Le implicazioni globali della sentenza CEDU e le sfide per i diritti umani nell'era dei cambiamenti climatici.

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  Ludovica Raiola
  17 aprile 2024
  4 minuti, 6 secondi

La Svizzera è colpevole di non aver assunto politiche di governo abbastanza efficaci per contrastare la crisi climatica. Questa la decisione, definita storica, della Corte europea per i diritti umani (CEDU) sul caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland, una causa climatica lanciata dall’associazione elvetica Senior Women for Climate Protection Switzerland e da altri singoli querelanti contro lo Stato svizzero.

L’associazione "Anziane per il clima", impegnata a salvaguardare i propri diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita e alla salute, ha intentato una causa contro il proprio Stato, la Svizzera, per non aver adottato le misure necessarie a contenere il riscaldamento globale. Quest’ultimo provoca dei picchi di calore sempre più frequenti e intensi, che mettono a rischio soprattutto la salute e la vita delle donne anziane, come confermato dai rapporti e dagli studi dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) nonché dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche (ASSM).

Per la prima volta un tribunale si è espresso sostenendo esplicitamente il diritto alla protezione del clima, riscontrando una violazione dell’art.8 CEDU, in merito al diritto alla vita privata e familiare, e l’art. 6, che stabilisce il diritto alla giustizia, e ordinando alla Svizzera di agire immediatamente per tutelare i diritti umani dei suoi cittadini, adottando leggi e provvedimenti amministrativi volti a prevenire un aumento della temperatura globale superiore a 1,5 gradi e stabilendo obiettivi tangibili per la riduzione delle emissioni. Difatti, nell’ordinamento giuridico il diritto alla protezione climatica è piuttosto controverso, in quanto risulta complesso trovare una definizione giuridica globale da cui far discendere un quadro di norme.

Nonostante ciò, è certo che la decisione della Corte segni un importante precedente per le controversie sul clima a livello globale, in quanto i cittadini di tutti gli Stati del Consiglio d’Europa potrebbero sollecitare questi ultimi a rivedere, e, se necessario, a rafforzare la loro politica climatica sulla base dei principi sviluppati dalla CEDU stessa per salvaguardare i diritti umani. Questa deliberazione, inoltre, ha aperto la strada alle KlimaSeniorinnen per presentare le loro ragioni anche davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, dove, all’inizio del prossimo anno, si terranno delle udienze sugli obblighi di equità e giustizia climatica per tutti i governi.

La sentenza pone l’attenzione su un argomento fondamentale, ovvero la relazione tra i diritti umani e l’ambiente. Milioni di persone, infatti, soffrono per gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, e lo si può vedere in molti casi, dalla deforestazione e inquinamento dell’acqua nelle Filippine a causa delle attività minerarie, all’inquinamento atmosferico e idrico in Cina che ha causato un peggioramento della salute della popolazione, e ancora dalle inondazioni in Pakistan fino alla siccità in Madagascar che ha lasciato circa un milione di persone in una condizione di malnutrizione a causa di un accesso molto limitato al cibo. Secondo il Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), le emissioni globali di gas serra raggiungeranno il picco entro il 2025 e, per poter avere ancora la situazione sotto controllo, dovrebbero essere ridotte de 43% entro il 2030. Sempre secondo l’IPCC, oltre il 40% della popolazione mondiale vive in contesti di “estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici”, individuando ben 127 rischi che riguardano gli insediamenti, le infrastrutture, l’economia, le strutture sociali e culturali, la sicurezza idrica e alimentare, la salute e il benessere degli individui, gli sfollamenti e le migrazioni. 

In merito alle migrazioni, la Banca Mondiale, come riportato nel Rapporto Groundswell, si aspetta, a causa dei cambiamenti climatici, un flusso migratorio internamente ai propri paesi pari a circa 215 milioni di persone entro il 2050. Uno scenario del genere scatenerebbe una serie di situazioni minacciose per i diritti umani, come dinamiche di schiavitù, tortura, fame, sfruttamento sessuale e altre forme di abusi, come anche confermato dalle recenti analisi Climate-induced migration and modern slavery, un rapporto dove per la prima volta si delinea un legame tra migrazione causata dal clima e lesione dei diritti umani attraverso la schiavitù moderna.

In questa sfera di incertezza, trovare una soluzione, che vede un inizio nella sentenza della CEDU, è fondamentale anche per difendere i diritti culturali, soprattutto per i popoli indigeni, i quali hanno un legame diretto con l’ambiente in cui vivono, dal momento che per loro la natura non rappresenta solo un accesso alle risorse necessarie per vivere, ma parte integrante della loro cultura e identità.

La sentenza CEDU, dunque, può contribuire a reinstaurare una coscienza globale degli Stati, volta ad attuare un’azione immediata e concreta per contrastare le cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici, anche attraverso i diritti umani, i quali possono essere intesi come salvaguardie sociali e ambientali per l’azione climatica.

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Ludovica Raiola

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Diritti Umani

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