2022: anno di svolta per l'azione climatica?

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  Redazione
  01 ottobre 2022
  8 minuti, 50 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Le previsioni più accreditate fra gli esperti in questo settore scientifico affermano che la questione climatica dominerà questa prima metà del XXI secolo. Solo la biennale epidemia pandemica da coronavirus è riuscita a relegarla in secondo piano.

Con l’emergenza sanitaria da coronavirus attualmente transitata nella meno letale fase endemica, tutto l’Occidente con gli Stati Uniti in testa, ritornano da protagonisti principali sul problema climatico mondiale, mentre le pressioni per una ripresa di tutto ciò che ruota intorno al tema “green” entrano in sinergia tra di loro in un momento storico che attualmente è molto favorevole per adottare le soluzioni migliori da adottarsi a fronte delle complesse problematiche ambientali.

In premessa è bene ammettere che le Nazioni Unite (ONU) non hanno mai cessato di ammonire il mondo sulle conseguenze della crisi climatica, specie in rapporto ai dati scientifici costantemente emessi dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM).

L'organizzazione meteorologica mondiale (OMM) (World Meteorological Organization - WMO) con sede a Ginevra, è un'organizzazione intergovernativa di carattere tecnico, che si occupa di meteorologia. Essa comprende 191 Stati membri e Territori vari.

Questa agenzia delle Nazioni Unite pubblica le sue valutazioni annuali da 28 anni e la conclusione odierna sul clima è chiarissima e lapidaria: i riscontri scientifici e gli effetti negativi degli impatti sul riscaldamento globale si stanno accumulando. Ad esempio, la media del riscaldamento atmosferico degli ultimi cinque anni è stata la più calda mai registrata dall'OMM.

Per suo canto, l'Unione Europea difenderà i suoi obiettivi nella lotta al cambiamento climatico con un proprio e articolato testo giuridico, già in elaborazione.

Se la tendenza continua, il 2022 sarà un altro anno tendenzialmente più caldo del normale. Ma dovrebbe essere anche un punto di svolta positiva nella lotta per il clima, come affermato dall'ONU e da altri governi e istituzioni internazionali.

Gli incontri sull’ambiente

L’evento pandemico ha dilazionato due importanti vertici ambientali: l'evento sul clima tenutosi a Glasgow (UK- ottobre 2021) e l’incontro internazionale sulla biodiversità a Kunming (Cina- 2021).

Inoltre, i due anni di pandemia hanno fortemente limitato la lotta contro il riscaldamento globale dall'agenda internazionale.

Ma il coronavirus non ha posto fine al problema. Come ricorda l'Organizzazione Meteorologica Mondiale, il rallentamento dell'economia legato alla pandemia non ha fermato il processo del cambiamento climatico né ha accelerato il suo impatto sulle problematiche nazionali.

Al vertice internazionale sul clima tenutosi a Glasgow (UK) nel 2021 (COP26), i Paesi aderenti avrebbero dovuto elaborare piani operativi adeguati alla riduzione della quantità mondiale di emissioni di gas a effetto serra (CO2) più severi di quelli derivati finora in base all'accordo di Parigi.

Ma, alla conclusione dell’anno 2021, solo 75 dei quasi 200 paesi che hanno firmato a Parigi lo avevano fatto. Questo è il motivo cruciale per il quale il 2021 e il 2022 in corso dovrebbero essere strategicamente decisivi.

L’obiettivo strategico di tali incontri è la riduzione progressiva delle emissioni di anidride carbonica (CO2) da qui fino al 2030, in quello che viene considerato il decennio più importante negli sforzi unanimi che l’umanità dovrà compiere per invertire la tendenza climatica verso il riscaldamento, lo stesso che essi stessi hanno generato con le loro emissioni.

Rimbalzo delle emissioni.

