate anomalie nelle rondini, Møller e colleghi scrivevano che “non è possibile pensate a spiegazioni alternative se non all’esposizione alle radiazioni”. Ma nel 2001, sei anni prima di questa pubblicazione, lo stesso Møller aveva pubblicato uno studio che descriveva una forte correlazione delle rondini con l’agricoltura e con l’allevamento di mucche da latte, scrivendo come un calo di queste pratiche porti ad una diminuzione della popolazione e ad un peggioramento del calo dei nascituri. Esattamente ciò che sta avvenendo alle rondini di Chernobyl, località fantasma e, pertanto, dove l’agricoltura e l’allevamento di mucche sono attività scomparse.

Le opzioni sono due: o Møller ha dimenticato lo studio che lui stesso aveva condotto e pubblicato sei anni prima, oppure ha deliberatamente deciso di ignorarlo per poter pubblicare qualcosa che facesse più “rumore”, più citazioni, più fama.

Quindi, come stanno gli animali a Chernobyl?

Pian piano, il dibattito scientifico è andato a dissiparsi, raggiungendo una conclusione piuttosto corale. Un esempio ne è il paper pubblicato nel 2017 in cui vengono studiate le arvicole per ben cinquanta generazioni: si osserva una grande biodiversità, sinonimo di gruppi ampi e quindi di grande conservazione.

Bisogna sottolineare tuttavia che il tasso di mutazioni è due o tre volte più alto; per quanto possa sembrare un dato allarmante, in realtà è ritenuto quasi un vantaggio a livello di popolazione. A livello individuale, d’altro canto, possono provocare problemi già evidenziati, come sterilità e anomalie varie, tutto sommato logico e comprensibile per via delle radiazioni.

Come abbiamo detto, la zona di alienazione è un luogo estremamente particolare, uno dei più grandi esperimenti di re-wilding di sempre, da cui possiamo apprendere due lezioni fondamentali: da un lato, quanto sia importante per la conservazione della fauna l’istituzione di aree naturali in cui la presenza umana sia minimizzata; dall’altro, che, per gli animali, la continua e persistenza occupazione umana di un territorio sia peggiore di un disastro nucleare.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://journals.plos.org/plos...

https://www.sciencedirect.com/...

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