Racconto di donne in Africa Orientale

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  Fabio Di Gioia
  06 giugno 2019
  6 minuti, 52 secondi

La Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD) ha confermato come, oggi, i paesi dell'Africa orientale possono mettere in atto politiche migliori per affrontare le disuguaglianze di genere e portare le donne nella forza lavoro. Nella sua nuova relazione, “Integrazione regionale della Comunità dell'Africa orientale: commercio e implicazioni di genere”, l'UNCTAD analizza l'impatto dell'integrazione regionale sull'occupazione e sulla qualità della vita delle donne nei paesi della Comunità dell'Africa orientale (EAC). Una raccomandazione chiave è quella di colmare il divario di genere in materia di istruzione e migliorare la formazione delle competenze in modo che le donne possano lottare di più per posti di lavoro più remunerativi.

Secondo un rapporto ILO sulle imprese informali (imprese non agricole non registrate a livello locale o a livello nazionale - le quali godono di minori tutele), queste sono per la maggior parte gestite da donne. Questo perché tali realtà tendono a lambire settori già informali a loro volta, oppure mancano di sufficiente capitale per essere registrate (soprattutto perché gestite appunto da donne).

La ridotta dimensione delle WOE (Women Owned Enterprises) è dovuta in parte dalle barriere che le donne affrontano nel mercato del lavoro. Hanno un accesso più limitato all'occupazione salariata - ad esempio, in Uganda solo il 13,8% delle donne lavoratrici ha un lavoro retribuito- significando che le donne hanno maggiori probabilità di essere spinte verso il lavoro autonomo come strategia di sopravvivenza.


- Rapporto ILO, “Engaging Informal Women Entrepreneurs in East Africa: Approaches to Greater Formality”

Sebbene l'economia si sia già spostata dall'agricoltura verso i servizi, e in misura minore, l'industria, il 96% delle donne in Burundi, il 76% in Kenya, l'84% in Ruanda, il 71% in Tanzania e il 77% in Uganda lavora ancora nel campo dell’agricoltura. Le donne rappresentano anche una quota maggiore nel lavoro concernente la cura degli anziani, della casa o dei bambini, il che limita la loro disponibilità e flessibilità nel lavoro retribuito. Le donne proprietarie terriere rappresentano una minima parte della totalità: solo il 35% in Kenya e in Uganda, e il 46% in Ruanda.

Il numero di donne che ricoprono posizioni politiche è aumentato significativamente, con un numero maggiore di esse che partecipano a livello locale, nazionale e internazionale. Secondo l'ultimo rapporto della Banca Mondiale, il Ruanda guida globalmente il 64% delle rappresentanze femminili in parlamento. La Tanzania è al 37%, il Sudan al 31%, il Sud Sudan il 29%, l'Uganda al 34%, il Kenya al 20%, l'Etiopia al 39% e il Burundi al 36%. Allo stesso tempo, le donne detengono sempre più posizioni ministeriali e portafogli che in precedenza erano riservati agli uomini, compresi gli affari esteri, la difesa, la finanza e in alcuni paesi la vicepresidenza. In Kenya, ad esempio, i portafogli della difesa e degli affari esteri sono attualmente detenuti da donne.
Un altro obiettivo sarebbe quello di creare un meccanismo di credito regionale per sostenere le donne imprenditrici.

Tuttavia, allo stato attuale, i governi nazionali devono ancora implementare efficacemente la promozione e la protezione dei diritti delle donne nei loro rispettivi paesi.


- Rose Sikhoya, Humanitarian Leadership Academy .

Lo stesso Kenya ha avviato anche programmi di rafforzamento economico volti a far progredire il benessere delle donne. Il Ruanda ha compiuto grandi progressi nella promozione dell'uguaglianza di genere, in gran parte guidati dall'impegno del governo. Questo progresso gli ha permesso di collocarsi al secondo posto nell'indice azionario globale di genere, dietro la Svezia. L'uguaglianza di genere è sancita dalla costituzione e il Ruanda è stato il primo paese al mondo ad avere oltre il 50% di membri femminili nel Parlamento.

Nonostante questi progressi, le sfide abbondano. La regione è ancora alle prese con disuguaglianze strutturali profondamente radicate che hanno un impatto negativo su donne e ragazze. Lo spazio politico è devastato da una crescente militarizzazione che impedisce alle donne di cercare un ufficio elettorale a causa di alti livelli di violenza. Ad esempio, la situazione e il ruolo delle donne in Sudan sono influenzati dalla storia del conflitto che coinvolge il paese e dai livelli estremamente elevati di violenza da parte di attori statali e non statali.

In Uganda, le donne devono ancora affrontare discriminazioni, basso status sociale e mancanza di autosufficienza economica. Secondo le Nazioni Unite, la violenza contro le donne rimane endemica nella regione a causa di norme e pratiche culturali negative. I dati disponibili indicano che una donna su quattro nella regione ha subito violenze fisiche o sessuali durante la sua vita.

