Nuovo rapporto del TAI sul protocollo Italia-Albania: diritti umani in pericolo

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  Ilaria Morlando
  23 marzo 2025
  7 minuti, 19 secondi

L’accordo tra Italia e Albania voluto dal governo Meloni nell’ambito delle politiche migratorie si inserisce nella cosiddetta esternalizzazione delle frontiere, ossia un processo attraverso il quale gli Stati comunitari delegano a Paesi terzi la gestione dei flussi migratori. In termini pratici, abbiamo assistito in tre occasioni al trasferimento coatto in Albania di migranti che, invece di essere informati sui loro diritti ed essere presi in carico dalle autorità italiane, sono stati forzatamente imbarcati e condotti in un altro Paese. 

Tale accordo solleva interrogativi di particolare rilevanza non soltanto sulla gestione dei flussi migratori, ma soprattutto sul rispetto dei diritti fondamentali garantiti dal diritto internazionale e comunitario. Le conseguenze che tale pratica comporta sono preoccupanti, in quanto tale modello di gestione delle migrazioni riduce lo spazio di protezione giuridica dei soggetti che arrivano alle nostre frontiere, normalizzando la detenzione sistematica come strumento ordinario della gestione della mobilità da parte del governo. Tutto ciò viene giustificato con motivazioni che alimentano la diffusa convinzione secondo la quale i migranti rappresenterebbero un pericolo per i cittadini dell’Unione europea e, dunque, qualunque strumento per fermarli risulta legittimo. 

Inoltre, con tale protocollo l’Albania viene considerata un’estensione della frontiera italiana in quanto al suo interno sono situati i centri di detenzione gestiti dal nostro governo. Tale assetto porta a interrogarsi sull’effettivo rispetto dei diritti dei migranti detenuti. 

Pertanto, il Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), coalizione di organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti delle persone migranti, ha documentato attraverso tre missioni le modalità con cui sono stati realizzati i trasferimenti e ne ha raccolto testimonianze dirette. Lo scopo del rapporto è di evidenziare l’impatto che l’accordo Italia-Albania ha sulla vita dei migranti e di denunciarne i profili di illegittimità. 

Principali violazioni dei diritti fondamentali 

Il viaggio a cui sono costretti i trasbordati per raggiungere l’Albania – della durata di 4 giorni – ed eventualmente quello di ritorno verso l’Italia nel caso in cui sia riconosciuta la vulnerabilità di questi, determinano un ritardo nell’accesso ai servizi di assistenza e dunque un possibile peggioramento delle condizioni di salute.


Trattenimento prolungato oltre i termini di legge

Il trasporto sulla nave della Marina Militare italiana e la valutazione per l’idoneità al trasferimento forzato dei migranti in Albania hanno come conseguenza l’interruzione delle procedure di soccorso: la libertà di movimento sancita dalla nostra Costituzione all’articolo 13 viene limitata. Difatti il viaggio coatto dei soggetti selezionati in un luogo diverso da un POS, “Place of Safety”, è da considerarsi un trattenimento de facto.

Difatti il viaggio verso l’Albania, a seguito di una selezione di eleggibilità, rappresenta un trattenimento sine titulo, effettuato senza garanzie difensive: la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) si è già espressa al riguardo, sostenendo che sia da considerarsi oltre termine la convalida del trattenimento. Peraltro, non essendo l’Albania un porto sicuro, le attività successive al trasbordo sulla nave hub eccedono le operazioni relative al salvataggio in mare: lo scopo del Protocollo non è quello di soccorrere persone nel Mediterraneo, bensì di esaminare le domande di protezione internazionale.

Negazione del diritto di difesa

La procedura di trasferimento forzato prevista dal protocollo comprime alcuni dei diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione, i quali sono invece incomprimibili.

In primis viene meno il diritto d’asilo (art. 10 comma 3 Cost.): è negata la protezione internazionale a cui hanno diritto gli stranieri che nel proprio Paese vedono limitato l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione. È quindi negato il diritto di non essere respinti alla frontiera italiana (principio di non-refoulement, ex art. 33 Convenzione di Ginevra).

È violato, poi, anche il diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.), il quale può essere derogato solo se vi è una verifica dell’Autorità Giudiziaria, nel caso in cui operino le forze dell’ordine (in cui rientra la Marina Militare): questa limitazione della libertà e il controllo di legittimità non possono essere superiori a 48+48 ore. In ogni caso, l’autorità deve leggere al migrante i diritti della persona, così come previsto dalla Normativa dell’immigrazione (sentenza CEDU Hirsi vs Italia). Peraltro, poiché molti migranti sono analfabeti, spesso non basta un foglio scritto a rendere effettiva la conoscenza dei propri strumenti di tutela.

