Questione Israele e Hamas: il posizionamento degli Stati Sudamericani

La presa di posizione dei diversi governi latinoamericani

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  Serena Basso
  23 November 2023
  4 minutes, 36 seconds

Dall’inizio del conflitto alla definizione degli schieramenti

La questione tra Israele e Hamas ha ideologicamente diviso il mondo in due blocchi contrapposti. Ad influenzare la presa di posizione degli Stati vi sono più fattori incidenti, tra questi gli orientamenti politici interni, i legami storici, le connessioni culturali e le affiliazioni economiche e d’interesse. Da un punto di vista storico, solitamente, i governi più conservatori e quindi di destra hanno sempre mostrato una maggior attitudine nei confronti di Israele, mentre i governi di sinistra hanno cercato, per lo più, di supportare la causa palestinese. Al momento, i posizionamenti assunti dagli Stati sono in continua definizione anche se la maggioranza dei governi del continente Sudamericano si è espressa contraria all’azione di Israele, denunciandolo e condannandolo. L’opinione dei diversi governi latinoamericani dipende anche da una popolazione fortemente influenzata e coinvolta nel conflitto poiché una buona parte di essa ha origini o appartiene alla comunità ebraica. In un primo momento alcuni Paesi hanno richiamato i loro ambasciatori, altri hanno interrotto le relazioni diplomatiche e altri invece si sono astenuti. Il contesto è in continua evoluzione.

Le risoluzioni proposte

Il mondo ha iniziato a proporre tentativi di risoluzione e tregua al conflitto fin da subito. I Paesi Arabi con in testa la Giordania, hanno proposto una bozza di risoluzione incentrata su una tregua a Gaza, sul fornimento di aiuti umanitari e sull’impedimento e la prevenzione dello sfollamento forzato. Tale proposta è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e poi messa a voto. Tra gli Stati a favore della risoluzione ben 120, ma 14 contrari e 45 astenuti. In Sudamerica, i risultati dei voti mostrano che quasi tutti i governi si sono mostrati favorevoli, solo due governi si sono astenuti al voto, ovvero Paraguay e Uruguay; mentre un solo governo si è espresso contro la risoluzione stessa, dichiarando pieno sostengo ad Israele, ovvero il Guatemala. 

Altra iniziativa in termini di ristabilimento della pace è stata l’importante proposta del Brasile che ha cercato di interporsi come Paese mediatore in quanto attuale detentore della presidenza del Consiglio dei Diritti Umani Onu. Gli obbiettivi: dialogo pacifico e negoziazioni diplomatiche, cercando di trovare una posizione comune tra Israele e Hamas. I risultati mostrano ben 12 voti a favore ma tra gli altri tre vi è il veto degli Stati Uniti che quindi impedisce l’applicazione della stessa.

La definizione delle prese di posizione

Dall’inizio della questione israelo-palestinese ad oggi il pensiero e lo schieramento degli Stati sudamericani sono in continua evoluzione e definizione. La quasi totalità dei Paesi si è mostrata favorevole all’interruzione del conflitto, in nome del diritto internazionale umanitario, come dimostrato dal voto per la risoluzione Onu. Focalizzando poi l’attenzione sui singoli, ogni governo ha adottato misure diverse e proprie rispetto alle ideologie interne.

Tra questi alcuni Stati si sono mantenuti ad oggi neutrali, come il Messico e l’Ecuador cercando di rispettare il loro principio di neutralità politica estera. Altri stati, come l’Argentina vivono invece in uno stato di confusione e fermento, dettato, in questo caso, anche dall’imminente e decisivo ballottaggio delle elezioni generali per il nuovo Presidente in carica. I due candidati, Sergio Massa e Javier Milei si sono mostrati maggiormente vicini alla causa israeliana anche se bisognerà tener conto soprattutto dell’opinione pubblica e di una popolazione che presenta la più folta comunità ebraica del Sudamerica.

Altri invece hanno pubblicamente esplicitato il loro allineamento con una delle due parti. Questo è il caso di stati come il Guatemala, storico alleato di Israele e al momento fortemente a suo sostegno, come dimostrato anche dal suo voto sfavorevole alla risoluzione ONU di tregua a Gaza.

Altri stati invece manifestano il loro completo dissenso anche con prese di posizione pubbliche e azioni concrete. Tra questi la Bolivia, la Colombia e il Cile, che denunciano e condannato l’azione di Israele.

La Bolivia ha assunto la presa di posizione più forte nel Sudamerica. In realtà il legame tra Bolivia e Israele era già incrinato nel 2009 quando la Bolivia aveva interrotto i rapporti diplomatici come denuncia esplicita alle azioni di Israele nella Striscia di Gaza. I rapporti diplomatici furono ripresi nel 2019 fino ad interrompersi nuovamente ad oggi su decisione dell’attuale presidente di sinistra Luis Arce. Altra ferrea condanna nei confronti di Israele viene dal Cile dove il Presidente Boris ha deciso di richiamare il suo ambasciatore sia in protesta e denuncia delle violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Israele, sia per supporto a quella parte di popolazione cilena di discendenza palestinese che conta ben 400.000 persone. Ancora differente è la posizione della Colombia che, nonostante l’alleanza e la solidarietà storica con Israele, questa volta ha deciso di richiamare i suoi ambasciatori e minaccia un’interruzione dei rapporti diplomatici. Questa presa di posizione ha portato Israele al contrattacco interrompendo le esportazioni di materiali per la sicurezza, quali jet da combattimento, apparecchiature di sorveglianza a e fucili d’assalto. L’attuale presidente Petro sembra irremovibile sullo schieramento adottato e, anzi, ha paragonato pubblicamente l’attività di Israele alle persecuzioni naziste. Anche Belize, Nicaragua, Cuba, Honduras, hanno tutti condannato le azioni di Israele richiamando i loro ambasciatori.

Ciò che si spera è che indipendentemente dallo schieramento gli Stati si esprimano a favore di un cessate il fuoco in modo da limitare il rischio per le vite della popolazione civile, in nome del diritto umanitario internazionale stesso. 

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Serena Basso

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