Le api e il loro sviluppo sostenibile

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  Redazione
  14 agosto 2020
  6 minuti, 8 secondi

A cura di Valeriana Savino

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n°15 propone di proteggere, ripristinare e migliorare l’ecosistema naturale. Salvaguardare gli ecosistemi è infatti fondamentale per un’agricoltura resistente e produttiva e per ridurre la povertà.

Le api e gli altri insetti impollinatori giocano in ciò un ruolo essenziale. Per lo più conosciute per la loro operosità e per la produzione di miele, le api svolgono in realtà un lavoro vitale per la Terra: un terzo del nostro cibo dipende infatti dalla loro opera di impollinazione, e rappresentano dunque degli ottimi bio-indicatori. Se questi preziosi insetti sparissero, le conseguenze sulla produzione alimentare sarebbero devastanti; chi impollinerebbe le coltivazioni? Sebbene vi sia un metodo artificiale, si tratta di una pratica lenta e soprattutto costosa: basti pensare che il valore di questo servizio, offerto gratuitamente dalle api di tutto il mondo, è stimato in circa 265 miliardi di euro annui.

L’impollinazione delle api è un servizio irrinunciabile per l'ecosistema, in assenza del quale perderemmo la biodiversità, mettendo a rischio la sicurezza alimentare e la varietà di cibi locali che portiamo sulle nostre tavole. L’impollinazione, processo che mobilita i gameti maschili (polline) per far sì che raggiungano quelli femminili, è quindi alla base della biodiversità vegetale. Qualche specie può ricorrere all’autoimpollinazione passiva, ma si tratta di un meccanismo poco diffuso nel mondo delle piante (anche se è tipico di specie importanti per l’uomo come il grano e la soia). Molto più spesso avviene la cosiddetta impollinazione incrociata: il polline passa da una pianta all’altra trasportato da un vettore, che si tratti di acqua, vento o animali. Le api sono gli impollinatori più importanti, tanto da essere considerate la chiave di volta degli ecosistemi, sia naturali che agricoli. L’impollinazione tramite acqua (idrofila) è infatti poco diffusa (propria per lo più di alcune piante acquatiche come l’Elodea); quella tramite vento è tipica delle gimnosperme (seppur anche di angiosperme, come il castagno o il mais). L’impollinazione tramite animali (zoofila) è invece la più diffusa tra le angiosperme, con gli insetti che occupano con più successo la nicchia ecologica degli impollinatori. Circa il 75% di essi è costituito da specie di api, di cui si contano circa 15mila specie al mondo. Una di esse è l’ape domestica (Apis mellifera), produttrice di miele, mentre le altre sono conosciute collettivamente come “api selvatiche”. In termini zoologici si tratta di insetti dell’ordine degli imenotteri, appartenenti alla super-famiglia degli apoidei. Tra essi, l’ape probabilmente più famosa dopo quella da miele è il bombo (gen. Bombus), un’ape di cui esistono 266 specie diverse (di cui 43 in Italia) quasi tutte organizzate in colonie e caste. Molte api sono però solitarie, come quelle dei generi Osmia, Antophora, Halictus, Xylocopa.

Naturalmente l’impollinazione non è fatta solo da api. Efficaci impollinatori sono i ditteri (mosche, soprattutto quelle della vasta famiglia dei sirfidi) e in seconda battuta i lepidotteri (farfalle e le falene), seguiti da qualche famiglia di coleotteri. L’impollinazione dovuta a uccelli, rettili e pipistrelli è considerata infine minoritaria.

L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) stima che le api contribuiscano alla sopravvivenza dell’80% delle specie vegetali globali. Con l’impollinazione esse forniscono un servizio ecosistemico stimato in 22 miliardi di euro all’anno in Europa e di 153 miliardi di euro all’anno in tutto il mondo. La biodiversità vegetale da loro garantita, infatti, influenza significativamente anche la nostra alimentazione. In termini di volumi di produzione agricola globale, circa un terzo del cibo umano (35%) proviene da colture che dipendono da animali impollinatori. Il 70% delle 124 colture principali coltivate per il consumo umano globale, sia per la produzione di semi che per la qualità e le rese dei prodotti, ha infatti bisogno di insetti.

