Come cambia la politica estera emiratina: tra diplomazia e soft power commerciale

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  Michele Magistretti
  30 novembre 2021
  4 minuti, 13 secondi

Il 24 novembre il Medio Oriente ha assistito ad un evento particolare. Dopo una decade, il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, e il leader della federazione emiratina, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, si sono incontrati. Questo incontro può essere considerato un ulteriore tappa del processo di riconciliazione regionale promosso dal vertice di Al-Ula tra i paese del Consiglio di Cooperazione del Golfo. In particolare, l’incontro dei due leader mostra come gli Emirati stiano modificando la propria postura nella gestione degli affari regionali, preferendo la diplomazia all’interventismo militare diretto o indiretto.

Vediamo quindi come la federazione emiratina ha ricalibrato la propria azione politica in ambito regionale e non solo.

Cambio di paradigmi: dal conflitto al dialogo

Dopo essere rimasti cauti nei primi mesi dopo il “disgelo” di Al-Ula, da agosto gli EAU hanno intrapreso un cammino di avvicinamento diplomatico con gli storici rivali, per varie ragioni. Dopo anni di conflitti ad alta intensità in vari scenari di tensione regionale, la dirigenza emiratina ha deciso di smussare l’impronta del proprio intervento militare diretto e indiretto, privilegiando una strategia di stampo mercantilista volta ad aumentare la proiezione commerciale della federazione.

Seguendo questa direttrice si possono comprendere le recenti aperture nei confronti dello storico rivale turco, che a sua volta si vede costretto al dialogo anche per le difficoltà economiche contingenti che deve affrontare. I due leader hanno firmato una decina di memoranda of understanding in vari settori. Tra questi accordi vi è quello tra Abu Dhabi Ports Company e il Turkey Wealth Found, il quale ha tra i suoi asset Turkish Airlines, Turkish Postal Services e la maggiore compagnia di telecomunicazioni turca. Inoltre, vi sono anche accordi riguardo il contrasto al riciclaggio di denaro, l’anti-terrorismo e un accordo tra le rispettive banche centrali, che permette di iniettare alcuni miliardi di dollari nelle casse della banca centrale di Ankara. Il volume complessivo degli accordi raggiunge circa i 10 miliardi di dollari.

Rimangono comunque delle divergenze politiche riguardo alcuni dossier, ma per il momento entrambi i paesi sembrano propensi a non trattare le questioni politicamente più sconvenienti e spinose per concentrarsi sui temi economici.

La strategia emiratina: preservare le rotte commerciali e ampliare il proprio soft power economico

La federazione araba ha costruito nel corso dell’ultimo decennio una fitta rete di relazioni politiche e commerciali che la rendono un attore fondamentale dall’oceano indiano al Mediterraneo. Negli ultimi anni ha approfondito i propri legami commerciali ed economici con Nuova Delhi. La multinazionale DP World di Dubai ha finanziato numero progetti logistici e nel settore delle infrastrutture nel subcontinente indiano.

Una delle priorità strategiche degli EAU è la libertà di navigazione e il mantenimento della sicurezza marittima lungo le rotte commerciali che collegano il Golfo Persico al Mar Mediterraneo. Per questa ragione, da alcuni mesi ha iniziato un percorso di dialogo con l’ingombrante vicino persiano. Nel corso degli ultimi anni vi sono stati numerosi incidenti nello stretto di Hormuz, nell’ambito della perenne ma latente guerra ibrida in corso tra Iran e Israele. L’obbiettivo della federazione è quello di avallare un percorso di allentamento delle tensioni tra i due rivali, con il fine di rendere meno rischiose le rotte marittime che interessano la propria proiezione economica regionale. A breve pare siano attese consultazioni di alto livello tra la federazione araba e la potenza persiana per discutere di alcune tematiche di interesse comune.

Ma gli EAU desiderano aumentare la propria influenza politica nella regione promuovendo la normalizzazione dei rapporti con il regime siriano di Bashar al-Assad. A inizio novembre, il ministro degli esteri emiratino, Sheikh Abdallah bin Zayed al-Nahyan, ha incontrato il presidente siriano per la prima volta dopo dieci anni. Gli Emirati mirano a prendere parte alla ricostruzione del paese, devastato da quasi dieci anni di conflitti.

Anche la postura verso il nuovo regime talebano sembra mutare. Secondo alcune fonti giornalistiche, la piccola potenza del Golfo starebbe cercando di intavolare un dialogo con il nuovo emirato islamico per gestire la sicurezza dell’aeroporto di Kabul, provando quindi a fare concorrenza a Doha. I talebani sostengono addirittura che il paese arabo abbia riaperto la propria ambasciata nel paese, ma gli Emirati non hanno voluto commentare al riguardo.

Per ora, dunque, il nuovo contesto internazionale, la crisi economica globale e quella pandemica sembrano aver condotto Abu Dhabi a ricalibrare la propria azione internazionale, preferendo il dialogo e la cooperazione economica alla confrontazione militare. Questo approccio non è certo rimanga tale ed è dovuto a una precaria situazione contingente, in cui anche altri attori regionali scelgono il dialogo più per costrizione che per convinzione.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://ahval.io/turkey-uae/ua...

https://www.al-monitor.com/ori...

https://carnegieendowment.org/...

https://www.reuters.com/world/...

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Michele Magistretti

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Emirati Arabi Uniti