Nel 58° anniversario della Naksa – termine che si riferisce alla Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967 - il ricordo dello sfollamento di 300.000 palestinesi si sovrappone ad una nuova ondata di devastazione. L’operazione militare avviata da Israele nella Cisgiordania occupata lo scorso gennaio ha comportato l’abbandono forzato delle proprie case per decine di migliaia di persone.
Le operazioni militari israeliane in Cisgiordania sono iniziate a metà del 2023. Da allora, i campi profughi del nord sono stati resi inabitabili. Il 21 gennaio 2025 Israele ha avviato l’operazione militare denominata Iron Wall, che ha portato allo svuotamento dei tre principali campi profughi del nord della Cisgiordania: Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Dichiarandoli “zone militari chiuse”, agli abitanti è stato impedito di accedere alle loro case. Attraverso l’utilizzo di carri armati, attacchi aerei e la distruzione di edifici, strade e infrastrutture, la libertà di movimento all’interno dell’area è stata pesantemente limitata. Le tensioni sono alte anche verso ingerenze internazionali: il 21 maggio una delegazione diplomatica composta da rappresentanti di oltre 20 stati è stata colpita da soldati israeliani durante una visita al campo di Jenin.
Dall’inizio dell’operazione militare sono circa 40.000 i palestinesi sfollati, la metà dei quali solo nel campo di Jenin. Secondo Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International, il trasferimento forzato di civili costituisce una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, oltre ad un crimine di guerra. Lo sfollamento e il trasferimento forzato violano il diritto umanitario internazionale, in particolar modo l’articolo 49 della suddetta Convenzione.
L’intervento militare in atto da gennaio non sta colpendo solo la sicurezza fisica delle persone quanto piuttosto i loro diritti fondamentali quali la loro casa, la libertà di mobilità e la possibilità di istruzione. La distruzione di centinaia di abitazioni all’interno dei campi sta avvenendo sia per ordini di demolizione che attraverso interventi armati, azioni che sono state approfonditamente analizzate dal Crisis Evidence Lab di Amnesty International. Raccogliendo e analizzando più di 50 tra video e fotografie condivise dagli abitanti della zona e dai soldati sui social media, che documentano la distruzione di abitazioni e infrastrutture civili, Amnesty International riconosce segni visibili di una vera crisi umanitaria.
L’utilizzo di attacchi aerei, bulldozer corazzati, detonazioni controllate è all’ordine del giorno. Quasi 700 attività commerciali sono state distrutte o costrette a chiudere nei pressi di Tulkarem. Qui, i primi di maggio, l’esercito israeliano ha emesso l’ordine di demolizione per 106 abitazioni all’interno dei campi per rifugiati della città. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, nei primi sei mesi del 2025 sono state demolite 840 strutture per un totale di 1114 palestinesi sfollati. Le strutture demolite includono palazzi residenziali, edifici legati ai servizi o al sostentamento – negozi, rifugi per animali e magazzini. Il numero di persone colpite dalla demolizione di tali strutture è, ad oggi, 8897. Con “persone colpite” s’intendono coloro il cui sostentamento è stato compromesso dalla demolizione, pur non essendo sfollati.
Molte città si sono trasformate in luoghi fantasma. La tragedia che si identifica in questi atti non è solo materiale, quanto piuttosto psicologica e familiare. Intere famiglie continuano a perdere tutto ciò che costituisce la loro identità, a partire dai loro cari, proseguendo con i loro averi. La salute mentale delle persone sfollate è stata definita più volte da Medici Senza Frontiere come allarmante in quanto, a causa di ansia, depressione e stress causati dall’imprevedibilità e della violenza delle circostanze in cui vivono, molte persone arrivano a dubitare del senso stesso della propria vita.
Nonostante la Corte Internazionale di Giustizia (Cig) si sia già espressa nel Parere consultivo del luglio 2024, dichiarando la presenza israeliana nei territori palestinesi del tutto illegale, mancano ancora azioni concrete. Infatti, secondo la Cig, le politiche implementate dallo Stato d’Israele nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme est e in Cisgiordania, possono essere definite come gravi violazioni del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Oltre a ciò, gli Stati terzi, in particolar modo coloro che intrattengono con l’occupante relazioni economiche e commerciali, sono tenuti a interrompere qualsiasi forma di aiuto o assistenza al mantenimento di tale occupazione. A 58 anni da Naksa, ad essere commemorato non è solo il passato, ma la realtà di un presente che isola la popolazione palestinese da un contesto internazionale che lascia loro contare i morti da soli e seppellire le proprie vite sotto le macerie.
Condividi il post
L'Autore
Chiara Giovannoni
Chiara Giovannoni, classe 2000, è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Strategie Culturali per la Cooperazione e lo sviluppo presso l’Università Roma3.
Interessata alle relazioni internazionali, in particolare alla dimensione dei diritti umani e alla cooperazione.
E’ volontaria presso un’organizzazione no profit che si occupa dei diritti dei minori in varie aree del mondo.
In Mondo Internazionale ricopre la carica di autrice per l’area tematica Diritti Umani.
Categorie
Tag
Cisgiordania Israele distruzione sfollati Naksa