Da Lenin a Putin: Il Principio di Autodeterminazione dei Popoli

Il diritto di scegliere il proprio governo

  Articoli (Articles)
  Chiara Andreoli
  27 novembre 2022
  6 minuti, 9 secondi

Il principio di autodeterminazione conferisce ai popoli il diritto di poter scegliere liberamente il proprio sistema di governo, e quindi di poter scegliere un sistema democratico - autodeterminazione interna - e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale - autodeterminazione esterna.

Prime formulazioni del principio

Questo principio viene inizialmente teorizzato durante la Rivoluzione francese e successivamente posto nero su bianco verso la fine della Prima Guerra Mondiale nella Relazione sulla Pace di Lenin del 1917 e nei 14 Punti di Wilson del 1918, seppur con accezioni diverse.

L’appello di Lenin, rivolto ai popoli in guerra e ai loro governi, auspica una “pace giusta e democratica" basata essenzialmente su tre principi: nessun risarcimento di guerra, nessuna annessione e soprattutto il diritto di tutte le nazioni di scegliere liberamente la forma della propria esistenza statale.

La relazione sulla pace, infatti, dichiara che 

“se una nazione qualunque è mantenuta con la violenza entro i confini di un dato Stato, se, nonostante il suo espresso desiderio (...) non le viene conferito il diritto di votare liberamente (...) e di scegliere, senza la minima costrizione, il suo tipo di ordinamento statale, la sua incorporazione è un’annessione, cioè una conquista e una violenza.”

Il 15 novembre 1917, il governo bolscevico proclama per tutte le nazionalità presenti sul territorio del vecchio impero zarista il pieno diritto all’autodeterminazione, compreso il diritto ad abbandonare lo Stato plurinazionale e di fondarne uno proprio.

Anche il programma di Wilson - considerato come una sorta di “reazione” al programma proposto dalla Russia bolscevica - prevede la libertà dei popoli di autodeterminarsi, promuovendo una “nuova diplomazia” e, tra le altre cose, la fondazione di una Società delle Nazioni con l’obiettivo di garantire alle nazioni sia di grandi che piccole dimensioni indipendenza politica ed integrità territoriale.

Nella realtà, nei trattati di pace alla fine della Prima guerra mondiale ed in particolare nel “nuovo ordine mondiale” auspicato da Wilson, il diritto all’autodeterminazione si applica solo agli Stati vittoriosi e alle nazioni titolari degli Stati successori degli imperi plurinazionali.



Strumentalizzazione del principio - periodo tra le due grandi guerre

Nel periodo tra le due Guerre, Hitler sfrutta il “principio di autodeterminazione" per la sua politica revisionista, in particolare nei confronti dell’Austria e dei territori dei Sudeti.

Significativamente, l’invasione dell’Austria da parte della Wermacht il 12 marzo 1938 avvenne senza reazioni di rilievo da parte della diplomazia internazionale. Anche successivamente, sia alla vigilia della conferenza di Monaco sia durante la crisi tedesco-polacca, Hitler riafferma la necessità di proteggere i propri compatrioti all’estero e privati del diritto di autodeterminarsi.

Lo storico statunitense Richard Blanke afferma «Hitler citava il maltrattamento della minoranza tedesca come giustificazione per il suo attacco alla Polonia nel 1939, e quindi, di fatto, per lo scoppio della Seconda guerra mondiale».

Tali esperienze hanno indotto le Nazioni Unite (fondamentalmente le potenze vittoriose della Seconda guerra mondiale) a farne inizialmente un uso molto cauto del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Guadagnerà un consenso comune solo a partire dagli anni ‘60 grazie ai movimenti indipendentisti delle colonie - soprattutto in Africa e Asia orientale.

Principio di autodeterminazione come fondamento dell’invasione russa in Ucraina

Quello di Hitler non è l’unico esempio di manipolazione di questo principio come giustificazione per un’aggressione armata - espressamente vietata dal diritto internazionale cogente (jus cogens).