Naturalmente, poi, per rendere tale diritto effettivo è necessario l’accompagnamento di un avvocato o di un Ente di tutela nella procedura d’asilo. Questi ultimi, però, sono mancati in tutte e tre le missioni a causa della lontananza dell’Albania dall’Italia e dei tempi ravvicinati dell’udienza di convalida che hanno impedito che avesse luogo un qualsiasi tipo di rapporto tra gli assistiti e il suo avvocato. A tali difficoltà si aggiunge, inoltre, il termine ristretto per proporre il ricorso contro la decisione negativa della Commissione territoriale per l’esame della domanda d’asilo, che è di soli 7 giorni: un tempo che rende quasi impossibile la preparazione di un ricorso in una materia così complessa. La soluzione potrebbe consistere in una comunicazione a distanza, ma in tal caso non sarebbe garantita la riservatezza dei colloqui.

Procedure accelerate e mancanza di garanzie

Le procedure accelerate costituiscono una soluzione alle lungaggini della procedura ordinaria, ma comportano una serie di problematiche a cui sono assoggettati coloro che vengono considerati provenienti da “Paesi Terzi di origine sicura” (PDOS). Di quest’ultimo concetto, che rappresenta uno dei requisiti per l’applicazione della procedura accelerata, è stata investita la Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale dovrà stabilire se possa essere considerato sicuro un Paese in cui certe categorie di soggetti vengono perseguitate. Nell’attesa che si pronunci sulla questione, i giudici italiani non hanno convalidato i trattenimenti in Albania, con la conseguenza del ritorno in Italia dei richiedenti asilo che erano stati qualificati come provenienti da Paesi sicuri. Dunque, il governo Meloni finora ha fallito il tentativo di applicare il protocollo Italia-Albania e quindi l’esternalizzazione delle procedure finalizzate alla protezione internazionale.

Il trattenimento

La privazione della libertà personale inizia molto prima dell’arrivo in Albania, in quanto i migranti vengono trattenuti in mare al fine di selezionare coloro che saranno poi trasferiti nei centri migranti a Shengjin e, in caso di esito positivo dell’esame, sono successivamente costretti a giorni di navigazione senza alcun provvedimento formale che ne giustifichi la legittimità, in una sorta di “limbo giuridico”. Tale situazione non formalizzata contrasta non solo con la Costituzione italiana, ma anche con le norme internazionali sui diritti fondamentali.

Il ruolo delle organizzazioni internazionali

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è impegnata direttamente nell’attuazione del protocollo: essa partecipa alle operazioni di screening a bordo della nave hub e fornisce sostegno nei centri in Albania, fornendo supporto negli esami di vulnerabilità e nelle fasi di informativa per i migranti.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) svolge semplicemente una funzione di monitoraggio nell’attuazione del protocollo: dunque l’organizzazione contribuisce alla legittimazione delle procedure dell’accordo, ma non ne è responsabile direttamente.

Entrambe le organizzazioni, con modalità diverse, sono parte integrante del meccanismo realizzato dall’accordo Italia-Albania.

Considerazioni finali sul rapporto

Il report del TAI sostiene, dunque, che le procedure per la rilevazione delle vulnerabilità dei migranti al fine del loro trasferimento in Albania siano incompatibili con la tutela dei loro diritti fondamentali. 

Per concludere, tra le molteplici violazioni riscontrate vi sono:

· L’inadeguata valutazione delle vulnerabilità, effettuata senza un esame approfondito dei casi clinici;

· L’applicazione generalizzata delle procedure accelerate in frontiera, che implica una compressione del diritto d’asilo;

· Il trattenimento prolungato in mare al fine della “selezione”, con privazione della libertà personale;

· L’impossibilità di esercizio del diritto di difesa, causata dalla difficoltà di accesso a un’assistenza legale adeguata.

Peraltro, a seguito dei falliti tentativi di applicazione del protocollo, alcune forze politiche presenti nel nostro Paese hanno avanzato l’ipotesi di trasformazione dei centri in Albania in una sorta di grande prigione da cui effettuare i rimpatri: secondo il TAI non solo il cambiamento delle finalità dell’accordo rappresenta un fallimento di quest’ultimo, ma esso comporterebbe anche la violazione di ulteriori diritti fondamentali e dunque l’unica soluzione accettabile sarebbe lo smantellamento dei centri.

Il rapporto si conclude con un’affermazione preoccupante: ciò che sta accadendo in Albania potrebbe essere un’anticipazione della riforma del Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, che entrerà in vigore nel 2026, il quale prevede forme di trattenimento forzato in frontiera e procedure accelerate per la valutazione delle domande d’asilo. Ciononostante, tale patto non legittima l’esternalizzazione di tali procedure sul suolo extraeuropeo, dove non possono essere garantiti efficacemente i diritti sanciti da norme comunitarie e nazionali.

Per il Tavolo Asilo e Immigrazione, per porre fine a evidenti violazioni dei diritti umani occorre rendere noto ciò che accade nei centri di detenzione e interrompere l’isolamento dei migranti.


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L'Autore

Ilaria Morlando

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Diritti Umani

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