Iran e Arabia Saudita: due attori per la supremazia nella regione

  Articoli (Articles)
  Redazione
  12 giugno 2024
  8 minuti, 48 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Nell’ampio teatro conflittuale mediorientale, la contesa tra la Repubblica dell’Iran e la monarchia dell’Arabia Saudita ha rivestito un ruolo da protagonista in quasi tutte le questioni conflittuali regionali, andando in contrasto con le alleanze internazionali già stipulate e sostenendo con finanziamenti e armamenti numerosi conflitti armati in tutta la regione mediorientale, sollevando ogni volta non poche apprensioni di un eventuale allargamento del conflitto in forma diretta tra le potenze maggiori.

Nel frattempo, come si sta verificando in questi giorni, non è in alcun modo sopita la disputa territoriale a lungo latente tra Israele e Palestina che periodicamente divampa e sta tuttora furoreggiando a Gaza.

Ora entrambe le parti, Iran e Arabia Saudita, sembrano cercare una via diplomatica che sani il conflitto, avendo recentemente concordato di normalizzare le reciproche relazioni, nel contesto di una riduzione delle tensioni in tutta la regione. L'Arabia Saudita ha intensificato il suo avventurismo regionale dopo che Mohammed bin Salman, il potente figlio di re Salman noto come MBS, è stato nominato principe ereditario nel 2017.

Dalla guerra civile siriana alla guerra guidata dai sauditi nello Yemen, ciò ha significato la nascita di “conflitti per procura” con regimi sostenuti politicamente e finanziariamente dall'Iran e sostegni di vario tipo a gruppi armati non statali che in diverse occasioni si sono avvicinati pericolosamente alle ostilità dirette tra i due rivali. Un attacco missilistico di precisione e di droni sugli impianti petroliferi sauditi nel 2019 è stato ampiamente attribuito all'Iran. E l'approccio conflittuale dell'amministrazione Trump a Teheran ha portato gli Stati Uniti e l'Iran sull'orlo della guerra nel gennaio 2020, con implicazioni secondarie e dirette per Riyadh.

Il presidente USA, Joe Biden, si è ora impegnato diplomaticamente con l'Iran con l’intento di rilanciare l'accordo nucleare multilaterale del 2015 dal quale la precedente amministrazione Trump si era ritirata. Sebbene questi colloqui siano ora in una fase abbastanza torbida, coincidono però con attività specifiche più ampie in tutto il Medio Oriente per ricucire tutti quei legami che erano stati sfilacciati negli ultimi tempi nelle varie arene di conflitto in questa vasta area geografica.

I diritti umani

Biden ha anche promesso di fare del rispetto dei diritti umani un pilastro centrale della sua politica estera. Le potenziali implicazioni per i partner statunitensi in Medio Oriente, in particolare l'Arabia Saudita, sono significative, anche se fino ad oggi Biden non ha cambiato radicalmente le politiche di Washington nella regione. L'anno scorso ha persino visitato il regno saudita e incontrato MBS, nonostante avesse promesso di rendere l'Arabia Saudita uno stato paria, nel tentativo di radunare i partner del Golfo dalla parte degli Stati Uniti nel suo braccio di ferro con la Russia sulla guerra in Ucraina. Ma le tensioni sono aumentate ancora una volta sull'allineamento di Riyad con Mosca al fine di mantenere alti i prezzi globali del petrolio, nonostante le pressioni di Washington per calmierarli aumentando la sua estrazione.

Nonostante un recente cessate il fuoco, ormai scaduto, la guerra civile in corso nello Yemen è destinata a continuare ed alimentare una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. La guerra civile siriana, attiva da 12 anni, è ora entrata in una fase finale prolungata che, sebbene meno sanguinosa, rimane altrettanto volatile e pertanto inconsistente sotto il profilo della politica internazionale. La Libia ha vissuto una positiva tregua nella sua guerra civile da quando è stato attuato un cessate il fuoco nell'ottobre 2020 e un governo di transizione nominato nel marzo 2021, ma la sua transizione politica alle elezioni ha ora raggiunto un'impasse sempre più tesa e incerta. Come soggetto politico conta ancora poco.

L'assenza di combattimenti in questi paesi non garantisce in alcun modo l'instaurazione di una pace duratura.

Nel frattempo, il più recente round di combattimenti tra Israele e le fazioni palestinesi a Gaza – decisamente il più intenso dal 2014 – serve a ricordare che il conflitto tra Israele e Palestina non può essere semplicemente desiderato esclusivamente dalle potenze regionali e dagli Stati Uniti.

E Israele che c’entra?

Come ogni altra problematica nella regione, questo conflitto è rimasto impigliato nella più ampia lotta di potere tra Arabia Saudita e Iran, con i leader alleati sauditi disposti a rimanere in silenzio sulla questione palestinese in cambio del sostegno israeliano nel contenere l'Iran.

Gli accordi di normalizzazione diplomatica mediati dagli Stati Uniti che Israele ha firmato negli ultimi mesi dell'amministrazione Trump con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein hanno semplicemente formalizzato un riallineamento strategico che fino ad allora era stato tutto tranne che un segreto. Ora, la domanda cruciale è se l'Arabia Saudita seguirà lo stesso esempio. Ma la normalizzazione con Israele in assenza di una soluzione definitiva del conflitto israelo-palestinese non sembra più una posizione sostenibile come prima del ritorno del primo ministro Benjamin Netanyahu, a capo dell’attuale governo che include partiti di estrema destra, certi come sono di alienarsi in questo modo i nuovi partner di Israele nel Golfo Persico.

L'amministrazione Biden riorienterà significativamente la politica internazionale degli Stati Uniti in Medio Oriente e quali conseguenze avrà nella regione?

