Il conflitto tra Azerbaijan e Armenia

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  Redazione
  13 ottobre 2020
  7 minuti, 39 secondi

A cura di Simona Maria Destro Castaniti

Da alcune settimane sta proseguendo un sanguinoso conflitto armato tra gli Stati dell’Armenia e dell’Azerbaijan, da decenni coinvolti in una feroce lotta che ha come obiettivo principale il territorio del Nagorno-Karabakh, la regione del Caucaso meridionale a maggioranza armena, da sempre contesa tra i due Governi.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (presente nella Regione dal 1992[1]) ha denunciato la piega che il conflitto tra Armenia e Azerbaijan sta prendendo in questi ultimi giorni.

Dopo più di una settimana di combattimenti ora si sta infatti assistendo a bombardamenti sui quartieri residenziali non direttamente coinvolti nel conflitto, che hanno già causato vittime tra la popolazione civile oltre a circa un centinaio di sfollati[2].

Tutto quanto sopra potrebbe (ed effettivamente può, secondo il CICR) costituire una violazione delle norme di diritto internazionale umanitario; tra tutte, le Convenzioni di Ginevra.

Le norme di diritto internazionale umanitario, infatti, disciplinano le situazioni di conflitto armato, regolando la conduzione delle ostilità e la tutela delle vittime. In particolare, è previsto che le persone e i beni non militari non vengano mai colpiti nell’ambito dei conflitti armati, facendo divieto di causare danni sproporzionati tra la popolazione civile. Le norme di riferimento, come si è detto, sono le quattro Convenzioni di Ginevra[3] e i loro Protocolli aggiuntivi.

Nel caso di gravissime violazioni del diritto umanitario, è competente la Corte Penale Internazionale con sede a L’Aja e istituita con lo Statuto di Roma del 1998, e che esercita la propria giurisdizione nei confronti degli individui responsabili dei c.d. crimini di guerra; questi vengono definiti all’art. 8 dello Statuto di Roma, che contempla, da un lato, le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, e dall’altro, “altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali[4].

I bombardamenti, gli spargimenti di sangue, e i ripetuti attacchi alla popolazione civile cui si assiste in questi giorni nella regione del Nagorno-Karabakh potrebbero essere, in futuro, valutati da parte della Corte dell’Aja come crimini di guerra.

L’Armenia e l’Azerbaijan hanno ratificato, entrambi nel 2002, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, con ciò sottoponendosi alla giurisdizione della Corte Europea di Strasburgo, nelle ipotesi di violazione dei diritti riconosciuti e garantiti dalla Convenzione.

E proprio la Corte Europea, in data 29 settembre 2020, dietro la richiesta proveniente dal Governo azero, ha deciso di applicare “ad interim measures”, ai sensi del Regolamento n. 39;[5] in particolare, il Regolamento prevede la possibilità per la Corte di indicare misure provvisorie a qualsiasi Stato membro della Convenzione Europea, in situazioni di carattere eccezionale ed urgente, laddove si presenti un imminente rischio di danno irreparabile[6].

Le decisioni della Corte, in queste ipotesi, sono vincolanti per gli Stati membri, anche sulla base dell’art. 34 della Convenzione, che disciplina il caso dei ricorsi individuali (azionati, quindi, da parte di persone fisiche nei confronti di uno Stato) e che impone che gli Stati membri “si impegnino a non ostacolare l’esercizio di tale diritto”.

La Corte, in particolare, nel suo comunicato del 29 settembre, ha prospettato il serio rischio che il conflitto in atto possa sfociare in gravissime violazioni della Convenzione, in particolare dell’art. 2, che riconosce e tutela il diritto alla vita, e dell’art. 3, che impone il divieto di tortura o di qualsiasi trattamento o pena disumano e degradante.

In realtà, non è la prima volta che i Giudici di Strasburgo si pronunciano sulla tematica del conflitto azero-armeno.

Nei casi, infatti, “Chigarov e al. c. Armenia[7] e “Sargsyan c. Azerbaijan[8], a seguito dell’intervento dei Paesi coinvolti, ex art. 36 della Convenzione (che prevede il diritto dei Paesi membri, anche non parti in causa, di presentare osservazioni per iscritto e di partecipare alle udienze)[9], la CEDU ha confermato l’effettivo esercizio del potere di controllo da parte dell’Armenia sulla regione del Nagorno-Karabakh e sui territori limitrofi, e dunque la violazione da parte del Paese dei criteri di giurisdizione territoriale previsti dalla Convenzione.

Sul versante delle Nazioni Unite, poi, è rimasta disattesa la Risoluzione n. 2532 del Consiglio di Sicurezza, che imponeva un generale cessate il fuoco per tutte le situazioni di conflitto, alla luce del diffondersi della gravissima pandemia da Covid-19[10].

