Mondiali in Qatar: nuovo pan-arabismo all'orizzonte?

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  Sara Oldani
  16 dicembre 2022
  9 minuti, 53 secondi

I mondiali Qatar 2022, evento calcistico tenutosi dal 20 novembre al 18 dicembre a Doha, hanno visto protagonista il mondo arabo. In primis per la location della competizione, il piccolo emirato del Golfo e, in secundis, per la straordinaria capacità delle squadre dello stesso Qatar, Arabia Saudita, Tunisia e – soprattutto – Marocco, che ha fatto sognare Africa, Medio Oriente e i membri della diaspora. Trattandosi del primo mondiale tenutosi in un Paese arabo, l’evento ha assunto una forte valenza simbolica che travalica il semplice aspetto calcistico. Da sempre lo sport ha delle correlazioni con l’immaginario collettivo di una nazione o di un popolo, così come si evince dalle importanti manifestazioni di supporto ai calciatori marocchini arrivati in semi-finale e dalla presenza di bandiere palestinesi tra i tifosi arabi e non solo.

In questo approfondimento si cercherà di mostrare il forte nesso tra i mondiali e la “geopolitica delle emozioni”, analizzando la ritrovata unità araba e le implicazioni sullo scenario regionale, con un focus sul soft power del Qatar e le dirette conseguenze che ciò può avere sulla tenuta della normalizzazione di alcuni Paesi arabi con Israele.

Pan-arabismo: illusione o realtà?

La teoria principale del saggio Geopolitica delle emozioni del politologo Dominique Moïsi è che un popolo si definisce attraverso le emozioni che lo animano: dalle emozioni si generano idee e in seguito fatti che producono effetti sul popolo stesso e dunque sulle relazioni tra i popoli. Secondo Moïsi, il sentimento che meglio rappresenta il mondo arabo è l’umiliazione e con essa il desiderio di riscatto, dopo secoli di colonialismo, sfruttamento e discriminazione da parte dell’Occidente.

I tentativi di rivalsa, numerosi nella storia post-coloniale del mondo arabo, sono nati sotto l’orbita ideologica del cosiddetto pan-arabismo. Si tratta appunto di un’ideologia politica il cui obiettivo fondamentale è la creazione di una nazione araba unita, che includa i Paesi del Nord Africa e dell’Asia occidentale. L’unità araba sarebbe così in grado di rappresentare un’unica direzione di una parte del globo in ambito internazionale, politico, culturale e linguistico per fronteggiare al meglio le sfide del domani e raggiungere una propria dignità e autonomia, svincolandosi dall’Occidente. In passato, il nazionalismo arabo di Nasser in Egitto e il partito Ba’ath in Siria e Iraq hanno avuto esito fallimentare. Negli ultimi anni, le tensioni diplomatiche e geopolitiche tra gli Stati arabi, hanno dimostrato come tale progetto sia irrealizzabile nei fatti.

Ma allora come si spiega l’ondata di solidarietà araba ai mondiali? Il professore qatariota Khaled al-Hroub ha elaborato uno studio intervistando alcuni tifosi arabi di diverse nazionalità (provenienti da Libano, Giordania, Tunisia, Algeria, Egitto, Yemen, Paesi del Golfo), chiedendo il motivo per cui avrebbero tifato proprio per il Marocco. La risposta è stata «è naturale, sono arabo, dunque supporterò ogni squadra araba»; lo stesso supporto non ci sarebbe invece nel caso di squadre europee, come domandato ad altri tifosi francesi, olandesi, etc.

La spiegazione a questo fenomeno sociale viene definita dallo studioso con il concetto di “soft Arabism”, in contrapposizione ad “hard Arabism”. La linea “dura” dell’arabismo si riferisce ai precedenti progetti politici propugnati dalle élites al potere, invece quella “soft” indica un complesso movimento ufficialmente apolitico, spontaneo per modalità e funzioni, da circoscrivere strettamente a livello della popolazione. Esso si esemplifica nella diffusione e nella trasmissione di programmi culturali, linguistici, letterari, sportivi e legati al mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento. In tal senso i canali televisivi o radiofonici pan-arabi hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel rafforzamento dell’identità araba.

Tuttavia, è rilevante sottolineare come il rafforzamento del soft Arabism sia avvenuto in contemporanea al ridimensionamento e al declino delle tradizionali ideologie pan-arabe. La spiegazione di questo paradosso può essere data dall’analisi di un caso studio per eccellenza, il canale pan-arabo Al Jazeera, con sede in Qatar. Al Jazeera, emittente televisiva fondata nel 1996, ha superato le frontiere dell’emirato del Golfo ed è diventata fonte di informazione fondamentale in tutto il mondo arabo-islamico, con l’obiettivo formale di offrire news senza censura e con una chiave di lettura non filtrata da pregiudizi orientalisti. È innegabile, però, che l’emittente televisiva abbia beneficiato del supporto del governo e delle aziende qatariote, interessate ad aumentare la loro influenza nella regione.

