L’Unione Europea contro i paradisi fiscali

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  Michele Bodei
  08 ottobre 2021
  3 minuti, 8 secondi

La più grande inchiesta di sempre, condotta da più di 600 giornalisti di 150 testate provenienti da 117 paesi diversi e coordinata dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), si è conclusa con la pubblicazione di un lunghissimo reportage – i "Pandora Papers" – in cui sono state registrate le transazioni finanziarie internazionali di migliaia di persone tra celebrità, miliardari, membri di famiglie reali e leader politici. Lo scandalo ha messo in luce l’inefficacia della cooperazione internazionale contro il sistema dell’evasione fiscale. Ma esistono, all’interno dell’Unione Europea, meccanismi contro questi sitemi di evasione e riciclaggio?

Dal 2019, nell’Unione Europea è in vigore una Direttiva – The Anti Tax Avoidance Directive – che suggerisce agli stati di armonizzare le politiche fiscali sui redditi societari e di tracciare e tassare le transazioni finanziarie che coinvolgono più stati. Essendo una direttiva, è stato necessario l’intervento legislativo degli stati membri, che non in tutte le occasioni è stato soddisfacente. È il caso di Irlanda, Estonia, Ungheria e Cipro, paesi che notoriamente approfittano delle società offshore. È molto comune che stati piccole dimensioni - che non possono quindi garantire un aumento della produttività industriale - stimolino gli investimenti grazie a queste società, costituite per godere del regime fiscale vantaggioso in vigore e operanti effettivamente in un altro paese.

La vera minaccia per il fisco europeo consiste in quei paesi fuori dall’Unione con regimi fiscali ancora meno stringenti e in cui vige minore trasparenza. Poiché è difficile coordinare l’azione con questi stati, l’Unione Europea ha deciso – insieme alla Direttiva – di stilare la un lista di giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, detta anche “lista nera”. Gli stati segnalati sono Somoa americane, Figi, Guam, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini degli Stati Uniti e Vanuatu. L’elenco è stato modificato il 4 ottobre, con la rimozione di Seychelles, Anguilla e Dominica. I criteri scelti per stilare i nomi degli stati fanno riferimento all’impegno delle giurisdizioni in materia di trasparenza bancaria e di tassazione, considerando anche quanto stabiliscono le norme internazionali. Le modifiche avvengono dietro un sistema di monitoraggio del comportamento degli stati, valutando se c’è stato poi un effettivo intervento, ma anche anche a seguito di un dialogo o una trattativa con l’Unione e tenendo conto dei cambiamenti delle norme nel diritto internazionale. Alla lista non corrispondono azioni effettive da parte dell’Unione, ma un invito rivolto agli stati segnati a regolamentare il loro regime fiscale e agli stati membri ad agire liberamente di conseguenza, applicando sanzioni o stringendo accordi per migliorare la situazione.

È ancora presto per capire se, ora che è emerso lo scandalo "Pandora Papers", l’Unione prenderà una posizione più decisa contro l’evasione fiscale o meno. Inoltre, tra le transazioni intercettate ci sono anche quelle del ministro dell’economia olandese Wopke Hoekstra e il primo ministro ceco Andrej Babiš, che hanno perso certamente credibilità su questo impegno.

L’evasione fiscale è stato un tema importante quest’anno al G7, che ha portato a un accordo esteso a più di cento stati, ma porterà a dei cambiamenti effettivi? L’inchiesta dei "Pandora Papers" ha portato all’avvio di molte altre indagini. L’economia sommersa nei paradisi fiscali potrebbe essere ancora più fitta di quanto è stato appena scoperto, tant’è che il coordinamento dell’ICIJ sospetta che via sia una lobby mondiale per proteggere i paradisi fiscali.

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Michele Bodei

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Unione Europea evasione fiscale #taxheaven #blacklist #pandorapapers