Compromesso trovato per il Recovery Fund

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  Redazione
  19 dicembre 2020
  5 minuti, 58 secondi

A cura di Valentina De Consoli

Dopo lo stallo che ha caratterizzato gli ultimi mesi, un compromesso che portasse tutti gli Stati membri ad approvare il piano Next Generation EU è stato trovato: anche Ungheria e Polonia hanno detto sì.

Il progetto ha visto forti opposizioni e la necessità di grande abilità diplomatica da parte dei sostenitori fin dai suoi albori. Nelle ultime settimane, lo stallo creatosi verteva sul mancato consenso da parte di Polonia e Ungheria sulla “bozza di regolamento che subordina l’esborso dei fondi al rispetto dei principi democratici” (Ispi, 11/2020). L’impasse ha messo la presidenza tedesca in forte difficoltà: i due paesi spingevano per ottenere una modifica delle condizionalità che li agevolasse maggiormente; di contro i cosiddetti “paesi frugali”, capitanati dall’Olanda, frenavano ogni tipo di concessione sul rispetto dello Stato di diritto. Le istituzioni europee da diversi anni accusano i due paesi del blocco di Visegrad di mancato rispetto dei valori fondanti dell’UE: nel settembre 2018 il Parlamento europeo ha espresso preoccupazioni in merito a possibili violazioni di libertà giudiziaria, di espressione e non solo, in Ungheria; nel 2017 la Commissione Europea ha chiesto l’intervento UE per possibili minacce alla magistratura indipendente in Polonia.[i]

Dopo settimane di stallo, lunedì 8 dicembre si è arrivati a dare un ultimatum a Polonia e Ungheria, dicendo che se la situazione non avesse visto evoluzioni entro due giorni, si sarebbe trovato un accordo alternativo a 25, escludendoli. Il ministro degli esteri ungherese, Péter Szjjártó, ha risposto il giorno stesso che i due paesi avrebbero mantenuto il veto, ma il vertice del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre ha sortito un risultato differente. Grazie al lavoro della presidenza tedesca si è riusciti a raggiungere un compromesso: è stata proposta una dichiarazione d’intenti, firmata da tutti i paesi membri, in cui vengono stilate le modalità di condizionalità sullo Stato di diritto. Si stabilisce che, in caso di ricorso di annullamento al regolamento, verranno elaborate delle linee guida in consultazione con gli Stati membri, dopodiché quest’ultime saranno messe a punto successivamente alla sentenza della Corte di Giustizia”[ii]. Questo vuol dire che il meccanismo potrà entrare in vigore con un ritardo di almeno un anno e mezzo. Inoltre, la procedura di ricorso verrà preceduta da un dialogo col paese interessato, in modo da dargli la possibilità di rimediare, e il regolamento verrà applicato in rispetto dell’individualità del paese. Queste sono le condizioni che hanno permesso ad Ungheria e Polonia di accettare il pacchetto. Per accontentare l’opposizione, invece, si è inserita la retroattività del meccanismo, il quale entrerà in vigore dal primo gennaio 2021. Il Primo Ministro Olandese, Mark Rutte, ha chiesto un parere al servizio giuridico del Consiglio in merito a questa dichiarazione d’intenti.

Ma qualcuno effettivamente vince da questo compromesso? Come siamo arrivati a questo accordo? Perché i "paesi frugali” hanno smesso di opporsi fortemente proprio adesso?

Un vincitore reale non c’è, entrambe le parti hanno ottenuto una parziale vittoria. Per quanto riguarda la posizione di Viktor Orban, è riuscito a temporeggiare ottenendo la libertà di agire ancora due anni nel non rispetto dei valori fondanti dell’UE e poter così cambiare ulteriormente la costituzione in vista delle elezioni del 2022, in cui punta ad ottenere il suo quarto mandato consecutivo. Anche in Polonia il partito “Diritto e Giustizia” (PiS) vedrà un importante ritardo nelle sanzioni applicategli per mancanza di rispetto dello Stato di diritto. I paesi frugali, invece, hanno la certezza che prima o poi un ricorso alla Corte di Giustizia ci sarà e potrà riferirsi anche alle azioni compiute ante 1° gennaio 2021. Tuttavia si dovrà vedere fino a che punto i paesi del blocco di Visegrad riusciranno a districarsi durante il processo e nell’interpretazione della legge per il rispetto dell’identità nazionale.

Per quanto riguarda il tempismo legato a questo compromesso, diversi sono i motivi che hanno accelerato il processo decisionale, in primis la vicinanza al primo di gennaio. Dovendo affrontare la seconda ondata di contagi, che ha aggravato la crisi economica derivata dalla pandemia, molti paesi dell’UE, tra cui in prima linea Italia e Spagna in quanto più colpiti, non potevano permettersi un ritardo nella distribuzione dei fondi. A questo si unisce il fatto che recentemente la curva dei contagi ha avuto un incremento in diversi paesi: i Paesi Bassi hanno avuto un’impennata di casi a partire dai primi di dicembre (sotto i 4,000 il 1/12 e più di 9,000 il 12/12); la Polonia ha un andamento altalenante nella curva di contagi, che ne ha visto un incremento tra il 7 e il 10 dicembre; l’Ungheria ha avuto un forte aumento dei casi tra l’8 e il 12/12. Questo ha spinto Paesi di entrambe le fazioni a cercare, il più celermente possibile, un compromesso e quindi ad abbandonare il braccio di ferro inconcludente (Statistiche Coronavirus). In particolare, la nazione maggiormente interessata a superare l’impasse è la Polonia. Il governo di Varsavia è molto instabile dal punto di vista dei consensi: la coalizione al potere ha una maggioranza ristretta, da diversi mesi ormai continuano le manifestazioni contro la sentenza che boccia la legge per l’aborto del 1993 e, in più, la crisi economica si fa sentire e quindi il veto ai fondi europei non fa aumentare i consensi. A riprova di questo, un altro evento che ha spinto l’acceleratore verso l’accordo è stato l’invio di una lettera da parte dei sindaci di Varsavia e Budapest, sottoscritta da 249 sindaci polacchi e diversi comuni ungheresi, alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Nella lettera, il veto sui fondi europei è descritto come una mossa "irresponsabile" le cui conseguenze si riverserebbero solamente sulla popolazione dei due paesi; viene quindi chiesto loro di non privare i loro paesi dei fondi.[iii] Infine, un ultimo motivo che avrebbe potuto spingere i paesi frugali a superare lo stallo è la dichiarazione, da parte della presidente della BCE Christine Lagarde, sulle nuove previsioni dell’andamento del PIL dell’Eurozona: nel 2020 la previsione è stata al rialzo, -7,3% invece che -8,0%, ma per il 2021 la crescita stimata è del + 3,9%, contrariamente a +5,0%.

A questo punto sorge spontanea una domanda: ma il regolamento stilato permetterà, effettivamente, di rispettare lo Stato di diritto?

Fonti consultate per il presente articolo:

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