Le dinamiche geopolitiche nei media arabi: la lotta per il soft power

L’utilizzo dei mass-media per l’accrescimento di potenza non è uno strumento utilizzato solo dal Qatar. Anche altri Stati della regione, con progetti geopolitici opposti, utilizzano canali televisivi e agenzie di informazione per ottenere maggiore influenza e benefici. Caso emblematico è quello dell’Arabia Saudita che, nella partita geopolitica mediorientale, si colloca all’interno del disegno della “statalizzazione dell’Islam”, volto a perseguire modernizzazione e riforme sociali ed economiche per aprirsi all’Occidente, mantenendo comunque fede ai valori islamici.

L’Arabia Saudita, Paese egemone nel Golfo, ha tentato di controbilanciare negli ultimi anni il ruolo assunto dalla rete qatariota Al Jazeera. Le emittenti televisive Al Arabiya e Al Hadath, sono state fondate da una compagnia saudita rispettivamente nel 2003 e nel 2012, di cui la prima con sede a Dubai. Durante le Primavere Arabe del 2010-2011 hanno avuto un peso importante nella diffusione di informazione propagandistica a sfavore dell’Islam politico che, subito dopo l’ondata rivoluzionaria, è diventato la prima forza politica nella maggior parte degli Stati arabi. D’altro canto, il Qatar, finanziatore di movimenti come la Fratellanza Musulmana e le sue branche radicali quali Hamas, ha adottato un taglio mediatico completamente opposto a quello saudita.

Il Qatar, emirato che durante la Guerra Fredda era irrilevante dal punto di vista internazionale, ha visto accrescere la sua influenza nella regione e nel globo a seguito della scoperta di importanti giacimenti di Gas Naturale Liquefatto (GNL). Grazie alle rendite energetiche, ha potuto svincolarsi dal giogo saudita nel corso degli ultimi decenni e a perseguire una politica estera in base ai propri interessi nazionali e strategici. Nonostante l’embargo imposto al Qatar dal Consiglio di Cooperazione del Golfo nel 2017 e la minaccia saudita di chiudere il canale di Al Jazeera, conflitto diplomatico poi risolto agli inizi del 2021, il piccolo emirato ha mantenuto illeso il suo soft power. Oltre al GNL, risorsa energetica fondamentale nella difficile transizione ecologica, l’alleanza militare con la Turchia e il mantenimento di relazioni con Iran, Stati Uniti e Cina, hanno permesso al Qatar di essere lo Stato che è oggi. Basti pensare a come la FIFA abbia permesso al Paese di ospitare i mondiali, malgrado le polemiche in merito ai diritti umani e agli standard lavorativi nell’emirato.

"33esima squadra di calcio in gara": la Palestina

Slogan pro-Palestina e bandiere dei Territori occupati sono stati fotografati in tutta Doha. Perfino le squadre di calcio di Tunisia e Marocco hanno sventolato in campo la bandiera palestinese oltre a quella della propria nazione. La rinnovata solidarietà araba nei confronti della Palestina ha sconcertato i giornalisti israeliani, inviati in Qatar, i quali non sono riusciti a intervistare i tifosi arabi perché essi rifiutavano di parlare con un cittadino dello Stato ebraico. Se l’opinione pubblica ebrea-israeliana ha accolto con entusiasmo le vittorie della nazionale marocchina, visti i recuperati legami tra ebrei-marocchini nella cornice degli Accordi di Abramo, non si può dire lo stesso della tifoseria marocchina che si è schierata apertamente a fianco della Palestina.

La questione palestinese e la lotta per la creazione di uno Stato indipendente in Palestina ha forgiato per decenni l’immaginario collettivo arabo. Le relazioni con lo Stato ebraico, considerato un alieno nella regione, sono state caratterizzate da forte ostilità – vedasi le tre guerre arabo-israeliane, l’occupazione delle alture del Golan, l’intervento nella guerra civile libanese, il continuo insediamento illegale di colonie nei Territori palestinesi. Dal 2020, a seguito degli Accordi di Abramo, si è verificata una distensione economica e diplomatica tra Israele, Emirati Arabi, Bahrain, Marocco e Sudan. La distensione, però, ha toccato in minima parte i rapporti tra i popoli, in quanto è avvenuta per volontà delle classi dirigenti che, nonostante gli sforzi, non sono riuscite del tutto a legittimare la normalizzazione con lo Stato ebraico.

