Come sta il nostro pianeta? Il modello dei Planetary Boundaries

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  Leonardo Di Girolamo
  26 ottobre 2023
  4 minuti, 49 secondi

Una comune difficoltà che si riscontra nei continui dibattiti sui cambiamenti climatici, al di là del negazionismo, risulta essere la quantificazione del fenomeno. Si tratta di concetti assai complessi e, persino per gli esperti, è difficile riassumere ciò che l’Antropocene sta portando al nostro pianeta in numeri chiari e pressoché precisi. Il modello forse più interessante per ovviare a questo problema è stato presentato nel 2009 da un gruppo di ricercatori con a capo l’ecologo e ricercatore svedese Johan Rockström: i Planetary Boundaries.

NON-LINEARITÀ

I Planetary Boundaries, traducibili come “confini del pianeta”, definiscono lo spazio per l’umanità in cui è possibile operare in sicurezza, rispettando la Terra, e sono associati ai processi biofisici del pianeta. Il concetto importante che bisogna sottolineare per comprendere il modello suggerito è la non-linearità. La nostra mente è abituata a ragionare in termini lineari, ma sfortunatamente gli ecosistemi che ci circondano non seguono lo stesso schema: se certi valori chiave per il pianeta vengono superati, anche di poco, le conseguenze possono essere esponenziali e brusche. Per spiegare in termini più semplici il modo in cui la Terra reagisce ai cambiamenti, possiamo immaginare che ogni unità di CO2 aggiuntiva provochi lo spostamento di un bicchiere poggiato su un tavolo: nonostante la CO2 aumenti, il bicchiere semplicemente si sposta, senza grossi effetti collaterali. Ad un certo punto, tuttavia, il bicchiere raggiungerà la fine del tavolo, che possiamo identificare con i Planetary Boundaries. Da lì in poi, ogni unità di CO2 addizionale rischierà di far oltrepassare il limite al bicchiere, finché questo non cadrà a terra frantumandosi in mille pezzi. Allo stesso modo reagirebbe il nostro pianeta, e così sta già reagendo, al superamento dei confini.

IL MODELLO DEL 2009

Rockström e il suo gruppo di ricerca, già nel 2009, suggerivano un modello che tenesse in considerazione nove variabili, assegnando loro un valore critico, oltre il quale si sarebbero generati cambiamenti climatici inaccettabili per l’umanità. Le difficoltà principali sono state, a detta dei ricercatori, identificare dei valori quanto più precisi per alcuni dei boundaries e suddividerli quanto più possibile (il superamento di uno di essi può a sua volta influire sugli altri, sottolineando la profonda interconnessione fra i processi del sistema Terra). I boundaries identificati sono:

  • Cambiamento climatico: si tratta di due valori distinti accorpati in uno, ovvero la concentrazione di diossido di carbonio in atmosfera e il cambiamento della forzante radiativa; entrambi i valori erano già stati superati nel 2009;
  • Tasso di perdita della biodiversità: il tasso di estinzione delle specie sul pianeta, valore al tempo difficile da stimare ma certamente superato di molto;
  • Flussi biochimici: altro boundary suddiviso in due valori distinti, ovvero i cicli di nitrogeno (la quantità di nitrogeno rimosso dall’atmosfera per via dell’attività umana) e i cicli di fosforo (la quantità di fosforo che fluisce negli oceani); il valore legato al nitrogeno era già stato ampiamente superato, mentre quello del fosforo era pericolosamente vicino al boundary;
  • Impoverimento dell’ozono stratosferico: la concentrazione di ozono in atmosfera; valore non superato, anche grazie all’attenzione mediatica dedicata al cosiddetto “buco nell’ozono” e alle misure intraprese dai vari Stati in materia;
  • Acidificazione degli oceani: lo stato di saturazione medio globale dell’aragonite sulla superfice dei mari, valore non superato;
  • Utilizzo globale di acqua dolce: semplicemente, il consumo di acqua dolce da parte degli umani; valore non superato nel 2009;
  • Cambiamento dell’utilizzo dei suoli: percentuale della copertura del suolo a livello mondiale convertita a terreni agricoli, valore non superato nel 2009;
  • Carico di aerosol atmosferico: la concentrazione di particolato in atmosfera su base regolare; valore non determinato dal gruppo di ricerca;
  • Inquinamento chimico: un valore che raccoglie varie tipologie di inquinamento chimico, pertanto non definito con precisione e non determinato dal gruppo di ricerca.

Al di fuori dei due valori non determinati, già nel 2009 erano stati superati tre Planetary Boundaries e i ricercatori ci avevano avvertito che il trend stava peggiorando.

IL MODELLO DEL 2023: COS’È CAMBIATO?

Nel settembre del 2023, per la prima volta, un gruppo di ricercatori (fra cui, ancora una volta, Rockström) sono riusciti a determinare in modo preciso tutti i nove boundaries e a calcolare il valore corrente di ognuno di essi. Inoltre, hanno anche arricchito il modello dividendo alcuni boundaries precedentemente identificati in sottocategorie (ad esempio, l’utilizzo globale di acqua dolce è stato suddiviso in acque blu e acque verdi) e rivedendone altri. Il risultato della ricerca è estremamente preoccupante: sei Planetary Boundaries su nove sono stati superati. Nel dettaglio, si tratta di: nuove entità (ovvero sostanze chimiche sintetiche, plastiche e altre molecole “attive”), flussi biogeochimici, disponibilità di acqua dolce, utilizzo del suolo, cambiamento dell’integrità della biosfera e cambiamento climatico. Inoltre, l’acidificazione degli oceani è vicina al limite e il carico di aerosol atmosferico non è lontano dal boundary. L’unico Planetary Boundary che sembra essere al sicuro è l’impoverimento dell’ozono stratosferico.

COSA POSSIAMO TRARRE DALLE RICERCHE DI ROCKSTRÖM?

Calcolare con precisione quali siano le cause e le conseguenze dell’Antropocene sul nostro pianeta è estremamente difficile; pertanto, spesso le discussioni e i dibattiti sul tema girano attorno ai cosiddetti “cambiamenti climatici” in modo vago e astratto. Proprio per evitare ciò, è importante avere a disposizione un modello come quello dei Planetary Boundaries, in grado di farci visualizzare in modo chiaro ed efficace lo stato del sistema Terra. E si tratta di uno stato complesso e preoccupante, il quale ci dimostra che gli obiettivi sbandierati dagli Stati, come gli Accordi di Parigi e l’aumento della temperatura non oltre gli 1.5°C, siano oramai difficilmente raggiungibili.

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