L’analisi storica che spesso si fa per rilevare e interpretare i fenomeni della tendenza climatica di base, i registri ufficiali della temperatura tenuti dall'OMM e da altri organismi scientifici, risalgono al 1850, quando iniziò l'era industriale e quando le macchine industriali comparse su larga scala con l’utilizzo di combustibili fossili iniziò ad alimentare intensamente lo sviluppo economico, specie dell’Occidente.

Quando questi combustibili vengono bruciati, generano gas serra il principale dei quali è l'anidride carbonica (CO₂): ha destato curiosità il dato che durante la pandemia con la diminuzione dell’attività industriale tali emissioni sono sensibilmente diminuite.

L'Agenzia internazionale dell'energia prevede che le emissioni di CO2 legate all'energia cresceranno di circa il 5% nel 2022, che sarebbe la seconda crescita più alta registrata finora. La precedente è avvenuta nel 2010, dopo la grande crisi finanziaria.

L'Agenzia internazionale dell'energia (International Energy Agency, IEA) con sede a Ginevra, è un'organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1974 dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in seguito allo shock petrolifero dell'anno precedente.

Non è un caso che di recente l'ONU ha comunicato che le emissioni di CO2 si stanno riportando sui valori precedenti all’avvento del Covid19 . Circa la metà della CO₂ emessa si accumula nell'alta atmosfera mentre il resto viene assorbito dagli oceani e dalla vegetazione terrestre.

Secondo l'OMM, questo accumulo atmosferico risulta il più alto degli ultimi 800.000 anni e produce un aumento sia della temperatura media globale che dell'intensità e numero degli eventi meteorologici estremi come siccità, inondazioni e forti tempeste.

Gli sforzi sono insufficienti

L'accordo di Parigi (2015) stabiliva che, per evitare gli effetti più disastrosi del cambiamento climatico, i paesi dovevano ridurre le loro emissioni in modo tale che dal 2050 tali eventi sarebbero dovuti scomparire.

Sotto il profilo tecnico, l'obiettivo generale è che l'aumento della temperatura terrestre non superi i due gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. E per quanto possibile, non dovrebbero comunque superare 1,5 gradi Celsius.

Fallimento ai governi nella prima revisione dell'Accordo di Parigi contro il riscaldamento globale

Il problema è che gli attuali piani di taglio dei paesi porteranno ugualmente a un aumento di oltre tre gradi. Questo è il motivo più importante per il quale tutti gli Stati sono tenuti ad aumentare celermente la decarbonizzazione del loro sistema energetico.

Alcuni lo hanno già fatto, come l'Unione Europea, che per il 2030 è passata da una diminuzione del 40% al 55%, cosa che sarà ulteriormente stabilita in una dettagliata Legge sul clima.

Questi obiettivi sarebbero allineati alla percorso operativo tracciato dall'ONU per conformarsi all'Accordo di Parigi: ovvero che i gas serra globali si riducano del 45% nel 2030 rispetto al 2010.

Un altro problema è che l'Europa nell’assetto attuale, con o senza il Regno Unito, ha meno peso nelle emissioni mondiali - non raggiungono nemmeno il 10% - sebbene sia uno dei responsabili storici del riscaldamento globale in quanto pioniere della rivoluzione industriale.

Il problema al momento è principalmente compreso in una questione dibattuta tra due protagonisti assoluti: Stati Uniti e Cina, che accumulano circa il 40% delle emissioni mondiali.

La Cina

La Cina, il principale emittente globale da oltre un decennio, ha resistito per anni a essere equiparata ai paesi sviluppati in termini di obblighi di riduzione delle emissioni.

I suoi obiettivi sono molto meno severi di quelli dell'UE: raggiungere il picco di emissioni prima del 2030 e da lì abbassarle. Ma, alla fine dello scorso anno, ha promesso di rafforzare i suoi piani aggiungendo che raggiungerà la neutralità del carbonio (ovvero la parità tra le emissioni e le riduzioni dall'atmosfera) entro il 2060 .

