Fallimento iniziale e nuova direzione: la politica estera europea nel Conflitto israelo-palestinese

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  Alessandro Alloro
  24 novembre 2023
  5 minuti, 11 secondi

All’indomani dell’attacco terroristico delle forze di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso, e dell’escalation che questo ha comportato al conflitto arabo-israeliano, l’Unione Europea ha risposto condannando fermamente il gesto ribadendo il sostegno a Israele, ma sottolineando al contempo l’importanza di rispettare il diritto internazionale nella risposta che lo Stato ebraico ha messo in atto a Gaza. Di fatti, a seguito del vertice europeo straordinario del 17 ottobre il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha dichiarato: "Quando si tagliano le infrastrutture di base, l'accesso all'acqua, all'elettricità e non si permette la consegna di cibo, non si agisce in linea con il diritto internazionale". Anche la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha affermato che la guerra è contro l'organizzazione terroristica di Hamas e che quindi il popolo palestinese non deve pagarne le conseguenze. Pertanto, non vi è alcuna contraddizione nell’essere solidali con Israele e fornire nello stesso tempo i bisogni umanitari fondamentali ai palestinesi.
Questa dichiarazione viene i seguito al dibattito in merito a una possibile sospensione degli aiuti umanitari europei verso i territori palestinesi annunciata dal Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Oliver Várhely, poi smentita dal portavoce capo dell’esecutivo comunitario Eric Mamer. Saranno invece non solo mantenuti, bensì triplicati, da 25 a 75 milioni di euro.

Queste asserzioni avvengono dopo un’iniziale e apparente caos nella politica estera dell’Unione in merito al conflitto in Medio Oriente; infatti, il vertice europeo in cui si è discusso dell'escalation in seguito agli attentati del 7 ottobre si è tenuto soltanto successivamente a una visita della Presidente della Commissione europea in Israele. Visita a cui sono seguite diverse critiche, in quanto sembra aver trasmesso, secondo molti, il messaggio che l’UE avrebbe supportato senza alcuna condizione le strategie messe in essere dal governo Netanyahu, che sappiamo non essere esente da parecchie critiche sia sul piano interno che in correlazione alla gestione del conflitto con la Palestina. Inoltre, nel corso del Consiglio Europeo straordinario anziché di invocare il cessate il fuoco richiesto anche dall’ONU, ci si è appellati ad una semplice pausa umanitaria.

Alla luce di quanto si è detto, la politica estera europea si è dimostrata ancora una volta incapace di rispondere alle maggiori crisi internazionali dei nostri tempi. Questo non si riflette soltanto attraverso le azioni e le dichiarazioni dei principali esponenti delle istituzioni europee, ma anche attraverso atti concreti dei Paesi Membri dell’Unione. Di fatti, nonostante la posizione univoca assunta dai 27 capi di Stato e di governo nel corso del Consiglio europeo straordinario del 17 ottobre, il 26 ottobre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite quattro paesi dell’Unione (Austria, Croazia, Repubblica Ceca e Ungheria) hanno votato contro una risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza, otto hanno votato a favore (Belgio, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna), mentre 15 si sono astenuti (Bulgaria Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Svezia e Romania).

L’unico punto su cui sembra che tutti gli Stati Membri siano in comune accordo è la prospettiva della creazione di due Stati coesistenti, uno arabo palestinese e uno ebraico israeliano, come soluzione al conflitto in Medio Oriente, in linea con quanto proposto dalla Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del novembre 1947. Storicamente, infatti, l’Unione Europea ha da sempre sostenuto la soluzione a due Stati avallata dall’ONU, non mancando di promuovere la nascita di uno stato palestinese indipendente accanto a Israele in numerose occasioni svolgendo attivamente non soltanto un ruolo diplomatico attraverso processi di pace e l’incoraggiamento al dialogo tra i due popoli, ma anche ricorrendo al sostegno finanziario di progetti umanitari all’interno del territorio dell’Autorità Palestinese. Secondo quanto dichiarato dall’ex diplomatico francese Pierre Vimont in merito al conflitto arabo-israeliano: "L'Ue può ancora avere un ruolo, ma ora deve fare i conti con una sorta di handicap nei confronti dei Paesi arabi, e più in generale con molti partner del Sud globale che hanno perso un po' la fiducia nella diplomazia dell'Ue".

Un prima svolta che ha portato a far sentire il peso diplomatico dell’UE nel conflitto arriva tuttavia dopo un mese, tra il 16 e il 17 novembre scorso, con la visita dell’Alto Rappresentata per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in Palestina, visita che risana marginalmente i tentavi di una politica etera europea fallimentare e le parecchie divisioni tra i leader dei 27. Borrell ha difatti ammesso una mea culpa da parte dell’Unione Europea nella gestione del conflitto in Medio Oriente, sottolineando la necessità di una soluzione politica per porre fine al ciclo di violenza, non mancando di condannare anche l’aumento del terrorismo dei coloni israeliani in Cisgiordania. L’Alto Rappresentante ha difatti esortato Israele a confrontarsi con la questione dell'occupazione illegale di questo territorio che rischia di portare a una crescente ostilità del conflitto, estendendolo appunto anche alla Cisgiordania. Al margine dell’incontro con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, Borrell ha presentato un piano europeo che prevede sei condizioni, tra cui tre affermative e tre negative, al conflitto israelo-palestinese. Tra le negazioni, si evidenzia l'opposizione a un'espulsione forzata dei palestinesi, alla riduzione del territorio di Gaza e alla rioccupazione permanente da parte di Israele, sottolineando l'integrazione della questione dei bombardamenti a Gaza con il problema palestinese complessivo. Le affermazioni includono il ritorno di un'autorità palestinese a Gaza, con esplicito riferimento all'Autorità Nazionale Palestinese a Ramallah, il coinvolgimento finanziario e politico degli Stati arabi, e un maggiore impegno dell'UE nella costruzione dello Stato palestinese. Ciononostante, Borrell ha sottolineato come la soluzione dovrà essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” sia a livello finanziario che politico, e di come servirà un "maggiore coinvolgimento dell’UE nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese”. Il piano ha incassato il sostegno dal governo palestinese, riportando in qualche modo l’Unione Europea al suo ruolo di intermediario nel conflitto mediorientale.

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