La politica migratoria danese: gestione off-shore e rimpatri

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  Sara Oldani
  08 September 2021
  12 minutes, 58 seconds

Lo scorso giugno il Folketinget – l’assemblea legislativa monocamerale danese – ha approvato una nuova legge sulla gestione migratoria e sulla procedura delle richieste d’asilo e di protezione. Esse verrebbero esternalizzate in Paesi terzi (extra-UE) con i quali la Danimarca stipulerà degli accordi ad hoc.

Tale decisione è perfettamente in linea con la politica migratoria danese degli ultimi anni, la quale è orientata a permessi di soggiorno temporanei concessi a migranti o rifugiati e successivamente ad un loro “rimpatrio volontario”, piuttosto che ad un’integrazione di lungo periodo con la nuova comunità. Il cosiddetto paradigm shift del 2019 [1] ha reso i confini dello Stato ancora più impermeabili e sembra essere uno degli obiettivi che l’esecutivo, indipendentemente dal colore politico, vede come primari e irremovibili. Di fatti, la vittoria alle elezioni del Partito Social-Democratico nel 2019 [2] non ha modificato l’orientamento della policy migratoria; anzi, proprio l’attuale premier Mette Frederiksen ha presentato alla fine del 2020 un piano per raggiungere il target di “zero asylum seekers in the country” [3]. Della stessa opinione è anche l’attuale Ministro per l’Immigrazione, Mattias Tesfaye, il quale ha affermato che il flusso migratorio incontrollato può mettere a rischio il tessuto sociale danese, minacciando la tenuta del sistema di welfare del Paese [4].

LOV nr 1191 af 08/06/2021

L’8 giugno è stato approvato l’emendamento che ha modificato la legge sull’immigrazione prevista nel Danish Aliens Act, con 70 voti a favore e 24 contrari (il resto assenti). Come già affermato nell’introduzione, la nuova disposizione prevede la possibilità di delocalizzare le richieste di asilo e protezione internazionale in un Paese extra-UE. Se venisse effettivamente implementata questa nuova procedura, i richiedenti asilo in arrivo nello Stato danese verrebbero spostati in un Paese terzo per svolgere l’iter previsto. Qualora l’iter andasse a buon fine e la domanda fosse approvata, il richiedente in questione non potrebbe andare in Danimarca, ma può rimanere nel Paese terzo, altrimenti verrebbe espulso dallo stesso [5].

Si tratta di possibilità, appunto, perché fino ad ora la Danimarca non ha ancora trovato Paesi terzi disposti a prendersi carico dei richiedenti asilo, anche se si sono svolti colloqui esplorativi tra il Ministro per l’Immigrazione danese e Etiopia, Egitto e Tunisia, ma sono finiti in un nulla di fatto. Con il Ruanda, invece, è stato stipulato il Memorandum of Understanding on Cooperation in Asylum and Migration [6], secondo il quale entrambi gli Stati condannano l’attuale sistema a protezione dei migranti, ritenuto ingiusto e immorale, perché incoraggia uomini, donne e bambini a intraprendere viaggi rischiosi a favore dei trafficanti di uomini. Il Memorandum non prevede clausole vincolanti, per cui rimane una dichiarazione di principio.

La nuova legge ha sollevato perplessità in merito alla scarsità o alla vera e propria mancanza di garanzie che un sistema di esternalizzazione delle procedure di asilo può causare. In primis per la sicurezza dei richiedenti, i cui diritti non sarebbero adeguatamente tutelati, e in secundis per il rispetto delle procedure legislative internazionali ed europee, che verrebbero così violate.

Ferma è risultata la condanna delle ONG danesi, le quali hanno dichiarato che il parlamento si è espresso alla cieca, in quanto “il modello che hanno sostenuto […] non esiste” [7], oltre ad essere irresponsabile e contro il principio di solidarietà. Anche l’UNCHR, con l’Alto Commissario per i rifugiati Filippo Grandi, ha espresso una netta critica in merito alla nuova legge, “[contraria] alla lettera e allo spirito della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e al Global Compact on Refugees” [8].

Il rischio di un effetto domino, invece, è stata la preoccupazione che ha spinto la Commissione europea a dichiarare che analizzerà la legge danese “prima di intraprendere ulteriori azioni” [9]. Si teme infatti che l’esempio danese possa essere seguito da quei Paesi dell’UE contrari ad un ricollocamento dei migranti e/o rifugiati come l’Austria, il cui Ministro degli Interni ha mostrato approvazione nei confronti dell’esternalizzazione della gestione migratoria.

