Il golpe in Niger può scatenare una nuova crisi energetica in Europa?

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  Leonardo Di Girolamo
  18 agosto 2023
  5 minuti, 15 secondi

Il colpo di Stato avvenuto il 26 luglio in Niger sta quotidianamente occupando le principali testate giornalistiche internazionali, tra attori in gioco ancora non chiari e scenari futuri incerti. Uno degli aspetti che preoccupa maggiormente l’opinione pubblica europea è la posizione del Niger sullo scacchiere internazionale, trattandosi di uno dei maggiori produttori di uranio al mondo e territorio di particolare importanza per il settore energetico francese.


Il golpe in breve

Trattandosi di una situazione estremamente complessa e ancora oggetto di analisi, proviamo a riassumere la situazione che ha portato al colpo di stato. Mohamed Bazoum, oramai ex Presidente del Niger, ha ricoperto la carica dal 2 aprile 2021, vincendo al secondo turno con il 55,67% dei voti, mentre era a capo del Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo. Bazoum voleva fortemente staccarsi dall’ombra della guida decennale di Mahamadou Issoufou, tentando di costruire l’immagine di un Niger più sicuro e libero dal pericolo jihadista, soprattutto nel sud-est del paese. È stato proprio questo desiderio a spingerlo a destituire il generale della guardia presidenziale, Abdourahamane Tchiani, incarico già ricoperto sotto la precedente presidenza. 

Tuttavia, il 26 luglio, a pochi giorni di distanza dalla decisione di Bazoum, Tchiani entra a palazzo e prende in ostaggio il Presidente in carica. A dare forza all’intervento di Tchiani sarà l’esercito che, a sorpresa, riprenderà subito il controllo della situazione tramite un colpo di Stato, sostenendo la necessità di “uomini forti” per riportare stabilità nel paese. Il golpe ha di fatto schierato il Niger accanto a Mali, Burkina Faso e Guinea, le quali hanno minacciato ritorsioni in caso di un intervento militare esterno. Ma questo intervento viene invece sbandierato dall’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale), che sotto la presidenza di turno di Bola Tinubu (presidente della Nigeria), ha dichiarato che non avrebbe più perdonato i colpi di Stato. Il sostegno per la posizione dell’ECOWAS è stato espresso da Stati UnitiUnione Europea, mentre pare che il generale nigerino, Modi, abbia richiesto l’intervento del gruppo Wagner qualora i Paesi membri dell’ECOWAS dovessero decidere di intervenire militarmente nella regione.

Perché ci preoccupa così tanto?

Dall’inizio del golpe, il ruolo assunto dal Niger come Paese produttore di uranio è stato sottolineato innumerevoli volte, specie da varie testate giornalistiche che sostengono come questo evento possa portare ad una nuova crisi energetica in Europa, simile a quella scaturita dalla guerra in Ucraina. Ma non è proprio così.

È vero, il Niger è il settimo paese al mondo per la produzione di uranio, ricoprendo circa il 10% della produzione mondiale. Ed è anche vero che l’importanza assunta dal Niger è maggiore per i Paesi europei, dato che il 15% circa del fabbisogno di uranio francese arriva proprio da lì. Così come il Niger fornisce il 25% dell’uranio importato dall’intera Unione Europea. Però, fortunatamente, la situazione non somiglia a quella vissuta con il gas russo.

Per comprendere la differenza fra questa situazione e quella che diversi Paesi europei hanno recentemente affrontato, e stanno ancora affrontando, dobbiamo analizzare tre fattori principali: la reperibilità della materia prima sui mercati, la sua “stoccabilità”, e l’impatto della materia prima sul prezzo finale dell’energia.

La reperibilità

Partiamo innanzitutto con il primo punto: come detto precedentemente, il Niger è il settimo paese al mondo per la produzione di uranio, ossia rappresenta il 25% dell’uranio importato dall’UE. La situazione è ben diversa da quella vissuta con la Russia: la Federazione Russa era al 2021 il secondo Paese al mondo per produzione di gas naturale (dopo gli Stati Uniti) e ne era il più grande esportatore al mondo. Inoltre, il gas naturale russo rappresentava il 45% delle importazioni dell’Unione Europea. Ed è anche importante ricordare come la dipendenza dall’uranio nigerino dei singoli Paesi non sia minimamente comparabile con quella dal gas russo: alcuni paesi ne dipendevano per il 100% (Macedonia del Nord, Bosnia Erzegovina, Moldavia), mentre altri paesi, con economie più vigorose, ne dipendevano comunque per una fetta maggioritaria (Germania 49%, Italia 46%).


La “stoccabilità”

Un altro fattore importante da considerare è la capacità di stoccaggio delle due materie prime: mentre le scorte di gas erano poche per garantire la stabilità dei processi produttivi per un periodo di tempo sufficiente a trovare nuovi accordi con altri Paesi esportatori, l’uranio è facilmente immagazzinabile, e deve esserlo per natura. Il Niger esporta uranio grezzo, che deve subire diverse fasi di lavorazione: prima deve essere raffinato in “yellowcake”, poi in esafluoruro, successivamente deve essere arricchito, convertito in diossido di uranio e, infine, sintetizzato in pellet, ossia ciò che va dentro i reattori nucleari. 

Questi processi richiedono del tempo: difatti, l’uranio grezzo acquistato oggi finirà nei reattori europei solamente fra diversi anni. Di conseguenza, Paesi come la Francia hanno già molte scorte di uranio per il futuro. Questo rende estremamente meno probabile il rischio di un’emergenza per carenza di materie prime, visto che i Paesi europei importatori di uranio avranno ora tempo per rinegoziare i loro attuali accordi o per trovare nuovi Paesi esportatori.


L'impatto sul prezzo finale

Infine, il terzo fattore da tenere in considerazione è l’impatto della materia prima sul prezzo finale dell’energia. Per quanto riguarda l’energia nucleare, il costo del “combustibile” influenza il 34% del prezzo al kWh, ma in realtà il costo dell’uranio grezzo ammonta solo al 6% del prezzo finale. Anche se dovesse verificarsi un’impennata dei prezzi, ciò avrebbe difficilmente un impatto importante sul mercato dell’energia. D’altra parte, nella crisi legata al gas russo, questo pesava l’80% del prezzo finale al kWh: è facile intuire, quindi, come l’impennata dei prezzi del gas abbia avuto un impatto quasi 1:1 sul mercato.


Quindi…?

In conclusione, il golpe in Niger può scatenare una nuova crisi energetica in Europa? Anche se non è mai possibile escludere tale eventualità al 100%, possiamo tranquillizzarci: le probabilità sono molto basse e non ci sono al momento gli elementi per temere una nuova impennata dei prezzi dell’energia. Un po’ perché l’Europa è stata più cauta nel differenziare meglio i propri fornitori di materie prime rispetto a quanto fatto con il gas russo, un po’ perché l’energia nucleare è ancora una volta più “sicura” di altre.


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Fonti di riferimento per il presente articolo:

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