Arabia Saudita: il caso X

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  Francesca Alfonzi
  30 settembre 2023
  3 minuti, 48 secondi

Il social network ora conosciuto come ‘X’ - ex ‘Twitter’ - è stato al centro di uno scandalo che ha portato ad una causa giudiziaria coinvolgendo diversi attori tra cui l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti con un capo di accusa molto grave: quello di violazione dei diritti umani.

Tutto ha inizio nell’aprile del 2021 quando Abdulrahman al-Sadhan, un dipendente della Mezzaluna Rossa (ovvero la società degli stati musulmani aderenti alla Croce Rossa internazionale), è stato arrestato, torturato e condannato a venti anni di carcere dal tribunale penale specializzato (SCC) con annesso divieto di viaggi all’estero per ulteriori vent’anni. Le accuse comprendevano quella di finanziamento del terrorismo, sostegno a un’entità terroristica e offesa a istituzioni e funzionari statali attraverso la diffusione di false voci su di loro. Le prove invece, consistevano in oltre 200 pagine di tweet associati ad un account anonimo utilizzato dall’operatore umanitario per criticare e schernire i funzionari pubblici, le istituzioni politiche e religiose e il loro rapporto, così come le varie questioni sociali ed economiche che sta vivendo l’Arabia Saudita.

A seguito della sparizione di Abdulrahman al-Sadhan, avvenuta nel 2018 e durata circa due anni, e del processo caratterizzato da irregolarità e possibili torture finalizzate ad una falsa confessione (quello portato avanti dal SCC nel 2021), la sorella dell’imputato ha voluto prendere in mano la situazione. Per questo motivo, Areej al-Sadhan, lo scorso maggio ha intentato una causa contro X - precedentemente noto come Twitter - accusando il social network di essere complice del governo saudita nella violazione di diritti umani e della divulgazione di dati riservati dei suoi utenti. La causa civile, esaminata dagli Stati Uniti, sostiene inoltre che ‘X’ divulghi e rilasci informazioni confidenziali su richiesta del governo di Riyad ad una percentuale maggiore rispetto a quella di altri paesi quali il Canada o il Regno Unito. Inoltre, l’accusa sostiene anche che la società di social media, precedentemente sotto la guida di Jack Dorsey, fosse a conoscenza della campagna saudita per stanare i dissidenti online ma l’avrebbe volontariamente ignorata per motivi economici e finanziari e per mantenere dei legami più stretti con il suddetto governo - uno dei più grandi investitori nell'azienda - e abbia quindi fornito assistenza al regno.

Il caso di Abdulrahman al-Sadhan non è nè il primo nè l’unico del suo genere: questa repressione sul social network andrebbe avanti dal 2014, coinvolgendo molti agenti sauditi infiltrati che, spacciandosi per dipendenti di X e quindi ‘protetti’ da una falsa identità, riescono a identificare i dissidenti del governo. Tra i casi più recenti troviamo quello di Muhammad al-Ghamdi, insegnante ormai in pensione, che è stato condannato a morte il 10 luglio 2023 per le sue attività su X e YouTube. Prima di lui, anche Salma al-Shehab, un studentessa dottoranda, accusata di terrorismo, è stata condannata a 27 anni di carcere a causa di alcuni tweet che sostenevano l’attivismo per i diritti delle donne.

In Arabia Saudita la questione dei social media, della libertà di espressione e della relativa repressione digitale è estremamente critica. Difatti, non è necessario manifestare apertamente il proprio dissenso verso il regime saudita o pubblicare contenuti critici nei suoi confronti per essere a rischio di arresto, detenzione o addirittura di morte, ma è sufficiente ricondividere, seguire o mettere un semplice ‘like’ a post o utenti sgraditi dal governo. Non a caso, nella classifica stilata da ‘Freedom House’, l’Arabia Saudita rientra nella categoria di ‘paese non libero’ anche a causa dei numerosi ostacoli per l’accesso a internet, le limitazioni ai contenuti online e le violazioni dei diritti degli utenti.

Nonostante quella che sembrerebbe essere una vera e propria ‘escalation’ della repressione del governo di Riyad sulla libertà di espressione, sempre più persone stanno prendendo atto e consapevolezza di questa situazione soprattutto grazie a campagne di sensibilizzazione internazionale - come quella promossa da Areej al-Sadhan in seguito all’arresto di suo fratello - nella speranza di mettere un punto a questo tipo di violazioni.



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L'Autore

Francesca Alfonzi

Laureata nel 2021 in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna; al primo anno di Magistrale in Relazioni Internazionali presso l'Università Sapienza di Roma.

Autrice per l'area tematica 'Diritti Umani'

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Twitter X human rights freedom of expression freedom of speech Libertà d'espressione libertà di parola Social Network Saudi Arabia Arabia Saudita Diritti umani