La città inclusiva

Come vivere in un posto funzionale per tutt*

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  Redazione
  29 novembre 2021
  4 minuti, 27 secondi

La progettazione di una città deve partire dalla partecipazione di ogni abitante, in special modo dalle donne e da quelle altre soggettività della società, considerate marginali.

Le politiche urbane vengono pensate e realizzate tutt'oggi senza tener conto dell’impatto che le decisioni amministrative hanno sull’utilizzo dello spazio urbano da parte di queste soggettività sopra indicate.

Le grandi città portano i segni delle rivoluzioni industriali degli ultimi secoli e dei fenomeni di gentrificazione più recenti: sono state progettate separando i quartieri delle industrie e delle aziende da quelli residenziali, con un tragitto che favorisce storicamente l'uso della macchina basato sull'idea che fossero soprattutto gli uomini a lavorare. Una struttura, dunque, che non tiene conto di genere, status economico, varietà dei lavori che si svolgono e appartenenza sociale.

È, invece, necessario considerare che il modo di vivere la città e di sentirsi sicur* al suo interno cambia a seconda di questi elementi e della loro intersezione.

Una città inclusiva, accogliente e funzionale per tutt*, deve avere una pianificazione urbana intersezionale e di genere. Ovvero: pensata per le esigenze delle donne e delle minoranze come persone LGBTQ+, migranti, disabili, anzian* e bambin*, flora e fauna.

L’ intersezionalità tiene conto, infatti, dei problemi di genere, ecologici, di classe, di tensione fra il centro e le periferie. Non sempre tutto è valido in maniera mainstream, dipende dagli spazi e dalle persone che ci sono e vivono nella città e nei quartieri.

Punti focali sono:

  • la sicurezza. Una strada è poco sicura per via di tre fattori: le attività che si svolgono, la visibilità e la dimensione sociale, ossia chi le frequenta. Inoltre bisogna distinguere tra la violenza comune (es: rapina) e quella esercitata con occhiate o parole, che impedisce alle donne di godere dello spazio pubblico liberamente. Un problema che riguarda anche le persone LGBTQ+ o nere, vulnerabili alle aggressioni verbali o fisiche a causa di pregiudizi omofobi, transfobici o razzisti.

    Una soluzione potrebbe essere l’aumento dell’illuminazione pubblica e stradale, e la redistribuzione degli esercizi incrementando il numero di negozi e le strade accessibili su due lati per evitare percorsi pedonali senza via d’uscita.

  • Meno rigidità tra la divisione casa-lavoro. Per conciliare meglio lavoro-famiglia e la mobilità di persone con disabilità fisica si potrebbe eliminare la separazione tra zone di lavoro e zone di residenza, aumentare le zone pedonali, avere spazi dedicati ai passeggini e alle carrozzine. Gli stessi appartamenti sono progettati secondo le esigenze familiari o personali per ogni piano dei palazzi, con scale, rampe, ascensori e corridoi larghi, al fine di rendere più fluidi e autonomi gli spostamenti ed incoraggiare le interazioni di vicinato. Lo scopo è di avere una costante interazione con le persone, per poter creare una rete comunicativa. Inoltre, sia il lavoro domestico sia l’assistenza ai bambini, agli anziani e ai disabili, acquisirebbero pari dignità rispetto ad altre attività che oggi vengono considerate prioritarie nell’organizzazione degli spazi urbani.
  • La mobilità: vari studi mostrano che gli uomini ricorrono generalmente all’auto, mentre le donne si spostano più frequentemente a piedi o con i mezzi pubblici. Ciononostante il trasporto urbano non è pensato per loro, visto che le corse si concentrano sulle ore di punta lavorative e trascurano altri momenti della giornata, per esempio quelli in cui è necessario fare la spesa o portare bambin* a scuola o dal* medic*, compiti questi che statisticamente ricadono più frequentemente ancora sulle donne. Per non parlare della carenza di linee notturne, che toglie alle donne che lavorano in orari meno canonici—spesso donne migranti provenienti dalle periferie—il diritto di recarsi sul posto di lavoro in condizioni agevoli e sicure, e a quelle che escono la sera.

    Aumentare rampe sia per le strade sia negli edifici, per permettere una più ampia libertà di movimento e accessibilità a persone in carrozzina.

  • I servizi igienici pubblici: le donne devono andare in bagno più frequentemente, per via dell’uretra più corta, del ciclo mestruale e di altri fattori e in media una donna ci passa tre volte più tempo di un uomo. Ma in un bagno maschile, grazie agli urinali sul muro, è possibile offrire a parità di spazio più postazioni. Una soluzione potrebbero essere i servizi unisex, non solo uniformano i tempi d’attesa ma hanno il vantaggio di garantire alle persone transgender e non binarie—a rischio di aggressioni fisiche o verbali all’interno delle toilette tradizionali—il diritto di andarci in sicurezza.

Una città veramente per tutt*, dunque, deve essere pensata in termini di diversità intersezionale, che consenta il superamento del tradizionale binarismo di genere, e favorisca modelli urbani multi-sessuali, meta-sessuali e la convivenza con specie animali e vegetali.

Questa prospettiva urbanistica oggi è ancora assente nella pianificazione della città.

L’urbanistica non si sostituisce alla necessità di politiche pubbliche che eliminino queste disparità ma, perlomeno una pianificazione intersezionale creerebbe le condizioni ideali per centri abitati inclusivi, che generano benessere per tutte le categorie meno rappresentate.

Vivere in un posto che funziona cambia la vita in maniera totale a chiunque.

A cura di Irene Ghirotto

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