Dalla fine degli anni ’90, molti apicoltori (soprattutto in Europa e Nord America) hanno iniziato a segnalare un’anomala e repentina diminuzione nelle colonie di api. Questo calo è senza dubbio il prodotto di molteplici fattori, che agiscono singolarmente o in combinazione fra loro. Fra i più importanti l’uso di pesticidi, la perdita di habitat naturali, malattie e parassiti e i cambiamenti climatici.

Nel 2002 l’Almond Board of California rese noto il drastico calo della produzione californiana di mandorle, dipendenti dalle api. Nel giro di pochi anni, per salvare il raccolto, lo Stato dovette importare colonie di api domestiche dall’Australia ed il Governo americano decise di stanziare 89 milioni di dollari (Pollinator Act) per risolvere il problema. Trovate numerose altre evidenze di morie di api, nel 2007 cominciò ad essere adottato dalla comunità scientifica un nuovo termine: Colony Collapse Disorder (CCD), sindrome dalle cause sconosciute. Fino a poco tempo fa il dibattito verteva solo sul declino dell’ape domestica, la specie più osservabile in quanto allevata. Nel 2014 è stata pubblicata la Lista rossa delle api per l’Europa, dove sono elencate tutte le specie del continente e il loro livello di vulnerabilità secondo le ultime evidenze scientifiche. La lista riporta 1.965 specie diverse di api. Il 9,2% di esse è minacciato direttamente di estinzione e un’ulteriore 5,2% è vicino a diventarlo. Questi dati, già preoccupanti, potrebbero essere sottostimati: per più della metà delle specie di api europee (56,7%) non si hanno infatti sufficienti informazioni.

Si ritiene che il declino di api domestiche e selvatiche abbia una molteplicità di cause, diverse da luogo a luogo. I fattori vanno dall’inquinamento alla scarsa biodiversità ambientale imputabile all’uso delle monocolture in agricoltura – che elimina le fonti di cibo per gli insetti – fino allo sviluppo urbano e ai cambiamenti climatici che possono agire sullo sviluppo dei fiori o sulla presenza di virus, batteri e altri patogeni per le api. Un ruolo hanno avuto anche l’invasione delle specie esotiche, come ad esempio il calabrone asiatico (Vespa velutina), recentemente arrivato in Europa e in Italia che si nutre di api domestiche. Fondamentale anche l’uso dei pesticidi, sintetizzati per uccidere insetti dannosi per l’agricoltura ma che agiscono ugualmente su quelli utili. La cronaca e le associazioni di apicoltori hanno messo spesso sul banco degli imputati i pesticidi neonicotinoidi che possono produrre effetti sulle capacità cognitive delle api anche a dosi sub-letali, inferiori cioè alle concentrazioni che uccidono gli insetti. I tre pesticidi appena messi al bando appartengono a questa classe.

La salute delle api dipende dalla conservazione degli ecosistemi naturali. La loro tutela è quindi implicita in una serie di convenzioni internazionali come quella di Berna del 1979 (conservazione dei biotopi) o quella sulla biodiversità del 1992 che ha generato strategie locali come la EU biodiversity strategy. Recentemente si è cominciato a produrre documenti più specifici sulla tutela impollinatori: nel 2012 è stata fondata l’IPBES, una struttura intergovernativa con sede a Bonn dedicata alla biodiversità, che produce report sull’impollinazione. Nel dicembre 2016 durante la Conferenza delle parti per la Biodiversità (COP 13 a Cancun, Messico) dieci paesi dell’Unione Europea ed altri Stati hanno firmato la Declaration on the Coalition of the Willing on Pollinators, a cui l'Italia non ha partecipato. L'anno successivo la Commissione Europea ha poi pubblicato una tabella di marcia che definisce gli obiettivi della cosiddetta EU Pollinators Initiative. In questo contesto l’Institute for European Environmental Policy ha appena pubblicato le strategie adottate localmente dai paesi europei firmatari della Coalition of the Willing.

https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/Dossier-biodiversit%C3%A0-a-rischio-2019.pdf

http://www.fao.org/news/story/it/item/1181477/icode/

https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/Dossier-biodiversit%C3%A0-a-rischio-2019.pdf

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