In questi giorni sta facendo notizia il primo viaggio internazionale del secondo mandato di Donald Trump nei paesi del Golfo Persico (il cui nome verrà cambiato, per volere del Presidente americano, in Golfo d'Arabia, denominazione attualmente usata dalla maggior parte dei paesi arabi). Occorre notare come questo non sia che una ripetizione del primo viaggio all’estero fatto dal Presidente repubblicano durante lo scorso mandato, delineando un’evidente linea direttiva della politica estera trumpiana.
Accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio, Trump è arrivato in Medio Oriente con obiettivi chiari e netti: assicurare accordi commerciali sugli investimenti esteri e sulla cooperazione tecnologica, cercando di smarcarsi dagli ingombranti conflitti regionali, come quello condotto da Israele a Gaza e negli stati attigui o quello che coinvolge gli Houthi in Yemen.
Tra accordi plurimiliardari e aerei in regalo è quindi importate porre attenzione alla politica precedente al viaggio, atta a preparare il terreno per negoziati proficui in un clima di distensione, pur rischiando di indispettire qualcuno.
Ha fin da subito fatto scalpore che tra le tappe del Presidente americano non figurasse Tel Aviv, oltre alla notizia che Pete Hegseth, Segretario della difesa americano, abbia cancellato un viaggio già organizzato verso l’Israele di Netanyahu. Certo la vicinanza dell’amministrazione americana allo stato israeliano non può non avere il suo peso durante i negoziati nel Golfo Persico, in quanto molti paesi arabi sono storicamente opposti ad Israele e hanno apertamente contrastato il progetto di espellere tutti i cittadini palestinesi da Gaza. È naturale pensare che più gli Stati Uniti di Trump si avvicinano ai paesi arabi più si allontanino da Israele, ma i segnali di un raffreddamento tra i due partner storici sono plurimi.
Prima del viaggio Trump ha deciso di dare ascolto alle richieste dell’Arabia Saudita e degli altri paesi del Golfo che chiedevano di raggiungere un accordo nucleare con l’Iran, onde evitare che l’inimicizia con Israele possa portare Netanyahu a bombardare le strutture nucleari iraniane in nome della sicurezza nazionale, scatenando un conflitto regionale.
Così, grazie all’intermediazione del Ministro degli affari esteri dell’Oman Sayyid Badr al-Busaidi, entrambe le parti hanno accettato di incontrarsi nella città di Muscat, dove ha preso vita un quarto round di negoziati sul programma nucleare di Teheran, della durata di tre ore.
L’inviato americano per il Medio Oriente Steve Witkoff ha dichiarato che le discussioni sono state incoraggianti, mentre il Ministro degli affari esteri iraniano Abbas Araghchi le ha definite “difficili ma utili”, più serie e dirette rispetto agli altri round negoziali, nonostante i due paesi non siano ancora perfettamente allineati. Gli americani insistono che l’Iran abbandoni lo sviluppo di un sistema di arricchimento dell’uranio per evitare che possa culminare nella creazione di un’arma nucleare, mentre Teheran nega di avere tali fini e si rifiuta di abbandonare il programma. “L’arricchimento è una questione sulla quale l’Iran non intende cedere e per la quale non c’è spazio per compromessi” ha dichiarato Araghchi, “tuttavia, le sue dimensioni, i livelli o le quantità potrebbero variare temporaneamente per favorire la costruzione di un rapporto di fiducia”.
Nonostante le divergenze, i portavoce americani hanno confermato di aver raggiunto un accordo che permetterebbe di passare a negoziazioni di natura più tecnica e meno politica, mentre la controparte iraniana dichiara che il quinto round negoziale si terrà non appena il leader americano e quello iraniano si saranno incontrati.
La repentina riapertura del dialogo con uno dei rivali storici di Israele non è l’unica direttiva di politica estera americana che potrebbe aver raffreddato i rapporti tra Trump e Netanyahu. Sempre prima di imbarcarsi nell’Air Force One, gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo con la milizia yemenita degli Houthi, che in sostegno ai palestinesi aveva cominciato a bombardare le navi commerciali di passaggio nel Mar Rosso e recentemente a lanciare missili direttamente sul territorio israeliano. Bisogna qui ricordare che Trump aveva dichiarato quella degli Houthi un’organizzazione terroristica durante il primo mandato, designazione poi revocata da Joe Biden e infine riconfermata da Trump appena qualche mese fa, a gennaio 2025. Si tratta dunque di una distensione inaspettata e quanto mai repentina.
Secondo questo accordo, come confermato dall’Oman, mediatore anche in questo caso, i ribelli sostenuti dall’Iran smetteranno di attaccare le navi in transito nel Mar Rosso in cambio dello stop dei bombardamenti statunitensi in Yemen, cominciato questo marzo su ordine di Trump.
Bisogna però sottolineare come un portavoce degli Houthi abbia chiarito che l’accordo non include gli attacchi del gruppo verso lo stato d’Israele, che quindi continueranno nonostante la maggior parte dei missili lanciati dall’inizio del conflitto sia stata intercettata dall’Iron Dome, il sistema antimissilistico israeliano. Ma a scanso di equivoci, il portavoce yemenita ha definito l’accordo una “vittoria che separa il supporto americano dall’entità temporanea (parla qui dello stato di Israele) e un fallimento per Netanyahu”.
Indipendentemente dalle parole degli Houthi, indubbiamente pregne di propaganda, un certo congelamento delle relazioni tra Stati Uniti e Israele sembra evidente. Sembra ad esempio confermato che l’amministrazione di Netanyahu fosse completamente all’oscuro degli accordi americani con Iran e Houthi, dimostrando gli ampi spazi di manovra che Trump sostiene di avere nel difendere gli interessi nazionali americani in politica estera.
Il riavvicinamento del colosso americano ai paesi del Golfo non ha però ancora generato una risposta dura d'Israele, che comunque c’è stata: “se altri si uniscono a noi -i nostri amici americani- meglio” ha giurato Netanyahu in un video postato online, “se non lo fanno, ci difenderemo da soli”. Anche il Ministro della difesa israeliano Israel Katz ha assicurato che “Israele deve essere capace di difendersi da sé contro ogni minaccia e ogni nemico. Così è stato per molte sfide passate e così rimarrà in futuro”.
Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2025
Condividi il post
L'Autore
Lorenzo Graziani
Categorie
Tag
Stati Uniti d'America Trump Netanyahu Israele Golfo persico Iran Yemen Houthi Nucleare