L'Ucraina di domani passa da Berlino

Conclusa a Berlino la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina

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  Federico Cortese
  12 giugno 2024
  4 minuti, 29 secondi

A Berlino è terminata la conferenza multilaterale sulla ripresa e la ricostruzione dell’Ucraina, in programma dal 10 al 12 giugno. Un’organizzazione condivisa e presieduta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz e dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Presenti capi di Stato e di governo, rappresentanti delle istituzioni europee, ministri degli esteri e organizzazioni finanziarie.

È il primo summit sulla ripresa dell’Ucraina convocato in uno Stato membro, che segue le esperienze di Lugano 2022 e Londra 2023, mentre l’anno prossimo avrà luogo in Italia.

Protagonista del forum è stata la ricostruzione di città in macerie e individui distrutti, anche se i leader hanno dovuto concentrarsi sulle impellenti necessità della guerra di oggi.

Davanti ai 450 miliardi di dollari stimati dalla Banca mondiale e dalle Nazioni Unite per riparare ai danni subiti, è emersa la necessità di programmare piani di riconversione dell’industria bellica in industria di pace e definizione degli investimenti nazionali ed esteri in nuovi settori dell’economia.

Aprendo i lavori, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è tornata sulle priorità fissate durante la conferenza del 2023, quando si impegnò a “trasferire all’Ucraina i proventi dei beni russi immobilizzati, che ora stiamo facendo, in linea con il diritto internazionale, e garantendo nel contempo, la stabilità dei mercati finanziari”, spiega la presidente, perché a breve “dagli extra-profitti saranno disponibili a luglio circa 1,5 miliardi di euro. Il 90% di questi fondi andrà alla difesa, 10% alla ricostruzione e questo mese arriveranno 1,9 miliardi di euro dal Fondo UE per l’Ucraina”. Cifre che verrebbero scongelate dai conti correnti bloccati degli oligarchi russi e dal sistema bancario della Federazione, ma comunque basse se si valuta la destinazione quasi totale al comparto difesa e una minima parte per la ricostruzione, che adesso sembra lontana, visto che sul campo la situazione non si sblocca, con una preponderante avanzata dei russi a Kharkiv.

Ma gettare le basi per un futuro che presto o tardi arriverà è di primo piano, perché almeno UE e Stati Uniti faranno la loro parte. “Voglio annunciare un nuovo pacchetto da 140 milioni di euro per interventi sulle infrastrutture, ferrovie, salute, agricoltura e lo sminamento. È l’ultima decisione del governo, e ci sono anche 45 milioni per la ricostruzione di Odessa”, ha spiegato durante il forum il ministro degli affari esteri Antonio Tajani, forte del recente successo elettorale in Europa. “Oggi firmeremo un memorandum per la cooperazione in questo ambito”, ha continuato Tajani, con cui l’Italia si è impegnata anche a ricostruire la cattedrale neoclassica della “Trasfigurazione di Gesù” a Odessa, parzialmente distrutta da un bombardamento russo la notte del 23 luglio 2023.

Cooperare è difficile, perché gli investimenti da mettere sul piatto sono da capogiro: il Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS) ha rilevato che, solo nel settore dell’agricoltura, i danni subiti a fine 2023 ammontavano a 80 miliardi di dollari, che chiamano un conseguente investimento di 56 miliardi per il risanamento di settore e 32 miliardi per lo sminamento dei terreni. Alle stesse condizioni è vincolato il patrimonio culturale e artistico, che per l’UNESCO necessita già oggi di 9 miliardi di dollari per il restauro delle opere architettoniche in dieci anni.

L’Italia giocherà comunque un ruolo chiave nella ricostruzione del Paese: la Farnesina ha attuato una Task Force “per la ricostruzione e la resilienza dell’Ucraina” già dai primi mesi del 2023, con il mandato di coordinare i partecipanti, come il gruppo Cassa depositi e prestiti, l’Italian Trade Agency, Confindustria e la Protezione civile.

Il cono di luce, almeno sotto il profilo politico-economico, è l’ingresso nell’UE, assicurato dalla presidente von der Leyen con l’avvio dei negoziati di adesione a fine giugno. Ma quando si alza il coperchio del risanamento di un Paese uscito dalla guerra, il rischio è che la regia passi nelle mani di investitori internazionali spregiudicati e multinazionali che, forti dell’altissimo tasso di corruzione, gettino il Paese nella morsa della speculazione finanziaria, lasciando ai posteri la tutela del patrimonio storico-artistico e delle energie intellettuali dell’Ucraina.

Il domani, per adesso, è nebuloso: non aiuta la situazione di instabilità politica in Francia e Germania scatenata dopo gli exit pool delle europee. Pesano le criticità di una nazione in guerra e le falle dell’amministrazione Zelensky, la quale proprio alla vigilia della conferenza di Berlino ha convalidato le dimissioni di Mustafa Nayyen, capo dell’agenzia per la ricostruzione di Kiev. A Nayyen, complici le fronde interne e i continui rimpasti di governo, è stato cancellato il viaggio. Situazione paradossale, ma che rivela gli interessi in gioco e impone un bagno di realtà, sapendo che “la ricostruzione parte dalla difesa aerea, non bisogna attendere la fine della guerra”, con le parole del ministro degli esteri Dmytro Kuleba.


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Federico Cortese

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