La realtà ecosostenibile che i governi aspirano a costruire richiede un rapido sviluppo delle rinnovabili. In Italia il fotovoltaico svolge un ruolo di primo piano in questa impresa, sia perché l’irraggiamento solare è abbondante nel nostro Paese, sia perché i pannelli di silicio costituiscono una delle tecnologie di sfruttamento dell’energia alternativa tra le più affidabili e mature dal punto di vista tecnico. Tuttavia, la loro diffusione massiva è impedita dalla scarsità delle superfici disponibili: vi sono infatti aree bloccate da vincoli paesaggistici, aree urbanizzate, aree destinate all’agricoltura. Si è pensato quindi di puntare sull’installazione dei pannelli su edifici esistenti; ma anche qui gli ostacoli non sono pochi: spesso ci si trova di fronte a edifici con una pessima esposizione solare, oppure a edifici di valore storico, architettonico o artistico. È così che si sta diffondendo un nuovo modo di concepire gli impianti fotovoltaici: l’agrivoltaico (o agrovoltaico).
L’agrivoltaico, consiste nell’integrazione di pannelli solari a una certa altezza (4-5 metri circa) nei terreni agricoli, in modo tale che sia possibile praticare l’agricoltura sotto. È un concetto nuovo, che instaura una sinergia tra terreni a destinazione agricola e terreni per la produzione energetica, con l’obiettivo di ridurre i consumi e migliorare il rendimento delle aziende agricole.
Questo approccio è stato presentato la prima volta nel 1981, dal tedesco Adolf Goetzberger, nel suo articolo dall’accattivante titolo “Patate sotto i pannelli”. Da allora numerose sono state le sperimentazioni realizzate, molte delle quali hanno dato risultati positivi. Nel 2010 il francese Christian Dupraz dimostrò che non solo la resa di un terreno totalmente coperto da pannelli solari erano analoghe a quelle di uno solo parzialmente coperto, ma che nel primo vi era stata una minore evaporazione d’acqua dal terreno. In effetti, l’agrivoltaico non compromette la resa dei terreni, ma in alcuni casi può contribuire a migliorarla. Nel 2016 uno studio del Fraunhofer Institute ha dimostrato che, installando pannelli a una certa altezza dal suolo, sia la resa agricola che quella solare erano pari all’80% rispetto alle condizioni di un suolo senza solare e di un terreno destinato solo al fotovoltaico [1]. Oggi però l’utilizzo della parola agrivoltaico indica non solo la presenza contestuale delle due attività – agricoltura e trasformazione di energia – nello stesso terreno, ma anche l’apporto di vantaggi agronomici alle colture grazie alla presenza dei pannelli. Quali sono questi vantaggi?
Durante i periodi più caldi dell’anno, i pannelli proteggono le coltivazioni, mantenendo il suolo a temperatura più bassa e consentendogli di trattenere più acqua. Questo aspetto potrebbe essere particolarmente importante in alcune zone del nostro Paese, per esempio nel Meridione, dove le risorse idriche scarseggiano e il caldo è più intenso. Durante la notte, al contrario, i pannelli impediscono al terreno di raggiungere temperature eccessivamente basse, riducendo per le piante lo stress legato all’escursione termica. La copertura può fornire riparo anche da eventi metereologici estremi. L’agrivoltaico potrebbe quindi rivestire un ruolo chiave nello sviluppo di una certa resilienza in agricoltura, indispensabile per affrontare i cambiamenti climatici che ci investiranno nei prossimi anni, e che vedono un generale innalzamento della temperatura e un aumento della frequenza di fenomeni violenti in molte aree del nostro Pianeta.
Naturalmente la risposta del terreno cambia di volta in volta, in base alle caratteristiche delle diverse coltivazioni; alcune colture hanno mostrato di essere più adatte rispetto ad altre all’installazione di impianti simili: il tè, i frutti di bosco, il riso, la vite e alcune piante da frutto rendono bene sotto i pannelli. Anche la zootecnica è compatibile con l’agrivoltaico.
Comunque i sistemi agrivoltaici sono disponibili in una varietà di tecnologie e configurazioni, il che consente di trovare di volta in volta la soluzione migliore. Determinate soluzioni progettuali possono influire sulla distribuzione dell’acqua piovana o sull’ombreggiamento. La maggior parte delle piante ha bisogno solo di una parte della radiazione solare per realizzare la fotosintesi. Il pannello viene quindi progettato in modo tale da lasciar passare solo le radiazioni necessarie alle coltivazioni, e trattenere le altre per trasformarle in energia elettrica.
Secondo alcuni studi le colture stesse potrebbero contribuire alla produzione di energia: le radiazioni solari che colpiscono la loro superficie vengono riflesse e possono essere indirizzate verso pannelli sovrastanti, in questo caso bifacciali, ovvero pannelli con superficie d’azione sia sulla parte anteriore che posteriore.
Secondo l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile), se lo 0,3% dei terreni agricoli italiani fosse coperto da agrivoltaico, si potrebbe raggiungere il 50% degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). [2].
Tuttavia mancano ancora delle linee guida chiare per la progettazione degli impianti, che fissino i requisiti di altezza, per esempio, o distanza tra i pannelli. Condiviso con il fotovoltaico è il problema degli iter autorizzativi lunghi e complicati. Ma rispetto al fotovoltaico classico, il costo finale dell’energia prodotta risulta leggermente maggiore (9 centesimi di euro per kWh anziché 8 cent/kWh), a causa dei più importanti costi di investimento [3].
[1] Lanciamo l’agro-fotovoltaico in Italia, qualEnergia.it, 28/01/2019, https://www.qualenergia.it/articoli/lanciamo-lagro-fotovoltaico-in-italia/
[2] Agrivoltaico sostenibile, https://www.agrivoltaicosostenibile.com/
[3] Agrivoltaico, tante potenzialità ma troppi colli di bottiglia per autorizzazioni e incentivi, qualenergia.it, 14/05/2021, https://www.qualenergia.it/articoli/agrivoltaico-tante-potenzialita-troppi-colli-bottiglia-autorizzazioni-incentivi/