Negli ultimi mesi, la Repubblica Popolare Cinese ha catturato l’attenzione pubblica grazie a un significativo shift nel suo modo di approcciare i diversi scenari conflittuali del mondo. Difatti, Pechino si è dimostrata più pragmatica del solito nel suo modo di esercitare influenza sulla guerra russo-ucraina e sul conflitto israelo-palestinese, nonché nella ricerca di intese economiche con attori quali l’Arabia Saudita e i talebani afghani. In questi contesti, la Cina ha adottato un approccio proattivo e ha fatto dei passi avanti concreti per la tutela dei propri interessi, legittimando il tutto grazie a una narrativa basata sul rimediare agli errori delle potenze occidentali e dotandosi di una rete di contatti tanto utile quanto diversificata.
Guerra russo-ucraina: neutralità ambigua
Davanti alle forti sanzioni economiche imposte nella fase iniziale della guerra in corso, la Russia ha dovuto cercare nuovi modi per mantenere a galla la propria economia. Mosca ha risposto alle iniziative per l’emancipazione energetica europea e altre politiche lesive per le proprie attività commerciali trovando nella cooperazione con i paesi BRICS – soprattutto con la Cina – una via alternativa per bypassare gli scambi con l’Occidente. In questo modo, la Russia è riuscita ad assicurarsi le risorse necessarie per finanziarie gli sforzi bellici e la Cina si è inserita nel discorso, venendo però accusata di facilitare l’azione russa.
L’intesa economica è stata fondamentale non solo per la Russia, ma anche per la Cina, che ha avuto accesso a risorse naturali a prezzi privilegiati in un momento in cui la sua crescita economica sembrava arrestarsi. Per questo motivo, Pechino si è sin da subito dichiarata una parte neutrale. Questa scelta, però, non deve essere interpretata come una forma di allontanamento dal conflitto: la neutralità cinese nasconde la tutela dei propri interessi tramite la volontà di mediare tra Mosca e Kiev per assicurarsi un posto ai tavoli negoziali e influenzare gli equilibri globali post-bellici.
Ciononostante, la recente riunione tra i ministri degli Esteri dell’Ucraina e della Repubblica Popolare Cinese, Dmytro Kuleba e Wang Yi, ha dimostrato una crescente propensità a esplorare forme di partecipazione più proattive e flessibili. Questa riunione, sebbene non abbia portato a dei cambiamenti concreti nel conflitto, ha un valore simbolico molto significativo. Difatti, posizionandosi come potenziale mediatrice tra la Russia e l’Ucraina, Pechino dimostra non solo la capacità di poter bilanciare i rapporti con gli Stati in questione, ma anche di poter offrire soluzioni alternative a quelle suggerite dall’Occidente in un momento in cui quest'ultimo si trova al centro delle critiche. Auspicando una pace negoziata e proponendo sé stessa come arbitro, la Cina non solo dimostra di poter andare oltre il suo tanto criticato vincolo con la Russia, ma va anche a minare l’idea che per porre fine alla guerra occorre continuare ad armare l’Ucraina e portare l’offensiva in territorio russo.
Conflitto israelo-palestinese: oltre la superficialità degli interessi economici
Alla ricerca della proiezione globale della propria influenza, la Repubblica Popolare Cinese si è recentemente proposta come mediatrice in uno dei fronti più caldi del pianeta, la Palestina. Pechino è stata a fine luglio sede di una storica riunione tra Hamas e Fatah, due fazioni tanto importanti per il contesto palestinese quanto antagonistiche tra di loro, che però hanno concordato sulla creazione di un governo unitario dopo la fine delle ostilità con l’Israele.
Sebbene anche questa riunione, così come tutti i precedenti tentativi di ricostruzione politica palestinese, non abbia portato a cambiamenti pratici, il suo carico simbolico è difficile da ignorare. L’inserimento della Cina nei discorsi riguardanti il conflitto israelo-palestinese e la ricostruzione politica post-guerra dimostra un certo grado di profondità nel dossier diplomatico di Pechino, che si addentra in uno dei conflitti più sfaccettati della storia moderna andando oltre gli interessi economici e lavorando per la stabilità politica. Anche in questo caso, siamo di fronte a un forte colpo alle potenze occidentali in termini dialettici e di soft power: nuovamente la Cina si presenta come una potenza mediatrice attivamente coinvolta nella ricostruzione dell’ordine, mentre il blocco a guida statunitense continua a essere oggetto di critiche fornendo armi e sostegno logistico all’Israele.
