Negli ultimi giorni la popolazione turca ha invaso le piazze delle principali città del paese, come non succedeva da 10 anni. Se le grandi rivolte di Istanbul per il parco di Gezi, 10 anni fa, erano volte a contrastare l’operato di Erdoğan in veste di primo ministro, ad oggi il nemico è sempre lo stesso; ciò che è mutato è la motivazione e il ruolo sempre più autoritario di Erdoğan, attuale presidente turco.
Il motivo scatenante delle proteste è stato l'arresto, mercoledì 19 marzo, di Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul dal 2019, ad oggi sospeso dal suo incarico, e principale oppositore politico del presidente turco. Esponente del Partito popolare repubblicano, di centrosinistra seppur con qualche elemento nazionalista, İmamoğlu è diventato un simbolo di speranza per milioni di turchi che si oppongono alla politica autoritaria di Erdoğan.
Il suo arresto suscita gravi preoccupazioni: negli ultimi anni Erdoğan ha concentrato sempre più potere nelle sue mani, indebolendo le istituzioni democratiche, limitando la libertà di stampa e silenziando chiunque si opponga al suo governo. La sua strategia include la manipolazione della giustizia, che viene utilizzata come strumento per eliminare potenziali oppositori politici. Ad inizio febbraio infatti, dieci funzionari pubblici del comune di Istanbul, tutti appartenenti allo stesso partito di İmamoğlu, furono arrestati per presunti collegamenti con militanti curdi affiliati al PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. İmamoğlu affermò che questi arresti fossero il risultato dei “capricci di una persona che si considera al di sopra della volontà del popolo”.
L’arresto di İmamoğlu è avvenuto con la stessa accusa: favoreggiamento del PKK.
In una dichiarazione rilasciata dall'ufficio del Procuratore, è stato affermato che "il giudice ha deciso di arrestare il sospettato Ekrem İmamoğlu per i reati di costituzione e gestione di un'organizzazione criminale, accettazione di tangenti, estorsione, registrazione illegale di dati personali e manipolazione di offerte nell'ambito dell'indagine finanziaria e, poiché vi è un forte sospetto di favoreggiamento di un'organizzazione terroristica armata”.
Pochi giorni prima dell’arresto, l’Università di Istanbul aveva revocato ufficialmente il suo diploma di laurea per presunte irregolarità. Se confermata, questa decisione potrebbe impedirgli di candidarsi alle elezioni presidenziali, previste per il 2028. Il suo arresto, invece, non lo escluderebbe automaticamente dalla corsa, mentre una condanna definitiva sì.
L’arresto e la revoca del diploma sono considerate come una mossa politica di Erdoğan, volta ad impedire la candidatura di İmamoğlu, il suo principale oppositore in vista delle elezioni presidenziali del 2028: a conferma di ciò, domenica 23 marzo, ha ottenuto 15 milioni di voti alle primarie.
Le proteste che sono seguite a tutti questi avvenimenti hanno visto migliaia di persone scendere in piazza in diverse città turche. A Istanbul, Ankara e Smirne, le manifestazioni, cui hanno partecipato soprattutto studenti, sono sfociate in una violenta repressione, con 1400 arresti, tra cui 9 giornalisti, e un uso sproporzionato della forza contro i manifestanti pacifici. Si sono altresì verificate interruzioni del traffico internet, con limitazioni all’accesso ai social network e alla comunicazione tra i manifestanti. Il governo turco ha giustificato queste azioni come necessarie per mantenere l'ordine, ma in realtà esse suscitano il dubbio che vi sia l’incapacità di tollerare qualsiasi forma di dissenso.
L’ONU ha espresso forte preoccupazione per gli arresti di massa in Turchia, invitando le autorità ad aprire un’inchiesta sulle accuse di uso eccessivo della forza contro i manifestanti.
Liz Throssell, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato: “Siamo molto preoccupati anche per l’arresto di İmamoğlu, il sindaco democraticamente eletto di Istanbul”.
"Gli arresti del sindaco Imamoglu e di oltre 300 manifestanti sollevano seri interrogativi sul rispetto, da parte della Turchia, della sua consolidata tradizione democratica. In quanto membro del Consiglio d'Europa e Paese candidato all'adesione all'Ue, la Turchia ha il dovere di rispettare i valori democratici" ha avvertito l’UE.
Ciò che sta avvenendo in Turchia si inserisce in un contesto globale preoccupante, che collega interrogativi sul futuro della democrazia in Turchia e in tutto il resto del mondo. Quando i leader si considerano al di sopra della legge, non solo compromettono la credibilità delle istituzioni, ma mettono in discussione i principi stessi dello Stato di diritto. Figure come Donald Trump negli Stati Uniti, Benjamin Netanyahu in Israele e Viktor Orbán in Ungheria, hanno mostrato inclinazioni simili, minando ai sistemi di pesi e contrappesi che garantiscono la democrazia.
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L'Autore
Giorgia Savoia
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