Israele, l’Intelligenza artificiale e i “danni collaterali”

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  Giorgio Giardino
  16 dicembre 2023
  5 minuti, 31 secondi

Dall’inizio della controffensiva israeliana, le vittime civili fra i palestinesi sono state decine di migliaia, nonostante Israele abbia più volte dichiarato di operare in modo da ridurre al minimo il coinvolgimento della popolazione civile. Un’inchiesta di +972 Magazine, condotta insieme a Local Call, mostra però che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) sarebbero a conoscenza, prima di effettuare gli attacchi, dei danni collaterali che potrebbero esserci, anche grazie ad un programma chiamato “Hasbora”, letteralmente “il Vangelo”.

I numeri delle vittime civili

Il 5 dicembre scorso, il portavoce dell’IDF, il tenente colonnello Jonathan Conricus ha confermato in un’intervista alla CNN che sarebbero due le vittime civili palestinesi nella Striscia di Gaza per ogni militante di Hamas ucciso. Ha poi affermato che questo rapporto è “straordinariamente positivo e forse unico al mondo”, confermando che le forze israeliane hanno eliminato circa 5.000 combattenti di Hamas.

Dall’inizio della controffensiva nella striscia di Gaza, a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso che hanno portato alla morte circa 1.200 israeliani, Israele ha trattato il tema delle vittime civili palestinesi come un qualcosa di inevitabile, dato il contesto in cui vengono effettuati gli attacchi.

Nonostante una serie di accorgimenti, come l’invio di volantini in cui vengono segnalate le aree sicure in cui dirigersi, molte analisi evidenziano che poche volte nel corso degli ultimi vent’anni ci sono state, in proporzione, così tante morti fra i civili durante un conflitto, e nell’arco di così poco tempo. Dall’inizio della controffensiva, sono più di 18.000 le vittime palestinesi, secondo quanto riferito dai funzionari della Striscia governata da Hamas, che però non fa distinzioni nel conteggio fra vittime civili e combattenti. Le stime parlano però di almeno 10.000 vittime civili nell’arco di due mesi.

In un’analisi pubblicata sul giornale israeliano Haaretz, Yagil Levy, professore di Sociologia alla Open University di Israele, sostiene che in proporzione, il 61% di vittime palestinesi del conflitto sarebbero civili. Sarebbe una percentuale decisamente maggiore rispetto alla media di quelle degli altri conflitti avvenuti nel corso del ventesimo secolo, dove i civili rappresentavano circa la metà delle vittime totali.
Ma si tratta anche di un aumento rispetto alle precedenti campagne militari di Israele: nel periodo che va dal 2012 al 2022, ci si aggirava intorno al 40%, con una diminuzione durante l’operazione Shield and Arrow dell’inizio di quest’anno.

Regole di ingaggio allentate

Dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre, Israele ha dichiarato di voler “sradicare Hamas”, per quanto alcuni ritengano questo obiettivo abbastanza vago. Ma secondo una delle fonti sentite durante l’inchiesta, fra gli alti ufficiali israeliani è forte anche la volontà di “dare all’opinione pubblica un’immagine vittoriosa che salvi la loro reputazione”. Una risposta quindi all'impreparazione mostrata durante l’offensiva di Hamas. Questo si è tradotto anche in regole di ingaggio più allentate per l’IDF, e nella decisione di colpire più frequentemente obiettivi che non sono strettamente di natura militare.

Si tratta degli “obiettivi di rilievo” (in ebraico matarot otzem), ovvero grattacieli, univeristà, banche, uffici governativi. Prima di colpirli, la procedura imporrebbe di accertarsi che siano stati sgomberati, con l’idea di eliminare l’infrastruttura. Prima di autorizzare un bombardamento, secondo quanto riferito da un ex militare israeliano, gli operatori avrebbero a disposizione un calcolo abbastanza sicuro sul numero di civili ancora presenti, fornito da un algoritmo. Alcuni palazzi sarebbero però stati colpiti senza che i civili all’interno fossero stati avvertiti.

Ma durante le prime fasi della controffensiva sono state colpite in maniera massiccia anche le “case degli agenti”, ovvero le abitazioni private in cui si ritiene abiti un militante di Hamas o della Jihad islamica.

Le fonti hanno riferito che le forze israeliane sono a conoscenza dei potenziali “danni collaterali” che ciascun attacco potrebbe produrre. Esistono diversi gradi di danno collaterale, e nelle precedenti campagne militari il limite era il grado cinque, ovvero la presenza di cinque civili che sarebbero potuti morire. In quei casi gli attacchi venivano autorizzati solo in presenza di figure di rilievo di Hamas. Questo limite sembrerebbe essere venuto meno e le autorizzazioni verrebbero concesse in maniera più facile.

Hasbora

Questo elevato numero di vittime civili, di “danni collaterali”, non si spiegherebbe però solo dalla difficoltà di operare in un’area così densamente abitata come quella della Striscia di Gaza. Secondo un’inchiesta condotta da +972 Magazine insieme a Local Call, in cui sono stati sentiti sette agenti dell’intelligence israeliana, Israele avrebbe anche a disposizione un sistema basato sull’intelligenza artificiale chiamato Hasbora, letteralmente il Vangelo. 

Non è ancora noto il funzionamento e la tipologia di dati che il sistema utilizza per individuare gli obiettivi da colpire, ma secondo gli esperti sentiti dal Guardian, l’Intelligenza Artificiale alla base di Hasbora potrebbe funzionare basandosi su una serie di informazione, come immagini scattate da droni, intercettazioni telefoniche e informazioni ricavate dal monitoraggio degli spostamenti delle persone individuate. Il risultato è che dai circa 50 obiettivi individuati l’anno, si è passati a circa 100 al giorno, risolvendo uno dei “problemi” che le forze armate israeliane avevano riscontrato nelle campagne precedenti: la mancanza di target da colpire. L'alto numero di attacchi compiuti si spiega quindi anche dalla capacità dell'IDF di poter generare in maniera automatica centinaia di possibili obiettivi da colpire.

Ogni volta che comincia un attacco israeliano, gli alti ufficiali di Hamas si mettono al riparo all’interno dei tunnel. A questo punta Hasbora offre agli operatori obiettivi diversi, come le abitazioni di militanti di basso grado, le “case degli agenti”, in cui si ritiene ci sia almeno un affiliato. Sembrerebbe però che in alcuni casi siano state colpite famiglie in cui nessuno facesse parte nè di Hamas nè della Jihad islamica.

Una strategia politica sbagliata

L’idea alla base di questa strategia sembra però non essere solida: colpire la popolazione civile con l’obiettivo di condizionare Hamas e spingerla ad arrendersi non sembra infatti essere una strategia politica, prima che militare, realmente efficace. Anzi, la distruzione in atto nella Striscia e la violenza contro la popolazione difficilmente può porre le basi per un dialogo futuro, in cui i superstiti degli attacchi difficilmente riusciranno a vedere in Israele un interlocutore al posto di un nemico. 

Inoltre gli attacchi in atto stanno avendo l’effetto di aumentare la pressione internazionale su Israele. Nel frattempo, come ha affermato Philippe Lazzarini, direttore dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, “Gaza è l’inferno sulla terra”.

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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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Diritti Umani

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