La politica estera degli Emirati Arabi Uniti

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  Michele Magistretti
  12 maggio 2021
  5 minuti, 11 secondi

Nell’ultima decade gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno dato un notevole impulso alla propria proiezione estera. La piccola, ma potente, federazione ha visto aumentare il proprio peso nelle vicende regionali sotto la guida del nuovo ministro della difesa, nonché principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Al comando del giovane ed ambizioso principe, la federazione è riuscita ad elevare la propria posizione internazionale ed a diventare uno dei principali player dei diversi scenari di conflitto che hanno sconvolto la regione negli ultimi dieci anni. Inoltre, gli EAU sono stati il primo Paese arabo a stabilire relazioni diplomatiche con Israele sulla scia degli Accordi di Abramo. Nonostante i due Paesi collaborassero attivamente su vari dossier già da molti anni, la decisione degli Emirati va letta alla luce della volontà di guidare alcuni Paesi arabi nel rafforzamento del proprio asse con la potenza israeliana in funzione anti-iraniana ed anti-turca.

Vediamo quindi come si è sviluppata la politica estera della federazione emiratina ed i suoi recenti sviluppi in seguito al vertice di Al-Ula ed alla precaria ricomposizione dei dissidi interni al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).

Un piccolo ma ambizioso attore regionale

Dallo scoppio delle primavere arabe i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che riunisce tutti i Paesi arabi all’interno della penisola arabica ad esclusione dello Yemen, hanno reagito in modalità differenti al vento di proteste che ha attraversato il mondo arabo. I principali punti di rottura si sono rivelati essere il conflitto siriano ed il sostegno alla Fratellanza Musulmana da parte del Qatar. Dall’inizio dell’embargo, nel 2017, il CCG si è spaccato in due e negli anni successivi si è accentuata la rivalità tra il piccolo emirato e gli altri due grandi attori dell’organizzazione, Arabia Saudita ed Emirati. Inoltre, se per un certo periodo i due Paesi hanno tentato una convergenza ed una cooperazione riguardo i diversi dossier regionali, la piccola federazione si è gradualmente sganciata dal grande ed ingombrante alleato perseguendo una politica estera sempre più indipendente.

Gli Emirati hanno fatto del contrasto all’Islam Politico una delle proprie priorità strategiche. Per questo, negli ultimi anni si sono opposti all’asse Doha-Ankara in ogni scenario di tensione regionale. Abu Dhabi, centro politico-militare della federazione, ha improntato la propria politica estera al fine di contrastare le influenze turche e qatariote lungo la catena di colli di bottiglia che va dallo stretto di Hormuz a quello di Suez. Nel corso degli anni ha stretto una catena di alleanze sempre più forti con i rivali regionali dei propri avversari. Ha sviluppato notevolmente le proprie capacità belliche, anche impegnandosi direttamente nel conflitto yemenita e non ha fatto mancare il proprio sostegno finanziario all’Egitto di Al-Sisi. Ma è anche stato uno dei principali sponsor stranieri, insieme a Mosca e Parigi, del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, principale avversario del governo tripolino sostenuto da Qatar e Turchia. Anche nel mediterraneo orientale ha costruito una rete di alleanze insieme a Grecia e Cipro con l’intento di contrastare la politica revisionista ed espansionista di Ankara.

Sempre con la volontà di stringere alleanze transregionali che bilanciassero quelle dei propri avversari, gli Emirati hanno da alcuni anni approfondito i rapporti con l’India del premier Narendra Modi. I due Paesi hanno sviluppato la propria collaborazione nel settore della difesa e in quello spaziale. Inoltre, Abu Dhabi punta a divenire un hub logistico ed uno dei centri delle reti commerciali regionali.

I recenti sviluppi

A fronte del vertice di Al-Ula, svoltosi all’inizio del 2021, la frattura emersa all’interno del CCG pare in fase di graduale ricomposizione. In particolare, negli ultimi mesi Riad, e di riflesso Il Cairo, sembrano più inclini a percorre la strada della riappacificazione con il Qatar ed il suo alleato turco. Al contrario, Abu Dhabi, pur avendo sostenuto la fine dell’embargo imposto a Doha, sembra invece determinata a continuare il proprio percorso di contrapposizione con gli storici rivali, anche se probabilmente con toni e modalità differenti rispetto al passato.

A dimostrazione di questa volontà è bene menzionare alcune delle recenti mosse portate avanti dalla federazione.

Agli inizi di marzo gli EAU hanno nominato un nuovo rappresentante per il proprio ufficio commerciale nella provincia separatista somala del Somaliland, affacciata sul Golfo di Aden, dove controllano il porto di Berbera. Abu Dhabi sostiene inoltre il Puntland, altra regione separatista in polemica con il governo centrale di Mogadiscio, il quale è sostenuto da Turchia e Qatar. Con questa nuova nomina gli Emirati provano a rafforzare la propria influenza nella regione, dopo aver smantellato la propria base in Eritrea e ritirato i propri militari dallo Yemen. La federazione, infatti, ha ricalibrato le modalità del proprio intervento estero, privilegiando strumenti di soft power.

Inoltre, gli Emirati continuano a sostenere la politica africana del loro alleato europeo, la Francia, sempre nell’ottica di contrasto al terrorismo, all’Islam Politico ed all’influenza turca nella regione del Sahel.

Anche il recente incontro a Pafo, a Cipro, tra i ministri degli esteri ellenico, cipriota, israeliano ed emiratino conferma la volontà di Abu Dhabi di approfondire i legami e la cooperazione strategica per contrastare i tentativi egemonici dei suoi principali rivali, Turchia e Qatar. Gli Emirati sono anche la principale voce interna alla Lega Araba a richiedere la riammissione della Siria di Assad.

Alla luce del recente disgelo tra Doha e Riad, gli emiratini si trovano di fronte alla non facile necessità strategica di non perdere il rapporto con l’alleato saudita. Inoltre, pur condividendo gli stessi timori verso Teheran, i due Paesi in futuro potrebbero sperimentare una nuova fase di competizione economica. L’Arabia Saudita ha avviato, con alcune difficoltà, il proprio processo di diversificazione economica volto a rendere il Paese indipendente dalle rendite petrolifere. Per provare ad avere successo in questa sua iniziativa, Riad proverà a competere con gli EAU nel settore del turismo di lusso e per l’attrazione di capitali e manodopera straniera qualificata.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.mei.edu/publicatio...

https://www.al-monitor.com/ori...

https://www.jpost.com/israel-n...

https://newlinesinstitute.org/...


https://unsplash.com/it/foto/I...

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