Matrimoni minorili e Sharia

Quando la legge non basta

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  Cristina Colombini
  29 novembre 2021
  5 minuti, 37 secondi

Come definito dall’UNICEF, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della tutela e dello sviluppo di tutti i bambini nel mondo, con matrimoni minorili si intende “ogni matrimonio formale o unione informale tra un bambino o bambina di età inferiore ai 18 anni e un adulto o altro minore”. Questa pratica è definita dall’ONU stesso come violazione fondamentale dei diritti umani, in quanto infrange il diritto ad un’unione libera e consapevole ma anche la protezione dell’integrità sessuale dei minori. Nella grande maggioranza dei casi si tratta di un fenomeno che coinvolge bambine e ragazze, ad evidenziare come il fenomeno sia strettamente legato alla disparità di genere che ancora caratterizza ogni parte del mondo.

La protezione dei minori da unioni forzate e precoci è infatti trattata nella “Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna”, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 18 Dicembre 1979. La Convenzione tratta, tra le diverse discriminazioni che le donne subiscono, la parità di genere nell’ambito matrimoniale, all’articolo 16, che, al primo punto, sostiene tutti i diritti che la donna deve condividere con il marito in modo equo. Secondo punto fondamentale di tale articolo afferma invece che ogni fidanzamento e/o matrimonio che avviene precedentemente alla maggiore età, è da considerarsi nullo, privo di alcuna valenza legale, ed aggiunge la necessità per gli stati di specificare chiaramente a livello legislativo l’età minima per accedere al matrimonio.

Un altro importante intervento da parte delle Nazioni Unite, che richiama all’urgenza di terminare tale pratica, è l’accordo ottenuto con diversi governi e la comunità internazionale, il 2 Agosto 2015, per creare un’Agenda che affronti ogni sfida per raggiungere, entro il 2030, uno sviluppo più sostenibile. L’Agenda 2030 è comporta da 17 obiettivi – o SDGs, che danno vita a loro volta a 169 target, e che sono tra di loro interconnessi e interdipendenti nel perseguire il raggiungimento dei Diritti Umani per tutti, tramite la sinergia di tutte e tre dimensioni fondamentali dello sviluppo sostenibile: sfera economica, sociale ed ambientale. Nello specifico, l’obiettivo numero 5 esprime la necessità di perseguire la parità di genere e di emancipare tutte le donne. Tra i suoi diversi target il quinto obiettivo inserisce, insieme a macro-obiettivi come la lotta contro la violenza di genere, proprio “l’eliminazione di ogni pratica dannosa, quale matrimoni minorili e/o forzati e le mutilazioni genitali femminili”. È evidente come il target 5.3 chiarisce definitivamente la crudeltà e la nocività di questa pratica, ancora troppo diffusa.

Si stima che, in tutto il mondo, 650 milioni di donne in vita oggi si siano sposate prima della maggiore età. Negli ultimi 10 anni il numero di ragazze sottoposte a questa pratica è diminuito del 15%, grazie soprattutto ad interventi volti ad aumentare i tassi di educazione tra le ragazze, ma anche a investimenti e messaggi pubblicitari provenienti dai governi, che ne dichiarano l’illegalità e la pericolosità. Nonostante alcuni progressi, non dobbiamo pensare che il problema sia stato risolto, ed è importante capire a fondo quali fattori concorrono a creare situazioni come queste. Dai dati riportati dall’UICEF è infatti possibile vedere quanto, in tutto il mondo, le percentuali di ragazze sottoposte a matrimoni minorili e forzati siano ancora molto alte: In Africa Occidentale e Centrale si parla di 4 giovani donne su 10 sposate prima della maggiore età, nell’Africa del Sud e dell’Est si trova una percentuale pari al 31%, un 28% si trova in Sud Asia e un 22% in America Latina. Il focus di questo articolo è però sull’area del Nord Africa, dove la percentuale di matrimoni minorili è pari al 15%.

Nel caso specifico del Marocco, ci troviamo in un contesto culturale e religioso connesso all’Islam: la legge di famiglia Islamica – Moudawana, prevede, dopo la sua riforma nel 2004, un limite di età per accedere al matrimonio: 18 anni. Si tratta dell’articolo 19 nello specifico, ma il problema sorge, subito dopo, all’articolo 20, che dispone un’eccezione all’articolo precedente: l’unione matrimoniale minorile può essere autorizzata da un giudice incaricato degli affari familiari, che può giustificare la propria decisione con ragioni e interessi che possono sostenere l’unione, dopo aver ascoltato la testimonianza dei minori coinvolti. Questo rappresenta una minaccia alla protezione delle bambine e adolescenti da una pratica più volte definita dannosa, e il numero di adolescenti date in sposa a seguito della riforma della legge di famiglia è aumentato piuttosto che diminuito.

La legge Islamica – Sharia, deriva da precetti legati all’Islam ed è basata sull’interpretazione delle scritture sacre – Corano e Hadith. La legge Moudawana deriva quindi dalla comprensione dei testi da parte dell’uomo, creata ed emanata da uomini, non quindi precetto divino. Ciò che si sta cercando di fare, per interrompere l’usanza dei matrimoni minorili, è proporre una nuova interpretazione più adatta alla società contemporanea, in cui i valori dichiarati dalla comunità internazionale, riguardo ai Diritti Umani sono sempre più influenti. Un passo importante è quello di definire il livello della maturità, condizione necessaria secondo i testi sacri per accedere al matrimonio. Non essendoci un’età definita all’interno del Corano, tale traguardo è stato da tempo associato con la pubertà, per le ragazze connessa alla prima mestruazione. Se si collega la maturità alla pubertà si individua un periodo nella vita di una donna che va circa dai 9 ai 14 anni, periodo decisamente al di sotto di quella che oggi è definita maggiore età. È chiaro oggi come la pubertà sia solo l’inizio di un intero percorso di maturazione fisica e psicologica per gli adolescenti, non quindi capaci di prendere decisioni così complesse come quella del matrimonio, altro requisito fondamentale di un’unione per essere legale. Secondo il diritto di famiglia, infatti, proprio il fatto di essere frutto di una libera e consapevole scelta, in modo equo da entrambe le parti, è la base per la validità di un matrimonio, che quindi necessita di due persone indipendenti e capaci di accettare o rifiutare tale unione.

È quindi chiaro che, non solo la legge non basta a fermare questa usanza, ma dalla riforma del Family Code i matrimoni minorili in Marocco sono aumentati: le stime evidenziano come il fenomeno riguardi oggi il 16 % delle adolescenti marocchine. È quindi necessario comprendere e conoscere maggiormente e più da vicino il fenomeno e il contesto, individuando quali sono le cause sociali culturali ed economiche che lo sostengono ed educare su quali sono le conseguenze, per poter anche analizzare le possibili soluzioni.

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Cristina Colombini

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Diritti Umani

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