La svolta in Emilia-Romagna: una delibera regionale stabilisce i tempi per il suicidio medico assistito

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  Laura Rodriguez
  15 febbraio 2024
  4 minuti, 28 secondi

Dopo il fallito tentativo del Veneto, è l’Emilia-Romagna la prima regione a introdurre delle linee guida che prevedono una tempistica precisa per poter ricorrere alla morte assistita. Con una delibera della giunta regionale, il governatore Stefano Bonaccini ha dato applicazione alla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale, con la quale il suicidio assistito è stato dichiarato una pratica legale in Italia (solo in presenza di determinate condizioni), nonché un diritto inviolabile del cittadino. A oggi, tuttavia, manca ancora una legge nazionale che regoli le modalità di accesso alla pratica.

Ciononostante, la sentenza della Corte Costituzionale identifica quattro requisiti da soddisfare, contemporaneamente, per poter accedere alla morte assistita: il malato deve essere nella condizione di poter prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetto da una patologia irreversibile che, altro requisito, gli/le causi sofferenze (fisiche o psicologiche) ritenute intollerabili e, infine, essere in vita solo e grazie a trattamenti “di sostegno vitale”. Ne sono un esempio i respiratori meccanici o altri trattamenti sanitari che prevedono, per esempio, l’assunzione di determinate medicine e che, se interrotti, possono causare la morte del paziente.

Differenza tra eutanasia e suicidio assistito

Al contrario di quello che verrebbe istintivamente da pensare, il suicidio medicalmente assistito non corrisponde all’eutanasia (pratica che, a oggi, costituisce un reato in Italia). Con il primo si intende, infatti, l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico attraverso l’autosomministrazione di dosi letali di uno o più farmaci da parte di un individuo, mentre l’eutanasia ha un significato ben più profondo. La “buona morte” (significato letterale del termine che deriva dal greco eu-thanatos) consiste nell’atto di procurare intenzionalmente la morte di una persona, che lo richieda esplicitamente.

Pur condividendo la volontarietà del paziente e l’esito finale della procedura, esistono almeno due differenze sostanziali tra le pratiche:

  1. L’eutanasia non richiede una partecipazione attiva del soggetto mentre, al contrario, il suicidio assistito prevede che la persona malata assuma in modo indipendente il farmaco.
  2. L’eutanasia necessita di un’azione diretta da parte del medico che, generalmente, somministra il farmaco per via endovenosa, mentre la morte assistita prevede che il paziente assuma in maniera autonoma il farmaco precedentemente preparato dal sanitario in questione.


Le tempistiche

42 giorni per morire: questo è il periodo di tempo massimo che potrà intercorrere tra la richiesta del paziente di ricorrere al suicidio assistito e la sua effettiva esecuzione. La delibera della giunta regionale non gode di certo del potere vincolante di una legge, ma rappresenta comunque un importante strumento di garanzia per tutte quelle persone che scelgano di voler porre fine alle proprie sofferenze. Il vuoto normativo tuttora esistente ha infatti causato non pochi problemi nel corso degli anni, molti dei quali hanno portato a reclami e procedimenti di fronte a un giudice.

Il primo passo prevede che l’interessato invii una richiesta alla direzione sanitaria locale (ASL) di competenza con tanto di allegati che contengano tutta la documentazione considerata necessaria per poter valutare il caso. Generalmente, si tratta di una domanda motivata che può essere presentata per iscritto, videoregistrata o, nel caso di persone affette da disabilità, attraverso gli specifici dispositivi attraverso i quali il malato comunica abitualmente.

Una volta ricevuto questo documento, l’ASL ha tre giorni per trasmetterlo alla Commissione di valutazione Area Vasta, un organo tecnico-scientifico presente nella regione incaricato di assistere le varie aziende sanitarie nella gestione dei farmaci. Spetta proprio alla Commissione svolgere la prima (o più di una, in caso sia necessario) visita al paziente che servirà per valutare i requisiti richiesti dalla sentenza della Corte costituzionale. In questo caso, il termine previsto per esprimere un parere al riguardo è di venti giorni. Queste prime tempistiche, già di per sé, consentono di evitare, come accaduto finora, che l'azienda locale sanitaria respinga le richieste senza verificare prima in alcun modo le condizioni del/della paziente in questione, data l’assenza di norme vincolanti. È stato questo il caso di Daniela, la prima persona ad aver avanzato una domanda di morte assistita e che, prima di morire a causa del tumore incurabile di cui soffriva, aveva fatto ricorso contro l’ASL che si era rifiutata di verificare la presenza, o assenza, dei requisiti richiesti e le aveva negato qualsiasi possibilità di trattamento.

A questo punto le regole stabiliscono che la Commissione presenti il proprio parere al COREC (Comitato regionale per l’etica nella clinica), un comitato etico territoriale, il quale ha a disposizione altri sette giorni per esprimere a sua volta un parere e riferirlo poi alla Commissione stessa.

È infine la Commissione l’organo incaricato di redigere la relazione finale sul caso e trasmetterla, assieme al parere del COREC e non oltre cinque giorni, al paziente o a un suo delegato che, in caso di una decisione contraria, avrà a disposizione le motivazioni per cui la richiesta è stata respinta.

Nel caso in cui la richiesta venga invece accolta, spetta poi all’azienda sanitaria locale trovare il personale adatto e fornire la prestazione dei servizi previsti nella relazione della Commissione, garantendo l’avvio della procedura e quindi il ricorso al suicidio assistito entro sette giorni.

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L'Autore

Laura Rodriguez

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Diritti Umani

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Suicidio assistito Eutanasia medicare corte costituzionale