La responsabilità dei caschi blu

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  Federico Quagliarini
  29 giugno 2021
  4 minuti, 27 secondi

Le forze di peacekeeping sono state istituite dalle Nazioni Unite nel 1948 e consistono in un corpo militare, fornito dai Paesi membri, che opera in attuazione dell’articolo 42 della carta delle Nazioni Unite. In base a questo articolo infatti “il Consiglio di Sicurezza […] può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”; azioni che, intuitivamente, risultano maggiormente efficaci nel caso in cui le Nazioni Unite dispongano di un corpo militare.

Il presupposto dell’azione dei caschi blu (chiamati così per via del colore dell’elmetto che indossano) è l’articolo 39 della Carta dell’ONU, ovvero nel caso in cui “Il Consiglio di Sicurezza accerta lesistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace”. Dalla loro nascita a oggi hanno contribuito volontariamente oltre 130 Paesi membri, offrendo personale militare e di polizia civile. Attualmente esistono 12 missioni dei caschi blu in tutti il mondo – 6 in Africa, 5 in Asia e una in Europa – e svolgono funzioni legate alla sicurezza dei civili.

Nel corso della storia si sono distinte tre principali generazioni nelle operazioni di peacekeeping: la prima iniziata con l’operazione UNEF I a seguito della crisi di Suez del 1956, la quale consisteva fondamentalmente nel rispetto del cessate il fuoco” tra due nazioni in conflitto. Successivamente si ha assistito a una seconda fase dove i contingenti dell’ONU hanno cominciato a fornire assistenza ai civili – ad esempio nel caso di aiuti umanitari o nella protezione dei rifugiati. Da ultima, invece, come terza generazione si è affermata la cosiddetta peace enforcement, cioè il raggiungimento della pace tramite l’uso della guerra a cui è ascrivibile l’operazione UNPROFOR a inizio anni Novanta nei Balcani.

Il problema sottostante la responsabilità

Il principale problema relativo alla responsabilità riguarda la natura stessa dei caschi blu, i quali sono contingenti inviati volontariamente ai Paesi membri dell’ONU. Di conseguenza si pone un quesito fondamentale, ovvero se la responsabilità risulti in capo al Paese che ha fornito il personale militare o alle Nazioni Unite intese come organizzazione internazionale.

Anzitutto si deve considerare l’immunità di cui godono i membri delle forze dell’ONU in quanto funzionari di un’organizzazione internazionale, in quanto soggetto di diritto internazionale.

A questo deve poi aggiungersi, in ragione del loro regime “ibrido”, che la responsabilità risulterebbe in capo a entrambe le parti, cioè sia allo Stato di provenienza dei militari che all’ONU. Non a caso le azioni legali legate a presunti illeciti delle forze di peacekeeping vengono spesso istruite nelle Corti dei Paesi d’origine dei contingenti.

Il massacro di Srebrenica

Il caso più celebre di responsabilità delle forze di peacekeeping riguarda il massacro dell’estate del 1995 avvenuto in Bosnia, a Srebrenica, durante il conflitto nella ex Jugoslavia. Un contingente delle Nazioni Unite inviato dai Paesi Bassi aveva il compito di proteggere un campo profughi di bosniaci musulmani, in quanto perseguitati dalla forze serbo-bosniache. La mancata protezione dei caschi blu nei loro confronti portò a un massacro che costò la vita a oltre diecimila musulmani della Bosnia.

Nel 2019 la Corte Suprema olandese ha confermato le sentenze di primo e secondo grado che avevano riconosciuto il governo olandese come solo responsabile del massacro (e non le Nazioni Unite). Interessante notare come la Corte Suprema olandese, al fine di attribuire la responsabilità del contingente ai Paesi Bassi, riprenda il progetto sulla responsabilità degli Stati del 2001 (approvato dalla commissione di diritto internazionali delle Nazioni Unite) e non quello sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, il cui relatore è il giudice italiano Giorgio Gaia.

In particolar modo la Corte fa leva sull’art. 8 del progetto, il quale afferma che “il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato un atto di uno Stato ai sensi del diritto internazionale se la persona o il gruppo di persone di fatto agiscono su istruzione, o sotto la direzione o il controllo di quello Stato nel porre in essere quel comportamento”.

Di conseguenza, secondo la Corte il contingente dei caschi blu avrebbe agito sotto diretto controllo del governo di Amsterdam e non sotto la direzione delle Nazioni Unite.

La questione della ”due diligence”

Un primo tentativo di riforma riguarda la condizione della due diligence alla quale le forze delle Nazioni Unite devono sottostare.

Questo tentativo nasce dall’accordo tra l’Unione Europea e le Nazioni Unite del settembre 2020 e nel quale viene individuata una vera e propria due diligence policy, alla quale i contingenti devono attenersi.

Tuttavia, rimangono ancora in sospeso numerose questioni, in particolar modo la riparazione dei danni a seguito di violazioni dei diritti umani da parte dei caschi blu, i cui rimedi al momento non sono previsti dagli stessi trattati sui diritti umani, poiché l’ONU non è parte di essi.

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L'Autore

Federico Quagliarini

Classe 1994, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Milano, Federico Quagliarini è al contempo vice-direttore di Mondo Internazionale POST nonché caporedattore per l'area Società.

Da sempre appassionato di politica e relazioni internazionali, in Mondo Internazionale si occupa principalmente di questioni legali soprattutto inerenti al diritto internazionale.

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