Comunità energetiche rinnovabili: un esempio di resilienza e sostenibilità

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  Alessia Marchesini
  27 gennaio 2023
  5 minuti, 6 secondi

A volte succede che le risposte più efficaci e resilienti ai grandi problemi globali, come la crisi energetica ed economica, non vengano dall’alto, bensì da processi bottom up, incentivati da persone comuni e realtà locali. Questo è il caso delle cosiddette comunità energetiche rinnovabili, ad oggi ancora poco conosciute e diffuse, ma che probabilmente prenderanno sempre più piede, coinvolgendo un numero di attori via via più consistente.
Cerchiamo quindi di capire di cosa si tratta e quali sono i vantaggi di questa nuova modalità di produzione energetica.

Gruppi di autoconsumatori e comunità energetiche rinnovabili: cosa sono

L’idea alla base è che un gruppo di persone, di enti pubblici o privati, si organizzano per installare impianti di produzione energetica rinnovabile, come sistemi fotovoltaici, idroelettrici, eolici o a biomassa, per poi condividere questa energia autoprodotta. Da un punto di vista legale, esistono due tipi di associazioni: i gruppi di autoconsumatori e le comunità energetiche rinnovabili.

I gruppi di autoconsumatori sono costituiti da almeno due cittadini che si sono accordati privatamente per installare nel loro edificio fonti di produzione energetica pulita, in particolare pannelli solari, data la loro praticità. Lo scopo principale è usufruire dell’energia autoprodotta, vedendo così una riduzione piuttosto significativa dei costi delle bollette e soprattutto una minor dipendenza dai combustibili fossili, e secondariamente vendere tale energia a soggetti terzi, qualora fosse in eccesso. Tuttavia, la vendita di questa energia non deve rappresentare la principale fonte di entrate dell’autoconsumatore, poiché lo scopo principale è quello di generare benefici ambientali e sociali.

Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono invece un vero e proprio soggetto giuridico, al quale possono partecipare su base volontaria persone fisiche, piccole e medie imprese, enti pubblici e amministrazioni locali. Chi partecipa a queste comunità, dunque, produce e utilizza in condivisione con gli altri soggetti partecipanti la propria energia, pulita e sostenibile. Anche in questo caso, l’energia prodotta viene principalmente utilizzata dai soggetti che partecipano alla CER, in quanto produttori e/o consumatori, ma può comunque essere venduta ad altri, nel rispetto della logica per cui “l’obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.”

La gestione delle CER è ovviamente più complessa di quella di un gruppo di autoconsumo. A quest’ultimo, infatti, vi partecipano al massimo i residenti di uno stesso edificio, e l’impianto utilizzato è quasi sempre il fotovoltaico, mentre ad una CER possono partecipare numerosi soggetti situati in un comune, i quali possiedono impianti energetici rinnovabili differenti.

Tuttavia, più una CER è grande in termini di soggetti partecipanti e impianti posseduti, più i vantaggi aumentano, secondo la logica delle economie di scala. Stanno infatti aumentando i casi di aggregazioni di CER nell’ottica di incentivare la produttività, le reti di condivisione e la possibilità di utilizzare impianti rinnovabili differenti in base alle risorse naturali maggiormente offerte dal tipo di territorio.

Ad oggi in Italia si contano 40 comunità energetiche rinnovabili, tutte estremamente recenti, basti pensare che la prima, situata presso il comune di Magliano Alpi, in provincia di Cuneo, è stata istituita nel 2021 durante il lockdown, nel tentativo di dare una risposta resiliente alla situazione di crisi e assenza di stipendi.

Vantaggi e incentivi economici

I vantaggi legati alla creazione e all’ingrandimento di una CER sono innumerevoli.
Di recente abbiamo dovuto tutti fare i conti con le conseguenze della crisi energetica, dall’aumento drastico delle bollette al razionamento, e ci si è iniziati ad interrogare sul rischio di essere così dipendenti dall’energia di paesi terzi. Le CER potrebbero essere una parziale soluzione a questo problema, infatti, anche se ad oggi non garantiscono una totale autosufficienza, rappresentano un grande miglioramento in termini di autonomia energetica e stabilità dei prezzi dell’energia, dal momento che essendo autoprodotta, questa energia non è soggetta a variazioni esterne dei prezzi.

In molte realtà poi, soprattutto nel Sud e nelle Isole, le CER si sono rivelate efficaci strumenti per contrastare la povertà energetica, ovvero l’impossibilità di avere accesso all’energia nella misura in cui sarebbe necessaria per condurre una vita dignitosa.
È quindi di grande importanza il valore aggiunto sociale apportato dalle CER, a partire dalla creazione di posti di lavoro nei settori locali di produzione e installazione di impianti energetici, i cosiddetti green jobs, fino alle opere pubbliche costruite a partire dai ricavi extra dell’energia venduta a terzi, come colonnine per auto elettriche, rigenerazione di parchi pubblici e altri investimenti al servizio della comunità.

Infine, le CER rappresentano una spinta incredibile verso la transizione energetica, che oltre ad essere incentivata dalle istituzioni, deve essere concretamente implementata a livello regionale e locale per far sì che produca risultati tangibili e nel rispetto delle tempistiche concordate a livello europeo.

I vantaggi economici, ambientali e sociali indotti dalle CER non sono passati inosservati. L’Unione Europea, infatti, ne incentiva la creazione, come indicato nella direttiva 2018/2001 adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, mentre lo stato italiano ha messo a disposizione delle CER circa 2 miliardi di euro, nel quadro degli investimenti legati al PNRR. Dunque, i vantaggi ci sono, e gli incentivi anche. Quindi perché in Italia ad oggi ci sono solo 40 realtà di questo tipo?

Il problema principale risiede nella burocrazia legata all’iter per l’approvazione di una CER, che si rivela molto lungo e complesso, dovendo passare attraverso vari enti come Arera (Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente) e Gse (Gestore Servizi Energetici) e nella mancanza di decreti attuativi che ne permettano una facile adozione.

È dunque necessario far conoscere sempre di più queste realtà e le relative possibilità che offrono ai cittadini, non solo in termini economici e ambientali, ma anche democratici. Aderire ad una CER significa infatti partecipare attivamente alle decisioni che ricadono quotidianamente su ognuno e avere così la possibilità di scegliere sul proprio futuro e sui propri investimenti.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.milanofinanza.it/news/che-cos-e-e-perche-conviene-costituire-una-cer-comunita-energetica-rinnovabile-202208121803185477

https://www.gse.it/servizi-per-te/autoconsumo/gruppi-di-autoconsumatori-e-comunita-di-energia-rinnovabile

https://www.youtube.com/watch?v=et4kMZvJf6I

Fonte Immagine:

https://unsplash.com/it/foto/hxUcl0nUsIY

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L'Autore

Alessia Marchesini

Classe '99, si laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Attualmente frequenta un Master in Politiche, Progettazione e Fondi Europei presso l'Università di Padova. I suoi interessi più grandi sono la storia e la geopolitica, ma anche la natura e la tutela dell'ambiente. Da convinta europeista, ha deciso di cimentarsi nello studio e nell'approfondimento degli strumenti che l'Unione Europea mette a disposizione di stati e cittadini per rispondere alle esigenze del nuovo secolo, in particolare quelle focalizzate su lavoro, transizione energetica ed ecologica.

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CER Comunità energetiche autoconsumo rinnovabili