Vertice NATO: inizia da qui il nuovo corso targato Biden

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  Tiziano Sini
  22 giugno 2022
  4 minuti, 57 secondi

Il 14 giugno scorso si è tenuto a Bruxelles il primo vertice NATO dall’insediamento del nuovo Presidente americano Joe Biden. Un evento atteso con concitazione: da una parte infatti il quadro in cui si presentava era di primissimo interesse - anticipato dal G7 e seguito dall’incontro con i vertici europei e soprattutto con il Presidente russo Putin, preannunciava l’avvio di una nuova era - dove la svolta di carattere geopolitico, rispetto all’amministrazione guidata da Trump, rivestiva un ruolo centrale[1].

In merito al vertice, numerose sono le indicazioni emerse. Tra queste, prima di tutto la distensione e il conseguente riavvicinamento fra gli Stati Uniti e gli alleati europei, ma non solo: un nuovo allineamento strategico di fronte ad alcuni obiettivi ritenuti essenziali ha consacrato il nuovo corso.

È emersa infatti con decisione la forte propensione da parte della nuova amministrazione americana ad affrontare la questione russa, ma soprattutto cinese, in maniera risoluta; uno scenario che fa tornare alla mente la guerra fredda.

Altrettanto importanti sono le ripercussioni interne di questa iniziativa, poiché la promozione di nuove strategie è essenziale soprattutto in un periodo di importanti cambiamenti di leadership sia a livello internazionale (ne sono un esempio Berlino e Parigi), ma anche dello stesso Segretario generale dell’Alleanza Atlantica[2].

In merito al vertice ed alle posizioni prese durante ad esso, un ruolo essenziale a livello programmatico è stato fornito dal documento NATO 2030: United for a New Era[3] pubblicato il 25 novembre 2020, esemplificativo del nuovo corso. Nel documento sono presenti fortissimi richiami al passato e soprattutto alla contrapposizione fra democrazie e antagonisti sistemici considerati anti-democratici. Proprio in questo frangente, oltre allo storico nemico russo, che ha costituito il problema più tangibile degli ultimi anni, particolare attenzione è data alla Cina.

Per quanto riguarda la questione Russia, l’azione è duplice: da un lato l’attenzione è rivolta all’atteggiamento del Paese, che ha messo in atto azioni ostili nei confronti del contesto occidentale. Allo stesso tempo l’obiettivo è anche quello di rassicurare alcuni paesi dell’Europa orientale e settentrionale, senza ovviamente dimenticare di inviare un segnale chiaro alla Turchia - paese che ricopre un ruolo tutt’altro che secondario all’interno della Nato[4], ma che negli ultimi anni ha adottato una politica ambivalente - e si è più volte avvicinata alla Russia.

Del tutto differente è l’approccio nei confronti della Cina; in questo caso infatti il ruolo della potenza orientale è equivalente a vero e proprio nemico sistemico, dove la dimensione economica e geopolitica costituiscono due elementi di primissima preoccupazione.

Riguardo a questo, numerosi sono gli spunti da tenere in considerazione. In primo luogo, la penetrazione economica cinese si è ormai ben consolidata, non solo in Europa, ma anche nel contesto africano ed in altre aree strategicamente centrali. In tal senso, un esempio lampante è fornito da Belt and Road, Polar Silk Road and Cyber Silk Road[5]; importanti iniziative che condizionano e condizioneranno in futuro i rapporti con molti attori, soprattutto europei.

Passando infine alla contrapposizione di carattere geopolitico, la Cina nel rapporto finale viene definita così: “Sebbene la Cina non rappresenti una minaccia militare immediata per l’area euro-atlantica sulla scala della Russia…sta espandendo la sua portata militare nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nell’Artico, approfondendo i legami di difesa con la Russia e sviluppando missili e aerei a lungo raggio, portaerei e sottomarini da attacco nucleare con portata globale, ampie capacità spaziali e un arsenale nucleare più ampio[6].

Ad onore della cronaca va comunque tenuto in considerazione che nel Rapporto conclusivo composto da 79 punti, sono undici i passaggi che riguardano l’attività di Mosca - come più volte ripetuto, considerata almeno al momento attuale minaccia militare tangibile - ed appena due quelli dedicati alla Cina, benché a livello programmatico non le fosse sicuramente secondaria.

Traendo quindi delle conclusioni in merito, il viaggio di Biden in Europa sembra aver assunto un significato specifico e per molti aspetti epocale - come conferma il vertice del G7 e lo stesso summit NATO - soprattutto se alla base vi è l’intenzione di attuare un vero e proprio cambio di paradigma, basato su un ricompattarsi del blocco occidentale contro la storica e più prossima minaccia russa, ma soprattutto contro il nuovo nemico sistemico cinese, vera e propria minaccia a lungo termine.

In questo nuovo intricato disegno la NATO sarà destinata ad un ruolo, almeno sulla carta estremamente importante, come riportato da documento NATO 2030: United for a New Era, che per certi aspetti supera la mera concezione militare, abbracciando una concezione di più ampio respiro.

Allo stesso tempo, il corso degli eventi ha mostrato come il percorso - per quanto in parte condiviso da tutti gli attori occidentali - metta soprattutto i soggetti europei di fronte ad importantissimi interrogativi; la strategia di Biden di riavvicinamento dopo i nefasti anni dell’amministrazione Trump, consacrata dalla sospensione dei dazi[7] ed un rinnovato intento di cooperazione internazionale, ha un prezzo molto importante e cioè la volontà di percorrere le nuove sfide, precedentemente illustrate, insieme.

Una spinta che preannuncia anche dei costi da parte soprattutto delle Nazioni europee, soprattutto dal punto di vista economico; un esempio lampante in materia è il ragionamento maturato da Draghi a margine del G7, le cui parole sono suonate più caute rispetto a quanto proposto da Biden, proprio perché la penetrazione economica cinese in molti casi può essere contenuta, ma non annullata, come preannuncia la discussione intorno alla revisione del Memorandum sulla Via della Seta[8].

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Tiziano Sini

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