Chi trarrà beneficio dalla guerra tra Israele ed Hamas?

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  Redazione
  16 ottobre 2023
  7 minuti, 8 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Tanto tuonò che piovve! Questo antico detto descrive bene quanto sta accadendo a Gaza.

Israele e Hamas sono in conflitto da sempre, ben fomentato dalle grandi potenze e dai cospicui e contrastanti interessi politico-economici vigenti in quest’area conflittuale. Con largo e costante seguito di morti e odio crescente. In queste prime ore del conflitto può sembrare che Hamas e l’Iran (suo più fedele e ostinato sostenitore) stiano ottenendo alcuni vantaggi dai sanguinosi eventi che si stanno verificando tra i due contendenti.

Ma ad un’analisi meno superficiale, equilibrata e realistica la situazione appare altamente instabile e gli eventuali vincitori – qualora ci fossero - potrebbero rapidamente trasformarsi in sonori perdenti.

Tutti i protagonisti locali e internazionali sperano con forza che nessuno tragga eccessivo vantaggio da questo atto di guerra truce, indiscriminata e disumana, se non altro nel lungo periodo. Tuttavia, ben si sa che il mondo è talvolta un luogo crudele e la giustizia non viene sempre rispettata, anzi.

Per il momento solo due cose sono certe: le enormi fortune che aumenteranno a favore dei leader estremisti e dei produttori/fornitori di armi.

Detto questo, un’analisi cauta e sobria – lontana in ogni caso dal linguaggio truculento e zeppo di slogan privi di logica e di concretezza degli estremisti - merita un approccio ed una logica risolutivi piuttosto che la ricerca di una mera e cieca vendetta, che da più parti già si sente.

La metafora presto utilizzata contro lo stato ebraico secondo il quale saremmo all’ “11 settembre di Israele”, di vero indica soltanto il vistoso e preoccupante esempio di faciloneria dato dall'intelligence e detecting che hanno dimostrato uno Stato ebraico pateticamente impreparato. Ma contiene anche lezioni importanti su cosa fare dopo.

Gli Stati Uniti

Per quanto gli Stati Uniti avessero tutto il diritto – ma anche il sostegno di gran parte del mondo democratico mondiale – di reagire contro i terroristi, con la conseguente campagna militare hanno sprecato più di trilioni di dollari e molta buona volontà a livello globale.

Nel senso che anche le estenuanti guerre in Afghanistan e Iraq, che hanno ucciso quasi 300.000 persone, soprattutto civili, hanno concentrato le menti e il materiale americano su una specifica regione del mondo, consentendo alla Cina di emergere in gran parte indisturbata e senza sensibili ostacoli fino a diventare oggi un formidabile concorrente geopolitico e strategico di Washington.

E Israele..?

Gerusalemme farebbe bene, nonostante lo shock nazionale, il dolore e la giusta ripugnanza per le gratuite atrocità, persino verso i bambini, a misurare la sua risposta e a pensare e confidare nel lungo termine.

Tecnicamente, potrebbe “vincere” la guerra contro Hamas, così come gli Stati Uniti hanno rapidamente sconfitto i talebani e spodestato il dittatore iracheno. Tuttavia, il luogo in cui vorrà essere tra vent’anni costringe la classe dirigente israeliana a determinare oggi che cosa vuole fare e/o dovrà essere in un lontano domani.

Altre considerazioni sui benefici o meno

È troppo presto per dire chi, alla fine delle ostilità, avrà la meglio e trarrà beneficio risolutivo da tale tragico evento bellico, avviato dall’attacco a sorpresa di Hamas e che ha tutto il potenziale per trascendere verso una grande conflagrazione regionale e/o di una massiccia distruzione del territorio dove Hamas trova sussistenza e rifugio.

L’evento bellico appare di forma e valenza del tutto tattica e transitoria mentre il radicalismo in tutte le sue forme è finora l’unico elemento duraturo ad aver trionfato.

A dominare il quadro anche mediatico è la logica a somma zero. Da un lato, sono traumatizzanti le immagini feroci di Hamas e della Jihad islamica palestinese che superano le recinzioni di confine, si infiltrano nelle basi militari in Israele e trucidano i civili, bambini compresi.

I risultati attuali hanno suscitato l’ammirazione di numerosi protagonisti mussulmani del teatro mediorientale, evidenziata sui social media dalle manifestazioni di giubilo nelle città e strade arabe, con rare eccezioni.

Il trauma israeliano

La soddisfazione palestinese per l'umiliazione subita dall’esercito israeliano e la rivelazione concreta della sua vulnerabilità hanno portato le persone a sminuire artatamente le atrocità commesse contro i civili israeliani, bambini compresi.

