Giovedì 3 aprile 2025 le dichiarazioni del Presidente venezuelano Nicolás Maduro hanno riacceso la disputa territoriale tra Guyana e Venezuela riguardante la regione dell’Essequibo. A un anno esatto dalla promulgazione della “Legge Organica per la Difesa dell’Essequibo”, decreto atto alla creazione di una amministrazione venezuelana locale, il leader chavista ribadisce la volontà del Venezuela di annettere nel prossimo futuro il territorio conteso.
La regione dell’Essequibo, sia per ragioni sociali storiche ma soprattutto economiche, è un tassello cruciale nella politica estera del regime venezuelano. Il territorio, oltre alle ricche risorse minerarie nel proprio entroterra, possiede un litorale a ridosso del mar dei Caraibi dal valore geostrategico importantissimo, infatti all’interno della Zona Economica Esclusiva relativa alla costa della regione sono presenti abbondanti giacimenti di idrocarburi. Di per sé il territorio di quasi 160.000 chilometri quadrati e meno di 100.000 abitanti non aveva mai destato grande interesse a Caracas, fino appunto alla scoperta delle copiose risorse naturali alla fine del XIXesimo secolo.
Evoluzione delle relazioni diplomatiche relative all’Essequibo.
Nel corso degli ultimi 130 anni le relazioni tra Venezuela e la Guyana Britannica sono state marcate da una serie alternata di tensioni e distensioni sul piano diplomatico. Il primo negoziato fra i due paesi si ebbe a Parigi nel 1899 attraverso la volontà di affidare la risoluzione della controversia ad una Corte composta da cinque giudici: due delegati statunitensi in rappresentanza del Venezuela, due britannici e uno russo in veste neutrale. La sentenza fu ampliamente tesa a favore degli interessi britannici che ottennero la quasi totalità del territorio e il controllo delle principali miniere d’oro. A seguito della morte di Severo Mallet-Prevost, un membro della delegazione USA-Venezuela a Parigi, fu pubblicato un suo memorandum dove si sottolineavano i vizi della decisione giuridica e si indicava la presenza di accordi politici tra il giudice russo e quelli inglesi che rendevano così la decisione della Corte viziata da interessi personali.
Nel corso della seconda metà del XXesimo secolo, dopo una fase iniziale di attenuazione delle tensioni tra i due paesi, gli interessi del Venezuela per il controllo della zona ripresero vigore. Attraverso una denuncia riguardante i fatti di Parigi presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Venezuela ottenne la volontà britannica a trattare. Ciò portò agli accordi di Ginevra del 1966. Il trattato prevedeva l’istituzione di una commissione mista che aveva il compito di trovare una soluzione pacifica e giusta che soddisfacesse entrambe le parti, più semplice da concettualizzare che da realizzare, tant’è che la commissione vide scadere il proprio mandato quadriennale senza progressi significativi. Nel 1970 con il Protocollo di Port of Spain si decise di rinnovare la durata della commissione mista per ulteriori dodici anni in modo da mantenere il lavoro svolto fino ad allora, ma senza molto successo, così nel 1982 il Venezuela decise di non estendere la durata di lavori e di imporre le proprie rivendicazioni in maniera unilaterale.
Con l’ascesa politica del chavismo e la scoperta delle riserve petrolifere a largo della costa essequibana nel 2013, la contesa politica della regione si riaccese, in particolare, le concessioni di Georgetown alla società petrolifera americana ExxonMobil provocarono dure contestazioni da parte di Caracas. La presidenza di Maduro nel corso degli ultimi 10 anni si è focalizzata nella rivendicazione “del ventiquattresimo Stato venezuelano”, arrivando all’emanazione di un referendum consultivo nel dicembre del 2023 dove, secondo i risultati pubblicati dal Governo bolivariano, il 99,89 percento dei cittadini si è espresso positivamente sulla creazione di una gestione locale legata a Caracas, includendo de iure l’Estado de Guyana Esequiba nell’amministrazione federale del Venezuela. Pochi mesi dopo, aprile 2024, Maduro emana un decreto organico approvato all’unanimità dal Parlamento, il quale era volto alla realizzazione del referendum unilaterale di cinque mesi prima.
Panorama regionale attuale e ruolo della politica estera statunitense.
A fine marzo la visita ufficiale del Segretario di Stato Marco Rubio ha causato ulteriori frizioni tra Venezuela e Guyana. Il memorandum firmato il 27 marzo ha rafforzato la collaborazione tra Washington e Georgetown, in particolare nel documento si sottolinea come la lotta al narcotraffico, sfruttamento degli idrocarburi, sviluppo del settore terziario avanzato e soprattutto una intesa militare siano fondamentali per lo sviluppo economico del paese sudamericano e la salvaguardia della sua integrità territoriale. Rubio, rispondendo alle domande dei giornalisti, offre garanzie in caso di un eventuale attacco venezuelano alla Guyana o alla multinazionale americana ExxonMobil, sostenendo che l’intervento della marina USA non sarebbe sicuramente favorevole al regime di Caracas.
In risposta alle dichiarazioni del Segretario di Stato USA, Maduro ha rimarcato come l’impegno del Venezuela nel recuperare l’Essequibo non è diminuito e che le minacce avanzate da Rubio rientrano nel modus operandi delle relazioni internazionali degli Stati Uniti. Inoltre, afferma che l’annessione dell’Essequibo è una questione di tempo, “più vicina che lontana”.
In definitiva, la visita di Rubio ha sottolineato come l’impegno statunitense nella regione, in parte trascurata dalla scorsa amministrazione democratica, sia più vivo che mai. Tra Panama, Venezuela e Messico, è evidente la mano dura che il secondo mandato Trump sta attuando nell’area centroamericana-caraibica, finalizzata a ottenere un allineamento quasi obbligato verso gli interessi statunitensi. D’altra parte, il regime di Maduro risponde a tono, comportamento ormai noto, rimanendo comunque difficile da decifrare, rendendo impossibile se sia pianificata un’azione attiva o meno. Una cosa è certa: un’eventuale azione militare contro la Guyana o le aziende americane che operano nella regione comporterebbe una chiara reazione da parte degli Stati Uniti, il che sarebbe in parte contraddittorio con le politiche statunitensi odierne, che in realtà sono mirate alla risoluzione dei conflitti e non all’aumento degli impegni USA in essi.
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L'Autore
Lucas Martin Torres
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