Intesa Riad-Pechino: la sorte incerta dei petrodollari e gli investimenti per la longevità economica
La Repubblica Popolare Cinese ha adottato un ruolo più assertivo e intraprendente anche per quanto riguarda la sua politica economica e le catene globali di approvvigionamento. I suoi rapporti con l’Arabia Saudita dimostrano come la Cina sia in grado di espandere la sua influenza in aree geografica di altissimo valore e di strumentalizzare il blocco economico dei BRICS per mettere a repentaglio l’egemonia statunitense,
Sin dall’inizio di quest’anno, con l’entrata dell’Arabia Saudita nei BRICS, quest’ultima ha avviato un processo di avvicinamento alla Cina, consacratosi con il mancato rinnovo del Petrodollar Agreement a giugno. Non avendo più nessun vincolo giuridico che la costringa a utilizzare il dollaro statunitense per il commercio petrolifero, i volumi delle transazioni tra Riad e Pechino sono cresciuti significativamente, mentre quelli tra Riad e Washington sono diminuiti.
Secondo alcuni esperti, l’Arabia Saudita è condannata all’eventuale caduta, poiché la sua economia gira attorno al petrolio in un mondo sempre più ecologicamente prudente. Il valore strategico di un alleato come Riad in una zona altamente instabile come il Medio Oriente, però, spinge Pechino a cercare modi di evitare la sua caduta e di trasformare l’Arabia Saudita in una roccaforte dell’influenza cinese, in un contesto dove l’Occidente ha causato tanti danni. Per questo motivo, un insieme delle più grandi corporazioni cinesi ha firmato con il PIF (Public Investment Fund) saudita dei Memorandum di Intesa attraverso i cui sono stati accordati degli investimenti del valore di 50 miliardi di dollari nel settore delle energie rinnovabili. In questo modo, la Repubblica Popolare Cinese investe nella sostenibilità economica e cerca di garantire la longevità della potenza di un partner fondamentale, facendo saltare in aria decenni di manipolazione degli equilibri petroliferi da parte degli USA.
Collaborazione con i talebani: gli interessi prima di tutto
Un’ultima forma in cui la Cina ha dimostrato il suo pragmatismo riguarda l’Afghanistan dei talebani. Come da conoscenza popolare, l’Afghanistan è un territorio del valore strategico inestimabile e una grande ricchezza in termini di risorse naturali come il litio e altri minerali. Per questo motivo, dopo la ritirata delle truppe occidentali nel 2021, la Repubblica Popolare ha provato con successo a stabilire un rapporto di partenariato con i talebani. Dall’anno scorso, però, la cooperazione tra Pechino e Kabul si è intensificata. Negli ultimi mesi, i due attori in questione hanno convenuto su investimenti nell’infrastruttura afghana, di vitale importanza per la Belt and Road Initiative. Inoltre, è stata recentemente concessa alla Cina la gestione della miniera di rame di Mes Aynak, una delle più grandi al mondo. Infine, i talebani hanno promesso di non fornire assistenza né rifugio ai gruppi estremisti della regione dello Xinjiang presenti in territorio afghano. In cambio di tutto ciò, Pechino permette ai talebani di gestire le ambasciate afghane in Cina.
La cooperazione tra Pechino e Kabul è un ultimo esempio di come la Cina cerchi di espandere la propria influenza emendando gli errori commessi dalle potenze occidentali. Stringendo dei rapporti con i talebani, investendo nell’infrastruttura e collaborando nell'ambito della sicurezza, la Repubblica Popolare dimostra non solo come il blocco a guida statunitense abbia gestito precariamente lo scenario afghano, amplificando l’umiliazione causata dalla ritirata del 2021, ma anche una grande flessibilità e capacità di andare oltre i paradigmi della politica internazionale per tutelare i propri interessi, alleandosi con attori non statali e tanto controversi come i talebani.
Osservazioni conclusive
Negli ultimi mesi, la Repubblica Popolare Cinese, con lo scopo di tutelare i propri interessi su scala globale, ha adottato una linea d’azione molto pragmatica e intraprendente, proiettando la propria influenza, inserendosi negli scenari conflittuali come una potenza mediatrice e stringendo dei rapporti con attori di ogni tipo. Questa nuova forma di approcciarsi alla politica internazionale capitalizza gli errori commessi dall’Occidente e li strumentalizza contro quest'ultimo per controbilanciare la sua influenza e sostituirla laddove essa si è affievolita. Sebbene il cambio paradigmatico negli affari esteri cinesi non abbia ancora portato a risultati materiali, le sue implicazioni dal punto di vista simbolico colpiscono fortemente il blocco occidentale, vittima di critiche sempre più incisive per la sua discutibile gestione dei recenti affari globali.
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L'Autore
Gonzalo José Pereyra Ochoa
Categorie
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Cina occidente Geopolitica