Se più Stati seguissero questo modello, la prospettiva di una politica comune europea in materia migratoria sarebbe ancora più ricca di ostacoli di quanto non sia già. Nonostante in periodo di pandemia la pressione migratoria sul continente europeo si sia drasticamente ridotta, è evidente che i negoziati sul nuovo Patto per le migrazioni saranno molto lunghi e difficili. Il motivo è che al momento solo Irlanda, Lituania e Lussemburgo si sono mostrati favorevoli ad un ricollocamento dei migranti, per cui non si prevedono cambiamenti in agenda [10].

Le ragioni dietro al paradigm shift

Prima di analizzare quali sono i fattori che hanno spinto il governo danese a intraprendere una via di intransigente chiusura alla questione migratoria, è importante avere un quadro della legislazione della Danimarca sull’immigrazione e sullo status degli stranieri.

Il Danish Aliens Act [11], adottato originariamente nel 1983, ma emendato molte volte nel corso degli anni (soprattutto tra il 2011 e il 2016), racchiude al suo interno le norme che hanno ad oggetto non solo diritti, doveri, requisiti degli stranieri che vogliono vivere in Danimarca, ma anche la disciplina delle procedure di richiesta d’asilo e le condizioni ad essa collegate, in quanto manca una legislazione autonoma.

La legislazione sugli stranieri non attiene solamente ai cosiddetti migranti economici, ma riguarda anche le pratiche per ottenere il ricongiungimento familiare, accesso a benefits economici e sociali, l’ottenimento del permesso di soggiorno e della cittadinanza. Su questo punto, in particolare, ci si rifà al Danish Naturalisation Act [12] del 1950 - successivamente emendato nel 2016 - in base al quale vi sono numerose restrizioni all’accesso alla cittadinanza, aumentate a seguito dell’introduzione della Circolare 20118.

Con il paradigm shift del 2019 si è optato sempre più per la concessione (diminuita grandemente nel corso degli anni) di permessi di soggiorno di breve durata e con un controverso sistema a tutela dei rifugiati. Caso emblematico è proprio quello dei rifugiati siriani, giunti in Danimarca tra il 2011 e il 2016, a seguito dell’insorgere della guerra civile e della dura repressione del Presidente Assad. Questi rischiano il rimpatrio forzato poiché il governo danese ritiene che alcune aree sotto il controllo delle forze governative siano pacificate e quindi possano tornare in Siria in sicurezza [13].

Al posto che perseguire la strada dell’integrazione, si è optato per il “self-support and return” dei rifugiati non appena le condizioni del Paese di origine lo permettano [14]. Il claim sottostante a questa prassi è che il processo di integrazione sia fallito, ma è davvero così?

L’Integration Strategy e la sua valutazione

Per Integration Strategy si intendono tutte le politiche volte a perseguire l’integrazione degli outsiders con gli insiders. Sono racchiuse nell’Integration Act [15], entrato in vigore nel 1999 e revisionato successivamente, il quale si basa su un sistema decentralizzato di servizi per l’impiego e servizi sociali, la cui responsabilità ricade primariamente sulle municipalità che fungono da collegamento diretto rispetto al governo centrale.

Fulcro delle politiche di integrazione è l’attivazione lavorativa del migrante, tramite training di sviluppo delle skills più richieste dal mercato, lo studio della lingua danese e programmi di educazione civica. Il fine ultimo è evitare che si creino società parallele, una straniera e una “autoctona”, che non si incontrano e non si parlano tra di loro. Inizialmente, tali programmi, la cui partecipazione è obbligatoria (altrimenti non si possono ricevere i benefits annessi come sussidi), avevano ad oggetto i migranti per ricongiungimento familiare. In seguito, sono sorti anche dei programmi individuali della durata flessibile da uno a cinque anni.

L’efficacia dei programmi di integrazione è monitorata dall’Integration Barometer e da ricercatori indipendenti. Sulla base di questi studi, la buona riuscita del processo di integrazione è aumentata, a partire dal 2014 (nonostante fosse l’inizio della crisi migratoria), con buona parte dei rifugiati e dei migranti economicamente indipendenti e con un’ottima conoscenza della lingua danese. Se si guarda poi alle seconde generazioni, lo scarto è ancora minore perché i livelli di occupazione e di educazione qualificata sono molto alti [16].

Sulla base di un report governativo del 2018 [17], risulta esserci però una differenza (anche se non drastica) tra i migranti e/o rifugiati e i cittadini danesi, in quanto i primi hanno più difficoltà a mantenere un collegamento stabile con il mercato del lavoro e spesso svolgono lavori meno qualificati a basso reddito. Questi, secondo la posizione governativa danese, sarebbero a carico della collettività (sussidi di disoccupazione ad esempio provenienti dalla spesa pubblica) e nei casi peggiori finirebbero per svolgere attività illecite e criminali.