Gli USA

Il primo bilancio federale di Joe Biden, Presidente degli stati Uniti, dà la priorità alla spesa sociale e alla lotta al cambiamento climatico

Su quest’ultimo, Biden dovrebbe presentare i suoi obiettivi programmatici di marcata riduzione delle emissioni carboniose per il 2030. Tale taglio sarebbe di circa il 50% rispetto ai livelli del 2005 ovvero l'anno nel quale gli Stati Uniti hanno raggiunto il picco delle emissioni di CO2.

Questo risultato raddoppierebbe l'obiettivo che Obama si era prefissato prima di firmare il protocollo di Parigi. E comporterà un importante processo di decarbonizzazione – ovvero smettere di usare derivati ​​del petrolio, del carbone e del gas - dell'economia statunitense con un'attenzione particolare al settore elettrico e ai trasporti.

L'altra questione in cui è previsto il ritorno all’attivismo degli Stati Uniti è rappresentata dagli aspetti finanziari che concernono le varie problematiche relative alle variazioni climatiche: i fondi che i paesi sviluppati contribuiscono ai meno ricchi per affrontare gli effetti del riscaldamento.

Fino all'arrivo di Trump, gli Stati Uniti erano il principale donatore internazionale.

Il Recupero verde?

Recupero verde è ancora scarso e precario. Anche qui la pandemia ha prodotto un grave effetto negativo portando il cambiamento climatico fuori dall'obiettivo principale e costringendo le Nazioni Unite a dilazionare sia la realizzazione che l’operatività molti progetti.

Tuttavia, nell’attuale fase endemica ma caratterizzata da ricchi piani di ripresa finanziaria può significare un'accelerazione della decarbonizzazione dell'economia mondiale in tempi medio-brevi.

I gas che riscaldano il pianeta diminuirebbero del 25% con una ripresa verde globale

I finanziamenti dell’’OCSE

L’ intervento dell’ L'OCSE ( Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sta monitorando gli aiuti e gli incentivi erogati dai governi dei 43 paesi membri di questo organismo, tra cui Stati Uniti, Cina e Unione europea.

La conclusione è che 336.000 milioni di dollari di questi fondi Covid (circa 309.000 milioni di euro) hanno un evidente impatto ambientale positivo. Finora rappresentano il 17% della spesa totale per il recupero. Il problema è che un importo simile di fondi è andato ad attività che hanno un impatto ambientale negativo o misto nella migliore delle ipotesi. I restanti due terzi degli aiuti al recupero non sono stati ancora classificati dall'OCSE.

Cina e Stati Uniti per il clima

Alcune questioni riguardano la Cina e gli Stati Uniti in forma diretta.

Questa è un’era nel contempo tecnologica e globalizzata: si va dalla guerra commerciale o sul 5G alle gravi violazioni dei diritti umani da parte di Pechino. Ma il mondo deve celebrare anche un minimo di consenso impegnandosi fortemente anche nella lotta al cambiamento climatico.

Al di là dei numeri e degli obiettivi, l'ambizione espressa in quell'accordo implica una profonda rivoluzione nella forma della produzione e del consumo, con una rinuncia, marcata e progressiva, non solo ai combustibili fossili su cui si basa l'economia da un secolo e mezzo ma un vero e proprio cambio di paradigma.

Dopo il ritiro di Trump, anche la Cina ha iniziato a fare importanti passi indietro: Xi Jinping si è impegnato a raggiungere il picco delle emissioni di carbonio nel 2030 e la neutralità nel 2060.

Conclusioni

La Cina deve dimostrare che il suo impegno si traduce in azione e che assume una leadership tipica di una superpotenza, senza il discorso di un Paese in via di sviluppo, e gli Stati Uniti devono dimostrare di essere in grado di mantenere il proprio impegno nel tempo, indipendentemente da chi è alla Casa Bianca.

L’intera umanità si aspetta fortemente che USA e Cina svolgano con responsabilità e solerzia questi compiti.

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