Da un punto di vista storico, la guerra azero–armena ha causato circa 30mila morti alla fine del secolo scorso, quando nel 1992, dopo che il Governo armeno ottenne il controllo sul Nagorno-Karabakh, si è innescata un’ondata di violenza tra i due Paesi.

L’enclave contesa, infatti, ottenne la propria autonomia in epoca Sovietica, autoproclamandosi come Repubblica dell’Artsakh, quindi come Stato indipendente dall’Azerbaijan, sebbene nessun membro delle Nazioni Unite abbia mai proceduto al suo riconoscimento.

Successivamente, dal 1994, i due Paesi si sono impegnati a rispettare un accordo di cessate il fuoco, anche grazie alla mediazione del Gruppo di Minsk, composto da Stati Uniti, Francia e Russia, permettendo una discreta tranquillità nella zona per circa venti anni.

Nell’aprile 2016 tuttavia la regione del Nagorno-Karabakh tornò a essere teatro di cruenti scontri, in quella che passò alla storia come “Guerra dei quattro giorni”, terminata, poi, con un accordo di cessate il fuoco facilitato anche dalla mediazione del Governo russo.

Ebbene, oggi, l’esercito dell’Azerbaijan si sta adoperando per riconquistare quel territorio storicamente conteso, con la proclamazione della legge marziale e la mobilitazione generale[11].

E non è servito a placare gli scontri nemmeno l’appello al cessate il fuoco dello scorso luglio proveniente dai diversi Paesi della Comunità Internazionale, così come l’ammonimento della Corte di Strasburgo, che, come si è visto, ha sottolineato come tutti gli Stati implicati debbano evitare qualsiasi azione che possa comportare una violazione dei diritti civili.

D’altro canto, anche l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell, ha lanciato un appello affinché cessino tutte le ostilità, con il supporto e il controllo del gruppo di Minsk nell’ambito OSCE[12].

Rilevanti, poi, sono le implicazioni geo-politiche del conflitto, in particolare per quanto riguarda i protagonisti indiretti, Russia e Turchia, impegnati in rivendicazioni e sostegni esterni.

Il Presidente turco Erdogan, infatti, si è schierato apertamente al fianco del Governo azero, in nome dell’amicizia che lega i due Paesi, da un lato chiedendo un ritiro delle truppe armene dai territori occupati e, dall’altro, promettendo un intervento militare nella regione, in caso di bisogno[13].

Il Governo di Mosca, al contrario, sostiene l’avversario armeno, auspicando, però, una mediazione tra le due parti in conflitto (e non potrebbe comunque agire diversamente, considerato anche il suo ruolo nel Gruppo di Minsk[14]).

Anche gli altri Paesi della Comunità Internazionale stanno prendendo posizione in relazione al conflitto: il Canada, innanzitutto, ha sospeso l’esportazione di armi verso la Turchia, dopo aver appreso che Ankara rifornisce l’esercito azero[15].

L’appello al cessate il fuoco proviene anche dal nostro Pease: il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, infatti, ha assicurato al Governo azero l’impegno dell’Italia per rilanciare i negoziati in ambito OSCE, per scongiurare l’acuirsi di un conflitto che sfocerebbe, inevitabilmente, in una vera e propria guerra del Caucaso[16].

Fonti consultate per il presente articolo:

[1]ICRC, “Nagorno-Karabakh conflict: Civilians bearing brunt of surge in violence”, 2 ottobre 2020;

[2]Haski P.,La guerra tra l’Armenia e l’Azerbaigian diventa più sanguinosa”, 6 ottobre 2020;

[3] I Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna, Ginevra, 12 agosto 1949; II Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare, Ginevra, 12 agosto 1949; III Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, Ginevra, 12 agosto 1949; IV Convenzione sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra, Ginevra, 12 agosto 1949;

[4] Art. 8, Statuto di Roma (1998)

[5] ECHR 265 (2020) 30.09.2020;

[6] https://www.echr.coe.int/documents/fs_interim_measures_eng.pdf;

[7] ECHR, Application n. 13216/2005;

[8] ECHR, Application n. 40167/2006;

[9] Risini I., “Armenia v Azerbaijan before the European Court of Human Rights”, 1 ottobre 2020;

[10] UNSC, Resolution n. 2532/2020;

[11] Baccini F., “Nagorno-Karabakh, la Commissione UE intima la fine del conflitto nel Caucaso: “No a ingerenze esterne da Turchia e Russia”, 7 ottobre 2020;

[12] EU External Action, “Nagorno Karabakh: Remarks by the High Representative / Vice-President Josep Borrell at the EP plenary debate on the resumption of hostilities between Armenia and Azerbaijan”, 7 ottobre 2020;

[13] Baccini F., “Nagorno-Karabakh, la Commissione UE intima la fine del conflitto nel Caucaso: “No a ingerenze esterne da Turchia e Russia”, 7 ottobre 2020;

[14]Ibid.

[15] Ibid.

[16] Ibid.

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