Oltre a tali considerazioni, vi è anche il paventato rischio di “invasione”, soprattutto in merito a stranieri provenienti da Paesi in cui la fede musulmana è maggioritaria, i quali sarebbero – secondo luoghi comuni stereotipati – gli individui più difficili da integrare.

Proprio su quest’ultimo punto si concentra la recente analisi del think tank Kraka, il quale prende come campione i discendenti dei migranti provenienti da Paesi musulmani, compresi coloro i quali hanno poi ottenuto la cittadinanza danese. In base a tale ricerca, 9 su 10 discendenti contribuiscono alla società danese allo stesso modo di un danese “nativo”: il gap si è sempre più assottigliato dagli anni ’90 ad oggi, fino ad arrivare ad un discostamento del 10-20% dal pattern preso come modello (quello di un cittadino danese “standard”) [18]. Il modello identificato riguarda 4 indicatori: i valori annuali dello stipendio, delle tasse, dei voti scolastici e del numero di settimane in cui si è usufruito di benefits sociali. Il 77% dei discendenti non riceve alcun benefit e l’87% si uniforma ai livelli medi della comunità danese, per cui non ne deriverebbero minacce alla tenuta del sistema di welfare e previdenza sociale. Anche in merito ai tassi di criminalità si rilevano stime simili, che smontano il falso mito [19].

Il think tank ha ritenuto opportuno tenere conto anche di coloro i quali hanno ottenuto la cittadinanza, perché ritiene che l’integrazione sia un processo dinamico, i cui risultati si vedono solo nel medio-lungo periodo. Il discostamento del 10-20% dal pattern è sicuramente da monitorare per cercare di ridurre ulteriormente le disuguaglianze. Nessuna politica migratoria dei singoli Paesi UE, al momento, è esente da critiche, ma la tendenza generale è che nei Paesi nordici (tra cui appunto la Danimarca) essa sia più efficace in termini di integrazione anche grazie alla minor densità di popolazione [20].

In Danimarca vi sono circa 5,8 milioni di abitanti di cui il 91% è rappresentato da cittadini danesi, il 4% da cittadini UE e il restante 5% da stranieri provenienti da altri Paesi [21]. Il paradigm shift e lo zero asylum seekers, a monte di questi dati, sembrano misure drastiche e irrazionali: un conto è propugnare la lotta all’immigrazione clandestina, un altro è non prendere in considerazione e rendere impossibile procedere alla richiesta di asilo da parte di individui in fuga da persecuzioni o da un rischio di danno grave.

Nonostante i rimpatri forzati e l’esternalizzazione delle richieste d’asilo e protezione siano contrari alla legislazione in materia di rifugiati - prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951 ratificata dalla Danimarca - e alla legislazione europea in materia [22], l’esecutivo danese continua per la sua strada. Nel 2020, sono state prese in considerazione 1515 domande di protezione, delle quali solo 601 sono state accolte [23]; il trend, come affermato dal ministro dell’immigrazione, continuerà ad essere decrescente.

La Commissione europea, come già affermato, si è mostrata preoccupata in merito alla sempre più ferrea politica migratoria danese, non senza un velo di ipocrisia: ricordiamo il rinnovo dell’accordo UE-Turchia, gli accordi bilaterali di cooperazione migratoria (che sfociano in violazioni del principio di non refoulement) tra Stati UE e Stati terzi (accordo Italia-Libia, accordo Spagna-Marocco, etc). Sarebbe necessario un ripensamento non più in termini meramente securitari, ma più comprensivi del fenomeno migratorio: una politica migratoria comune in questo senso al momento non esiste, in quanto gli interessi nazionalistici e le logiche di potenza regnano sovrani.

Fonti consultate

[1] LOV nr 174 af 27/02/2019, Folketinget, https://www.retsinformation.dk/eli/lta/2019/174. Per la versione inglese vedasi European Website on Integration, UNHCR urges Denmark to change refugee policy, https://ec.europa.eu/migrant-integration/news/unhcr-urges-denmark-to-change-refugee-policy.

[2] A. Murray, BBC, Denmark asylum: The Syrian refugees no longer welcome to stay, https://www.bbc.com/news/world-europe-57156835, 19/05/2021

[3] M. Troppeta, Eastwest.eu, Denmark’s new migration policy, https://eastwest.eu/en/denmarks-new-migration-policy/?fbclid=IwAR1xIeWLIyrXBdaYeR2gw-_b7m0klOEXI0p5k9RHpfD3CiUq4N0M0F8fhBY, 8/06/2021

[4] Ibidem

[5] M. Villa, ISPI, Fortezza Danimarca, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-fortezza-danimarca-30727, 4/06/2021

[6] N. Mellersh, InfoMigrants, Denmark seeks to externalize asylum obligations to Rwanda, https://www.infomigrants.net/en/post/32041/denmark-seeks-to-externalize-asylum-obligations-to-rwanda, 6/05/2021. Questo il documento ufficiale del 27/04 - https://www.minaffet.gov.rw/fileadmin/user_upload/Minaffet/Publications/MoU_on_Asylum_and_Migration_between_Rwanda_and_Denmark.pdf.