Il primo passo verso l'impegno diplomatico riuscirà a contenere i vari e complessi conflitti vigenti del Medio Oriente? La composizione del nuovo governo israeliano collocherà il conflitto israelo-palestinese in cima alla lista delle priorità per Washington e nelle capitali regionali?

La pace tra israeliani e palestinesi non è ancora inserita in un’agenda

Il 75° anniversario della fondazione dello stato di Israele e della Nakba palestinese, è arrivato in un momento in cui le prospettive di pace sono decisamente scarse. Sia Israele che la Palestina affrontano sfide politiche interne mentre la violenza pressoché quotidiana continua ad essere punteggiata da periodiche esplosioni di combattimenti a fuoco più pesanti e letali. Con i cinque giorni di intensi scontri a maggio del 2023 tra Israele e il gruppo militante della Jihad islamica a Gaza che ne sono l'ultimo esempio.

Politica interna e politica estera in Medio Oriente

La situazione politica in Medio Oriente appare ancora (e come sempre) in evoluzione. Le proteste di massa del 2019 hanno estromesso un leader di lunga data in Algeria e hanno scosso i governi in Libano e Iraq, scatenando speculazioni su una nuova primavera araba (come nel 2019) e precedendo di poco la pandemia di coronavirus che ha posto fine a quei movimenti popolari più o meno spontanei.

Inizialmente, la pandemia ha generato anche un calo dei prezzi globali dell'energia che ha ulteriormente minato la sostenibilità dei modelli di reddito basati sul petrolio di molti Stati del Golfo, sebbene in tempi successivi la guerra in Ucraina abbia causato un nuovo quanto forte aumento degli stessi prezzi. Nel frattempo, le potenze regionali stanno approfittando della grande competizione tra superpotenze per poter opportunisticamente diversificare il loro portafoglio di partenariati politico-economici internazionali.

Il ruolo della diplomazia regionale

Dopo un periodo di conflitto e crescenti tensioni, le potenze concorrenti e rivali nel Medio Oriente hanno iniziato a impegnarsi diplomaticamente. L'Arabia Saudita e l'Iran hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche, mentre gli Emirati Arabi Uniti si sono impegnati in colloqui con Teheran volti ad allentare le tensioni reciproche. Allo stesso modo, la Turchia ha iniziato un riavvicinamento con l'Egitto che potrebbe portare a una normalizzazione delle relazioni, scongelando anche quelle con gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e Israele.

Politica degli Stati Uniti

La politica mediorientale dell'amministrazione Trump era dominata dal sostegno a Israele e all'Arabia Saudita e dai tentativi di minare le iniziative dell'Iran. Biden ha in gran parte mantenuto una versione moderata di tale approccio, mentre cerca di riaffermare la leadership degli Stati Uniti, in particolare per raccogliere sostegno nel suo braccio di ferro con la Russia. Ma finora i partner regionali di Washington si sono opposti ad allinearsi e una serie di recenti battute d'arresto hanno minato la strategia degli Stati Uniti nella regione.

E il rispetto dei diritti umani ?

Le protezioni dei diritti umani rimangono relativamente fragili in tutta la regione mediorientale, in particolare quando riguarda i dissidenti politici, i diritti delle donne e il rispetto delle comunità minoritarie. In particolare, Iran, Egitto e Arabia Saudita, hanno represso con violenza i gruppi indipendenti della società civile e gli oppositori politici. Più di recente, diversi paesi hanno usato la pandemia di coronavirus come pretesto per limitare o vietare la libera espressione dei movimenti di protesta politica che avevano già fatto cadere il governo in Algeria. Biden non cessa di affermare che farà dei diritti umani una priorità della sua politica estera, potenzialmente creando una resa dei conti con i partner di sicurezza regionali di Washington, ma finora qualsiasi variazione dell’approccio è stata limitata alla sola retorica.

Guerra e conflitti vari

I conflitti mediorientali in corso e la minaccia di nuovi scontri continuano a oscurare la regione, poiché le speranze di soluzioni negoziate alle guerre in Siria e Yemen sono state ripetutamente infrante. Un cessate il fuoco in Libia è stato più efficace nel mettere a tacere le armi per ora, ma la transizione politica del paese è stata deviata e la pace duratura è ancora lontana dall'essere raggiunta e garantita. Nel frattempo, sebbene la sconfitta sul campo di battaglia dei combattenti dell'ISIS abbia ridotto la violenza in Iraq e Siria, ciò non ha significato né comportato la fine del movimento.

Il conflitto israelo-palestinese e le relazioni arabo-israeliane

Il punto di infiammabilità di lunga data e durata del conflitto israelo-palestinese è stato declassato come priorità a Washington e nel Golfo durante la presidenza Trump.

Invece, la partnership strategica di Israele con gli stati arabi del Golfo per contrastare l'Iran è stata formalizzata con l'istituzione di legami diplomatici chiari con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, e con il potenziale raggiungimento di ulteriori accordi futuri di normalizzazione.

L'amministrazione Biden è stata più convenzionale nel suo approccio alla questione, ma finora ciò non ha avuto un impatto significativo. Se i recenti combattimenti tra Israele e palestinesi a Gaza sono indicativi, tuttavia, sperare che il conflitto rimanga semplicemente nel dimenticatoio non è più un'opzione attualmente né pensabile né praticabile.

Il nuovo governo di destra israeliano sotto il premier Netanyahu sta alzando ulteriormente la temperatura della politica nazionale e mediorientale.

Il Medio Oriente è ricco di un gran numero di stati, movimenti e leaders talvolta imprevedibili.

Va da sé che anche di questo si dovrà tenere conto.

Riproduzione Riservata ®

Condividi il post

L'Autore

Redazione

Tag

Iran Arabia Saudita Medio Oriente supremazia energetica USA