COP27: cosa si nasconde dietro alla maschera egiziana?

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  Chiara Cecere
  06 November 2022
  2 minutes, 58 seconds

Il resort di Sharm el-Sheikh nell’Egitto di al-Sisi, che ospiterà la Conferenza del Clima dell’ONU COP27, mette in mostra i pannelli solari e le cannucce biodegradabili, ma la realtà è che il governo stesso imprigiona gli attivisti e vieta la ricerca.

Le COP sono le più grandi e più importanti conferenze annuali sul clima, organizzate dalle Nazioni Unite dal 1992 – dopo l’adozione della Convenzione sul Cambiamento Climatico (UNFCCC – UN Framework Convention on Climate Change), che ha istituito anche l’organo di UN Climate Change Secretariat. La convenzione è stata firmata da 197 paesi. Ogni anno dal 1994, quando il trattato è entrato in vigore le Nazioni Unite riuniscono quasi tutti i Paesi del pianeta per i vertici globali sul clima o "COP", acronimo di "Conference of the Parties". Quest’anno è il 27esimo anniversario del Summit: COP27.

Dal 6 Novembre, decine di migliaia di delegati - leader mondiali, ministri, inviati, burocrati nominati, ma anche attivisti per il clima, osservatori di ONG e giornalisti – discuteranno per due settimane in un paese rappresentato da una dittatura militare. Soprattutto nello stesso paese in cui Alaa Abd El-Fattah è detenuto come prigioniero politico per la sua rivolta pro-democratica nel 2011 contro la dittatura di Hosni Mubarak. E anche se Abd El-Fattah pensa al mondo, e scrive sul cambiamento climatico dalla prigione, non è affatto chiaro che il mondo che si sta recando in Egitto per il vertice sul clima dando importanza a lui, o agli altri 60.000 prigionieri politici stimati dietro le sbarre in Egitto, dove, secondo quanto riferito, vengono praticate barbare forme di tortura in una "catena di montaggio"; o agli attivisti egiziani per i diritti umani e l'ambiente, così come ai giornalisti critici e agli accademici, che sono stati ricattati, spiati e a cui è stato impedito di viaggiare nell'ambito di quella che Human Rights Watch definisce la "generale atmosfera di paura" e "l'implacabile repressione della società civile" dell'Egitto.

L'equilibrio si è ribaltato. Oltre alle emissioni di anidride carbonica e ai costi, il governo ospitante – nonostante gli sforzi di greenwashing operati dal governo – non è la classica democrazia liberale dalla doppia faccia. È il regime più repressivo della storia dello Stato egiziano moderno. Guidato dal generale Abdel Fatah al-Sisi, che ha preso il potere con un colpo di Stato militare nel 2013 (e da allora lo ha mantenuto con elezioni fasulle), il regime è, secondo le organizzazioni per i diritti umani, uno dei più brutali e repressivi al mondo. 

Il regime egiziano è ansioso di celebrare i suoi "leader giovani" ufficiali del clima, additandoli come simboli di speranza nella lotta contro il surriscaldamento globale. Ma è difficile non pensare ai coraggiosi leader giovanili della primavera araba, molti dei quali sono ormai prematuramente invecchiati da oltre un decennio di violenze di Stato e di vessazioni da parte di sistemi che sono apertamente finanziati dagli aiuti militari delle potenze occidentali, in particolare degli Stati Uniti. È quasi come se quegli attivisti fossero stati sostituiti da modelli più recenti e meno problematici. "Sono il fantasma della primavera passata", ha scritto Abd El-Fattah di sé stesso nel 2019. La domanda silenziosa che pone è cruda: se la solidarietà internazionale è troppo debole per salvare Abd El-Fattah - il simbolo dei sogni di una generazione - che speranza abbiamo di salvare il nostro pianeta?

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L'Autore

Chiara Cecere

La mia passione per ciò che studio deriva dalla mia inappagabile curiosità, unita ad un briciolo di idealismo. Per quest’ultimo aspetto, le mie esperienze all’estero in precedenza sono state concentrate sui paesi scandinavi: ho trascorso un anno a Stoccolma lavorando come ragazza alla pari durante il mio gap year prima dell’università e ho vinto lo scambio con la prestigiosa università di Lund da gennaio a giugno 2020, durante la triennale in Diplomatic International Sciences all'Università di Bologna. La mia determinazione è confermata dal fatto che sia riuscita a raggiungere un buon livello di svedese in meno di un anno. Inoltre, il secondo semestre del primo anno (gennaio 2022), ho preso parte ad un secondo Erasmus presso l’università di Science Po Lyon, che ho vinto facendo domanda per la carriera futura, magistrale di International Relations - International Affairs. Sono appassionata ed entusiasta riguardo alla scelta del corso di studi triennale, per cui ho scelto di continuare con una magistrale in International Affairs all’università di Bologna. Ho scelto il curriculum di International Affairs proprio perché sono attratta da aree geografiche diverse dall’Europa, in particolare l’Africa. Considero la mia apertura mentale e la mia sensibilità culturale le mie migliori qualità, e la mia forza motrice è una grande curiosità unita a un pizzico di idealismo.

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COP27 UN Egitto climate change Clima