[7] M. Villa, ISPI, Fortezza Danimarca, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-fortezza-danimarca-30727, 4/06/2021. Tale modello in realtà esiste, perlomeno al di fuori dell’UE, come il caso dell’Australia che ha delocalizzato la procedura di richiesta d’asilo nelle isole di Nauru e Papua Nuova Guinea, violando di fatto il diritto internazionale. La proposta di esternalizzazione però è giunta anche all’interno dell’UE stessa, ad esempio rendendo gli attuali Paesi della rotta balcanica come primi gestori della procedura d’asilo; in seguito tale idea è stata affossata (in termini formali) sia per la mancanza di tutela dei diritti fondamentali dei migranti sia per la non collaborazione dei Paesi terzi in questione.

[8] G. Merli, Il Manifesto, L’Unhcr contro la Danimarca per la legge che esternalizza i rifugiati, https://ilmanifesto.it/lunhcr-contro-la-danimarca-per-la-legge-che-esternalizza-i-rifugiati/, 5/06/2021

[9] N. Nielsen, Eurobserver, EU commission takes stand against Danish asylum law, https://euobserver.com/migration/152193, 21/06/2021

[10] Camera dei deputati, Ufficio rapporti con l’UE, Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/ES047.pdf?_1622118212319, 16/03/2021. https://www.deputatipd.it/attivita/question-time/stato-di-avanzamento-del-negoziato-relativo-al-%C2%ABpatto-europeo-su-migrazione-e. Il ricollocamento dei migranti rimane sempre su base volontaria di ciascuno Stato.

[11] LBK nr 239 af 10/03/2019, Folketinget, https://www.retsinformation.dk/eli/lta/2019/239. Per una panoramica sulla legislazione sugli stranieri vedasi https://ec.europa.eu/migrant-integration/governance/denmark.

[12] LBK nr 422 af 07/06/2004, Folketinget, https://www.retsinformation.dk/eli/lta/2004/422

[13] Al Jazeera, Danish plan to repatriate Syrian refugees sparks controversy, https://www.aljazeera.com/news/2021/4/12/danish-plan-to-repatriate-syrian-refugees-sparks-controversy, 12/04/2021

[14] European Website on Integration, Governance of Migrant Integration in Denmark, https://ec.europa.eu/migrant-integration/governance/denmark.

[15] Ibidem

[16] Children of descendants, https://integrationsbarometer.dk/tal-og-analyser/born-af-efterkommere, stime 2007-2021

[17] Evaluation Report 2018, https://integrationsbarometer.dk/tal-og-analyser/filer-tal-og-analyser/arkiv/evaluering-af-integrationsgrunduddannelsen

[18] European Website on Integration, Denmark: Think tank says there is no general problem with integration, https://ec.europa.eu/migrant-integration/news/denmark-think-tank-says-there-is-no-general-problem-with-integration, 13/06/2021

[19] Information, Stol ikke på de tal, der får minoritetsetniske unge til at fremstå langt mere kriminelle, https://www.information.dk/debat/2020/09/stol-paa-tal-faar-minoritetsetniske-unge-fremstaa-langt-mere-kriminelle, 5/09/2020

[20] C. Ranci, E. Pavolini, Le politiche di welfare, Il Mulino, 2014

[21] Eurostat – Popolazione danese aggiornata all’aprile 2021, https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/MIGR_POP1CTZ__custom_588927/default/table?lang=en

[22] Per quanto riguarda il diritto internazionale in materia di rifugiati fondamentali sono la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo di New York sullo status dei rifugiati del 1967. In base a tali trattati, molto sinteticamente, il termine rifugiato si applica a ogni persona che ha un timore ben fondato di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, opinioni politiche e che si trova fuori dal proprio Paese di cittadinanza e non vuole o non può avvalersi della protezione del proprio Paese [Art.1, lett. a, punto 2, Convenzione di Ginevra].

La legislazione europea offre inoltre una protezione più ampia tramite la protezione sussidiaria secondo la Direttiva 2011/95/UE: un cittadino di un Paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine o nel caso dell’apolide nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno (pena di morte, tortura o trattamento inumano e degradante, minaccia grave o individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale) [Art.2, lett. f della Direttiva].

[23] M. Villa, ISPI, Fortezza Danimarca, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-fortezza-danimarca-30727, 4/06/2021

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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