Sul fronte economico, il dibattito continua sulle politiche economiche neoliberiste adottate dai governi della regione; le difficoltà di accesso ai beni e servizi essenziali come l'acqua e il cibo hanno un impatto negativo sulle donne e sulle ragazze che vengono discriminate a favore dei maschi. Inoltre, anni di sotto investimenti in agricoltura hanno avuto conseguenze devastanti sui piccoli agricoltori, in maggioranza donne. La scoperta di gas, petrolio e risorse estrattive ha aggravato le attuali sfide in materia di diritti e accesso alla terra, protezione ambientale e sicurezza alimentare, con le donne e ragazze delle comunità colpite e costrette a sopportare il peso sproporzionato degli impatti negativi.

Nell'ambito dei diritti sociali, la regione continua a subire gli effetti negativi del matrimonio infantile, delle mutilazioni genitali femminili, della violenza contro le donne, del peso della malattia, dell'analfabetismo, della povertà e dell'esclusione sociale. Il rigido controllo statale sulle organizzazioni umanitarie, sulle associazioni e sulle voci delle donne ha gravemente compromesso la loro capacità di impegnarsi nello spazio civico. Governi come il Sudan e l'Uganda hanno attivato una serie di leggi restrittive per le donne in materia di ordine pubblico, controllando il loro abbigliamento e i loro diritti di associarsi liberamente - limitando così la loro capacità di impegnarsi nello spazio civico.

Sempre di più, queste leggi si stanno ampliando per includere l'associazione politica e l'impegno della società civile. La legge sulla gestione dell'ordine pubblico in Uganda e varie proposte per il controllo delle organizzazioni non governative (ONG) nella regione vengono considerate tra le più pericolose. La continua erosione dello stato come spazio secolare ha aggravato il processo in cui si sviluppano queste leggi discriminatorie. Allo stesso modo, gli sforzi di gruppi di donne, cooperative, associazioni, ONG, alleanze e coalizioni per far avanzare i diritti delle donne sono stati erosi da un forte calo dei finanziamenti.

Nel 2013, ad esempio, solo uno 0,5% del bilancio dell’Assistenza allo Sviluppo all'Estero dei paesi dell'OCSE ha contribuito a finanziare queste battaglie per la parità di genere (con un calo dell'1,2% rispetto al 2002). Questo calo nel sostegno alle organizzazioni per i diritti delle donne illustra una tendenza costante in cui queste realtà sono state sistematicamente sotto finanziate, limitando la loro capacità di provvedere all'ordine del giorno per far avanzare i diritti delle donne nei paesi africani orientali.

Sebbene la regione abbia registrato un'enorme crescita nell'avanzamento dei diritti di genere, l'attenzione deve ora passare alle attuali sfide che continuano ad affrontare le donne: oggi vengono premiate da una forte spinta per la promulgazione di leggi paritarie ma la lotta sociale e mediatica rimane ancora un punto fondamentale e centrale per il raggiungimento della piena parità di genere e dell’eliminazione delle disparità economiche.

East African womanhood is a minefield between the region's war zones and too-simple Western understanding thereof. The experiences of women from Ethiopia and Somalia serve largely as a barometer of the nations' violence. But our foremothers taught us resistance long before we had a name for it. Their stories alchemize the violence that forced them out of the arms of their families and toward countries that don't recognize their strength.


- Hannah Giorgis, Safy-Hallan Farah, una scrittrice ed una critica culturale per BuzzFeed News.

Le seguenti fonti consultate per la redazione di questo contributo sono liberamente consultabili:

The Open Society Initiative for Eastern Africa, Women’s Rights in Eastern Africa: Great Strides but Challenges Abound, june 2017

(https://www.osiea.org/amplifying_voices/womens-rights-in-eastern-africa-great-strides-but-challenges-abound/)

United Nations, East African nations can help empower women economically by harnessing trade policies, may 2018

(https://unctad.org/en/pages/newsdetails.aspx?OriginalVersionID=1747&Sitemap_x0020_Taxonomy=UNCTAD%20Home;)

Rapporto ILO, Engaging Informal Women Entrepreneurs in East Africa: Approaches to Greater Formality, 2016

(https://www.itcilo.org/en/area...)


Rose Sikhoya, Humanitarian Leadership Academy

(https://www.humanitarianleader...)

Hannah Giorgis, Safy-Hallan Farah, Everything you believe about east african women is wrong, BuzzFeed News. Marzo 2015

(https://www.buzzfeednews.com/a...)

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L'Autore

Fabio Di Gioia

Dottore in Scienze internazionali ed istituzioni europee, attualmente si sta specializzando nel corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali. È stato Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Referente di Segreteria e co-ideatore del progetto TrattaMI Bene. È ora Caporedattore e autore per la sezione Diritti Umani.

Bachelors degree in International Sciences and European Institutions, currently majoring in International Relations. He has served as Chairman of the Board of Auditors, Secretariat Liaison, and co-creator of the TrattaMI Bene project. He is now Editor-in-Chief and author for the Human Rights section.

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East Africa rights gender equality