L’attaccamento alla terra, ai prodotti agricoli, alla lingua, agli usi e costumi locali, è denominatore comune tra tutti i Paesi arabi, compresa la Palestina. Per cui è scontato che a livello di opinione pubblica la popolazione araba sia ancora fortemente influenzata dalla questione palestinese. Recenti sondaggi di Arab Barometer mostrano come esista un trend negativo in merito alla percezione positiva dell’apertura ad Israele (con l’eccezione parziale di Sudan e Marocco). Trend che sicuramente peggiorerà data la maggioranza parlamentare di destra ed estrema destra – con i partiti del sionismo religioso – eletta lo scorso novembre in Israele.

Unità araba e soft arabismo: a che pro?

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, la presenza mediatica della Palestina ai mondiali potrebbe trattarsi di un tentativo del Qatar di sviare l’attenzione dalla violazione dei diritti umani. Secondo invece Middle East Eye, quotidiano indipendente con sede a Londra, i tifosi e in generale i cittadini arabi hanno approfittato della copertura mediatica per esprimere dissenso nei confronti degli accordi di normalizzazione.

Probabilmente la verità sta nel mezzo. Il Qatar supporta la causa palestinese e i movimenti collegati all’Islam popolare e non aprirà (ufficialmente) relazioni diplomatiche con Israele fino a che non sarà risolta la questione palestinese. Alla luce di questo indirizzo ideologico e geopolitico, è possibile che ci sia un interesse a far emergere la solidarietà arabo-palestinese, ma è altrettanto vero, se si fa riferimento alla definizione di soft arabismo, che la lotta per i diritti dei palestinesi fa ancora parte dell’identità culturale araba.

L’unità araba nata ai mondiali avrà però ripercussioni politiche? Sicuramente sì, ma dovranno essere monitorate le manovre che gli Stati arabi, con differenti visioni geopolitiche o delle élites al potere, adotteranno per accrescere il loro soft power, che però, dato il paradosso sopra-descritto, aumenterà anche il soft arabismo nella regione. A livello istituzionale, il summit della Lega Araba tenutosi i primi di novembre in Algeria – per quanto cerimoniale e privo di effetti concreti nel breve periodo – ha trovato tutti gli Stati arabi d’accordo su una questione: il non allineamento nella guerra tra Russia e Ucraina, in vista del ruolo che avrà il mondo arabo nel nuovo ordine multipolare. Se però a livello di governance siamo ancora lontani dal pan-arabismo, ciò non si può dire per il popolo arabo che risulta più unito che mai in seguito a questi mondiali.

Fonti consultate per il seguente articolo:

*Si è utilizzata la terminologia "mondo arabo" per riferirsi a quell'area geografica perché esemplificativa dei concetti trattati di pan-arabismo e soft-arabismo, ma è importante sottolineare che la questione identitaria nell'area è molto più variegata.

Encyclopaedia Britannica, “Pan-Arabism”, https://www.britannica.com/topic/patriotism-sociology , consultato in data 15/12/2022

J. Watkins, “What to expect from the Post-Pan-Arab Media”, in Journal of the London School of Economic and Political Science, https://blogs.lse.ac.uk/mec/2019/01/24/what-to-expect-from-the-post-pan-arab-media/, 24/01/2019

O. Antwi-Boateng, “The Rise of Qatar as a Soft Power and the Challenges”, in European Scientific Journal, 12/2013

J. Awwad, “Al Jazeera and Pan-Arab Identification: a Critical Communications Perspective”, in Journal of South Asian and Middle Eastern Studies, Vol. XXXIII, No. 4, https://muse.jhu.edu/article/779473, 2010

K. al-Hroub, “Why ‘soft Arabism’ is thriving in Qatar’s World Cup”, in Middle East Eye, https://www.middleeasteye.net/opinion/qatar-world-cup-soft-arabism-thriving-why, 12/12/2022

Al Jazeera, “How the Arab world celebrated Morocco’s win”, https://www.aljazeera.com/news/2022/12/10/how-the-arab-world-celebrated-moroccos-win, 10/12/2022

Haaretz, “Arabs Eschew Israeli Media at Qatar World Cup, Cooling Hopes of Thawing Relations”, https://www.haaretz.com/israel-news/2022-11-26/ty-article/arabs-eschew-israeli-media-at-qatar-world-cup-cooling-hopes-of-thawing-relations/00000184-b558-de4a-a3cf-b5da13730000, 26/11/2022

G. Cafiero, “Analyzing Arab-Israeli Tensions at the Qatar World Cup 2022”, in Center for International and Regional Studies, Georgetown University in Qatar, 6/12/2022

D. Moïsi, La géopolitique de l’émotion. Comment les cultures de peur, d'humiliation et d'espoir façonnent le monde, Edit. Flammarion, 4/11/2008

M. Robbins, “How Do MENA Citizens View Normalization With Israel?”, in Arab Barometer, https://www.arabbarometer.org/2022/09/how-do-mena-citizens-view-normalization-with-israel/, 12/09/2022

https://pixabay.com/it/illustr...

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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