Nel discorso alla Nazione tenuto da Putin il 21 febbraio 2021, egli ha sconfessato il passato bolscevico della Russia, non tanto per i metodi autoritari e la violenta repressione, ma per aver promesso l’autodeterminazione delle nazioni all’interno dell’Unione Sovietica - in particolare per l’Ucraina, che “è stata creata dalla Russia e ne è parte integrante, per la sua storia e la sua cultura”. Oltre a questa argomentazione, il Presidente Russo ha introdotto un’ulteriore tesi a sostegno dell’invasione militare in Ucraina: ha accusato quest’ultima di persecuzioni - precedentemente aveva parlato di genocidio - nei confronti delle minoranze russe del Donbass, in mano ad un “governo corrotto” e gruppi “neo-nazisti e terroristi anti-russi”. Con queste premesse, Putin ha affermato il riconoscimento unilaterale delle “Repubbliche Popolari” di Donetsk e di Lugansk, e disposto il dispiegamento delle forze russe in un’operazione di “peacekeeping”.

Dal punto di vista del diritto internazionale, il principio fondamentale che è stato violato con l’invasione russa è quello della “sovranità territoriale” di uno Stato, in questo caso dell’Ucraina, riconosciuto nella sua piena integrità territoriale e dei confini dalle Nazioni Unite, dalle altre principali organizzazioni internazionali e dalla comunità degli Stati.

La Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 2(4), stabilisce che: 

“i Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato (...)

La retorica delle rivendicazioni storiche sulla comune “madre Russia” e le teorie che sostengono la difesa delle minoranze di etnia russa non giustificano alcun legittimo “casus belli”, neanche in nome di un supposto principio di “autodeterminazione dei popoli”.

Nel diritto internazionale il richiamo a tale principio, che legittima le c.d. “guerre di liberazione nazionali”, è ammesso solo in determinate circostanze, ovvero quando risulta chiaro che i popoli sono costretti a lottare “contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro regimi razzisti”. Di fatto, la resistenza all’invasione in aree russofone, come a Mariupol, ha fatto cadere il mito propagato da Putin per cui ciò che il leader russo stava facendo sarebbe stato liberare le persone che parlano russo da un’oppressione fascista.

Non vi sono dubbi sul fatto che con questa invasione la Russia abbia violato varie norme di diritto internazionale - come la Carta delle Nazioni Unite, le Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i Protocolli aggiuntivi del 1977, oltre che i principi stabiliti nell’Atto finale di Helsinki del 1975: “I. Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; II. Non ricorso alla minaccia o all'uso della forza; III. Inviolabilità delle frontiere; IV. Integrità territoriale degli Stati; V. Risoluzione pacifica delle controversie VI. Non intervento negli affari interni”.

Considerando l’insieme di norme di diritto internazionale che sono state violate, risulta impossibile legalizzare l’invasione russa, nonostante la dichiarazione del Cremlino a giustificazione dell’operazione militare - il preteso sostegno all’autodeterminazione dei popoli.

In realtà, la risoluzione 1514 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1960 afferma che un popolo sottoposto a “dominio, soggezione e sfruttamento straniero” può rivendicare un diritto all’indipendenza. Ma la popolazione ucraina non rientra in questa casistica.

In sostanza, secondo l’infranto Diritto internazionale vigente i futuri esiti della “crisi in Ucraina” non potranno apportare variazioni legittime dello status quo. Non ci sono margini per variare né sovranità né "geografia politica” senza calpestare il già martoriato Diritto internazionale.

Infine, oltre che risultare strumentalizzato, il principio di autodeterminazione dei popoli non può costituire la base legale di un intervento militare in violazione delle norme fondamentali che regolano i rapporti internazionali. 

    Condividi il post

    L'Autore

    Chiara Andreoli

    Categorie

    Diritti Umani

    Tag

    Diritti umani autodeterminazione dei popoli Nazioni Unite diritto internazionale