Pupi Avati, maestro indiscusso del cinema gotico, torna con il suo quarantatreesimo lungometraggio, L’Orto Americano, un'opera che incarna perfettamente il "gotico padano", un sottogenere che il regista ha esplorato con maestria nel corso della sua carriera. Il film, che mescola lirismo e horror, porta lo spettatore in un mondo dove il confine tra sogno e realtà è sempre più labile, un universo in cui la follia, la morte e l’amore irrintracciabile si intrecciano in modo inquietante e onirico.
Ambientato nell’Italia del 1945, L’Orto Americano segue un giovane aspirante scrittore, interpretato da Filippo Scotti, che, dopo essersi innamorato perdutamente di Barbara, una giovane ausiliaria dell'esercito americano, si ritrova coinvolto in un mistero che lo porterà prima in America e poi di nuovo in Italia. La scomparsa della donna, dopo aver ricevuto una lettera di matrimonio, diventa l’inizio di un viaggio che si trasforma in una spirale di tensione e angoscia, in cui il protagonista scopre verità inquietanti che si intrecciano con la follia di chi lo circonda. Un ritrovamento macabro, una teca contenente un oggetto misterioso nell’orto della casa di una vicina, dà il via a un'indagine sempre più enigmatica, che spinge il giovane protagonista a confrontarsi con la sua psiche e con le inquietanti realtà che emergono dal passato.
Facendo un passo indietro, con L’Orto Americano, Avati torna a esplorare le radici del "gotico padano", uno dei (sotto)genere che ha definito la sua filmografia, richiamando luoghi e atmosfere che i suoi fan riconosceranno immediatamente: le campagne emiliane e le località che hanno fatto da sfondo a film come La casa dalle finestre che ridono e Il signor Diavolo. Questo ritorno alle origini non è solo una nostalgia per luoghi familiari, ma un invito a rivisitare temi ricorrenti nel cinema di Avati, come il culto dei morti e la follia come dimensione parallela della realtà. La scelta di girare il film in bianco e nero è una delle novità più significative dell’opera, conferendo alla pellicola un tono espressionista e surreale che accentua l’atmosfera sospesa e inquietante.
La fotografia di Cesare Bastelli, con i suoi giochi di luce e ombra, cattura l’essenza della provincia, ricreando un paesaggio silenzioso e solitario, perfetto per il mistero che si sviluppa nel film. Ogni scena, immersa nella nebbia e nel gelo, diventa un riflesso della solitudine del protagonista e dell’oscurità che lo avvolge.
Nel raccontare il processo creativo dietro il film, Avati ha spiegato come la sua scrittura sia sempre stata alimentata dalla presenza dei "morti", figure che lo accompagnano nel suo lavoro. Prima di scrivere, il regista si posiziona vicino alle foto dei suoi defunti, un atto che per lui non è solo una forma di nostalgia, ma una connessione con il passato che diventa fondamentale per la sua arte.
Questo legame con il mondo dei morti pervade anche L’Orto Americano, dove la morte e la follia sono sempre presenti, come due forze che influenzano il protagonista e le sue azioni. Il regista ha descritto il film come un thriller gotico immerso nella Storia, ma con un forte sfondo soprannaturale, in cui il giovane scrittore protagonista si trova a dialogare con i suoi defunti, cercando di superare il silenzio degli editori e le delusioni personali attraverso la scrittura. La sua ricerca dell’amore impossibile e la sua indagine sul mistero che avvolge Barbara diventano il motore di un racconto che è al contempo una riflessione sulla solitudine, sul desiderio e sulla morte.
L’Orto Americano è una delle opere più intime e personali di Avati, che, con la sua straordinaria sensibilità, riesce a trasportare il pubblico in un viaggio psicologico e sensoriale che mescola horror, dramma psicologico e poesia.
Il film è il risultato di una vita dedicata al cinema, e il regista ha dichiarato che, per lui, L’Orto Americano rappresenta finalmente il raggiungimento di un sogno: fare "cinema" come lo ha sempre immaginato, un cinema che si nutre di immagini potenti e simboliche, realizzato a 85 anni, dopo più di cinquanta film. Questo film è un’autentica rivelazione visiva, capace di riscrivere la realtà e di trasformarla in un'esperienza cinematografica che sfida ogni convenzione.
La collaborazione con il cast, tra cui spiccano attori come Roberto De Francesco, Massimo Bonetti, Andrea Roncato e Rita Tushingham, ha arricchito ulteriormente il progetto, creando un ambiente di lavoro basato sulla fiducia e sul dialogo.
Filippo Scotti, protagonista del film, e già protagonista di è stata la mano di Dio, ha descritto l’esperienza sul set come un percorso di scoperta reciproca, un’opportunità di crescita professionale e personale. Le riprese in location suggestive, come l’ Iowa, con il freddo e la neve che hanno intensificato l’atmosfera, hanno contribuito a rendere l’esperienza ancora più immersiva.
Con L’Orto Americano, Pupi Avati ha creato un film che non è solo una narrazione, ma un’esperienza visiva che mescola tensione, spiritualità e bellezza. Un'opera che, pur nella sua inquietudine e nel suo potenziale disorientamento per lo spettatore, è destinata a diventare un classico del cinema italiano. Un film che riscrive la realtà, trasformandola in una visione allucinatoria e collettiva che lascia un segno profondo nel cuore dello spettatore.
L’ho recuperato tardi, ma è ora di farlo tutti!
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L'Autore
Jacopo Cantoni
Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.
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