Dopo la richiesta dell'Assemblea Generale dell'Onu di un parere consultivo, venerdì 19 luglio la Corte Internazionale di Giustizia si è pronunciata: l'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele è illegale, perché contraria al Diritto Internazionale. Le leggi e le politiche di Tel Aviv contro i palestinesi, inoltre, violano il divieto di segregazione razziale e apartheid. La decisione pone fine a un importante procedimento, avviato all'Aja nel 2022, sulle conseguenze legali dell'occupazione di Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Lo storico parere giuridico, letto da Nawaf Salam, il Presidente del più importante Tribunale delle Nazioni Unite, rappresenta una inequivocabile rivendicazione dei diritti del popolo palestinese. Per 57 anni i palestinesi hanno vissuto una sistematica violazione dei diritti umani. Hanno visto le loro case essere demolite, le terre espropriate per l'insediamento di coloni israeliani; hanno subito restrizioni arbitrarie riguardanti ogni aspetto della loro vita, dalla separazione di famiglie e limitata libertà di movimento, al diniego di accesso alla terra, all'acqua e alle risorse naturali.
Benjamin Netanyahu ha respinto il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia all'Aja, affermando che la decisione ignora il diritto storico e naturale del popolo ebraico sullo Stato d'Israele, nonché il diritto dei cittadini israeliani di insediarsi in ogni parte del territorio per garantire la propria autodifesa e la sicurezza dei confini.
Dentro il conflitto
L'occupazione e l'annessione dei Territori palestinesi sono il pilastro del sistema di segregazione che lo Stato israeliano ha edificato per dominare e opprimere il popolo palestinese per oltre cinquant'anni.
La pronuncia dei 15 giudici della Corte Onu arriva nel momento in cui Israele, da quasi dieci mesi, è in flagrante violazione del diritto internazionale umanitario nell'exclave palestinese: una violazione senza precedenti, sia per numero di vittime – quasi 40.000 civili uccisi, per lo più donne e bambini – sia per la copertura mediatica di un massacro in streaming.
La decisione della Corte Internazionale – che invita il Consiglio di Sicurezza Onu, l’Assemblea Generale e tutti i membri delle Nazioni Unite a non riconoscere come legittima l'occupazione israeliana – è priva di efficacia giuridica vincolante. Tuttavia, il parere consultivo espresso ha un elevato valore simbolico: può quindi, e dovrebbe, influire sulla futura postura dei Paesi ONU e degli alleati di Israele, Stati Uniti in primis.
Nella pronuncia, la CIG auspica un'inversione dell'annessione dei Territori palestinesi occupati illegalmente. Qui Israele dovrebbe cedere il controllo dei confini, delle risorse naturali, dello spazio aereo e dell'acqua. Nonché l'interruzione delle reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali.
Nel frattempo, però, e nonostante la distruzione di inaudita portata in atto a Gaza, stanno aumentando le espropriazioni illegali di terra nella West Bank occupata (Cisgiordania) e la costruzione di nuovi insediamenti israeliani a Gerusalemme Est. Tutto questo di fronte alla comunità mondiale delle Nazioni Unite ancora inerte, chiamata con urgenza a ripristinare e proteggere la legalità internazionale.
Storie di occupazione
Nel 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele e la conseguente guerra vinta contro la Lega araba, oltre 750.000 palestinesi furono espulsi dalle proprie terre. Da allora, ogni anno si commemora la “Nakba” (النكبة), la catastrofe che ha indelebilmente definito l'identità palestinese. Il peccato originale di Israele.
La soluzione dei due Stati, tra intrecci storici e complessità regionali – la violenza è il grande filo conduttore della Storia umana, soprattutto di quella mediorientale –, è oggi un'utopia naufragata: davanti alla presenza di centinaia di migliaia di coloni israeliani in un territorio non loro, gran parte della Palestina è ormai “terra occupata” e i suoi confini imprecisi, mutevoli, scritti sull'acqua.
Israele è diviso sul metodo, non sul merito: la gerarchia etnica non si discute. Sulla base della propria Storia, ha definito il lessico della convivenza. Non un vezzo linguistico, bensì vero e proprio principio ordinatore della società, che riflette l'istituzionalizzazione dello iato etnico e religioso: smascheramento di ciò che è insito nel Paese sin dalla sua nascita e che, dal 7 ottobre 2023, è stato reso irrimediabilmente manifesto. Il processo di “normalizzazione” dell'occupazione – Settlement Project – seppure con diversa velocità e intensità, è infatti una costante storica invariata, sotto qualsiasi governo israeliano. Processo pericolosamente accelerato durante l'ultimo governo Netanyahu, alla guida del Paese in coalizione con l'estrema destra sionista e religiosa.
Restare qui è resistenza. Resistenza a un sistema di oppressione e discriminazione. In arabo è “sumud” (صمود), ovvero la resistenza di un popolo, ma anche perseveranza, resilienza; l’ostinazione di continuare a vivere nonostante il conflitto: resistere per poter esistere.
Quando Gerusalemme avrà terminato la legittima distruzione di Hamas (o meglio, avrà accettato di non poterlo annientare), dovrà cominciare a immaginare il futuro. Ma quale futuro sarà possibile dopo tali devastazione e carneficina?
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L'Autore
Giuliana Băruș
Studi in Giurisprudenza e Diritto Internazionale a Trieste.
Oltre che di Diritto (e di diritti), appassionata di geopolitica, giornalismo – quello lento, narrativo, che racconta storie ed esplora mondi – fotoreportage, musica underground e cinema indipendente.
Da sempre “permanently dislocated – un voyageur sur la terre” – abita i confini, fisici e metaforici, quelle patrie elettive di chi si sente a casa solo nell'intersezionalità di sovrapposizioni identitarie: la realtà in divenire si vede meglio agli estremi che dal centro. Viaggiare per scrivere – soprattutto di migrazioni, conflitti e diritti – e scrivere per viaggiare, alla ricerca di geografie interiori per esplorarne l’ambiguità e i punti d’ombra creati dalla luce.
Nel 2023, ha viaggiato e vissuto in quattro paesi diversi: Romania, sua terra d'origine, Albania, Georgia e Turchia.
Affascinata, quindi, dallo spazio post-sovietico dell'Europa centro-orientale; dalla cultura millenaria del Mediterraneo; e dalle sfaccettate complessità del Medio Oriente.
In Mondo Internazionale Post è autrice per la sezione “Organizzazioni Internazionali”.
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