La lotta armata viene dunque celebrata ed esaltata come l’unico approccio perseguibile per conseguire la “liberazione” della Palestina.

D’altro canto, negli Stati Uniti e nelle capitali europee, molti leader politici si sono schierati nettamente dalla parte di Israele, facendo eco alla necessità di immediate ritorsioni e di vittorie militari. I palestinesi sono ancora una volta percepiti e descritti innanzitutto come terroristi.

Tuttavia, questo approccio, tutto da “o con noi o contro di noi”, lascia di conseguenza da soli gli israeliani, i palestinesi della Cisgiordania e gli altri soggetti che lottano sul terreno per la soluzione pacifica dei conflitti, la parità di diritti e la coesistenza pacifica.

Esistono vantaggi per qualcuno…?

Non è affatto chiaro chi trarrà vantaggio dalla straordinaria iniziativa di Hamas, e potrebbe essere proprio questo il punto.

Quelli che già adesso appaiono evidenti sono i veri perdenti sul piano tattico: in primis gli oltre mille civili israeliani barbaramente uccisi; gli abitanti di Gaza sono sotto un assedio ancora più stretto ed intenso; i leader civili e militari israeliani malamente sconfitti ed umiliati; i pochi ma irrilevanti leader a Ramallah; i diplomatici americani con i loro piani ora scompaginati e nel caos.

Viene demolito anche una sorta di modus vivendi: per oltre quindici anni, Israele e Hamas hanno negoziato una serie di condizioni per Gaza, usando la violenza brutale per adeguarsi ma senza mai abbandonare tali accordi.

Soltanto Israele considerava il risultato ottimisticamente indefinito. Al contrario, gli abitanti di Gaza hanno pagato un prezzo materiale e politico molto elevato. E con Hamas capace di esercitare un regime dittatoriale su di loro ma inadeguato ad essere all’altezza della sua autoproclamata ed esaltata missione di movimento leader e di resistenza anti-occidentale.

Questo risultato ha indotto alcuni leader all’interno di Hamas a gettare letteralmente al vento ogni forma di prudente prassi politica.

Oggi, il loro successo a breve termine è un dato di fatto. Ma ora che intenzioni hanno? Quali soluzioni presentano ai mediatori internazionali?

Con suoi martellanti richiami all’Islam e alla guerra santa, Hamas oltre che manifestare l’ assenza di un piano politico di valore, sembra agire solamente sulla base di una preghiera sui generis sul piano religioso piuttosto che su un progetto concreto e approvabile sul piano internazionale.

Altri quesiti…

Sussistono altri quesiti: Israele rioccuperà Gaza? Quale scopo ha in mente?

Qualcuno degli estremisti israeliani cambierà il proprio punto di vista? Hamas sopravviverà e, se sì, in che forma?

I palestinesi che oggi esultano ricadranno domani nella disperazione impotente?

Saranno le conseguenze indesiderate, piuttosto che l'audacia tattica, a determinare chi trarrà beneficio dalla azzardata scommessa di Hamas.

Le difficoltà di trovare una soluzione

In questa fase così acuta del conflitto è difficile vedere qualcuno che possa trarre vantaggio da questa guerra. Gli stessi israeliani e palestinesi non guadagnano nulla dalla violenza e dall’escalation, ma alcuni soggetti esterni è certo che cercheranno di trarne vantaggio.

Sappiamo tutti chi sono.

Il confronto armato israelo-palestinese di Hamas è uno dei tanti conflitti nel mondo che non è mai stato risolto e che nel corso degli anni si è più o meno congelato. E’ vero che ha inflitto sofferenza a molti, divampando di tanto in tanto, ma richiedendo troppi compromessi e troppa flessibilità da parte delle persone coinvolte per poter essere risolta una volta per tutte.

Troppo spesso questo conflitto è stato definito tra quelli a “bassa intensità”.

Ora che il mondo sta cambiando ancora una volta e gli equilibri di potere si stanno spostando sia nella regione che a livello globale, improvvisamente questi conflitti, però, iniziano a sciogliersi e ricominciano i combattimenti ad “alta intensità”.

Lo vediamo in Israele e Palestina. Lo abbiamo visto anche nel Nagorno-Karabakh qualche settimana fa. Bosnia e Kosovo sono sull’orlo del baratro.

Purtroppo, questi esempi ci ricordano che non c’è niente di meglio delle soluzioni reali e della pace autentica, perché solo da questa, almeno, molte persone alla fine traggono beneficio.

Servirà una pace innovativa senza prendere esempio dal passato.

Anche perché la storia umana e delle nazioni non ha la retromarcia.

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