Debt-Trap Diplomacy

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  Matteo Gabutti
  28 dicembre 2023
  8 minuti, 36 secondi

La Cina usa tangenti, accordi opachi e l’uso strategico del debito per tenere gli Stati in Africa prigionieri dei desideri e delle richieste di Pechino. […] Tali azioni rapaci sono componenti secondarie di più ampie iniziative strategiche cinesi, inclusa la “One Belt, One Road”, un piano per sviluppare una serie di rotte commerciali verso e dalla Cina col fine ultimo di far avanzare il predominio globale cinese.

"Se facciamo il primo coraggioso passo l’uno verso l’altro, possiamo intraprendere un percorso che conduca ad amicizia, sviluppo condiviso, pace, armonia e ad un futuro migliore." (Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, 14 maggio 2017)

I riflettori internazionali sono tornati a puntare sulla “Nuova Via della Seta” cinese dopo che l’Italia è divenuto il primo Paese a uscirne.

Meglio conosciuto a livello internazionale come Belt and Road Initiative (BRI), il progetto è la punta di diamante della politica economica estera della Cina di Xi Jinping. Creatura nata in seno alla presidenza del Timoniere della Repubblica Popolare, la BRI ha assunto le sembianze di una fitta rete infrastrutturale e commerciale estesa dal Celeste Impero, con investimenti complessivi stimati ad oltre un bilione di dollari

Come già evidenziato in un precedente articolo, nel tempo i successi di quello che l’attuale Segretario Generale del Partito Comunista Cinese inaugurava come “progetto del secolo” sono stati però fortemente ridimensionati.

Le critiche più tonitruanti verso la BRI, tuttavia, sono emerse fin dal principio, trovando terreno fertile nel concetto di “debt-trap diplomacy”. 



Trappole ed elefanti bianchi

L’espressione viene fatta risalire a un articolo del 2017 a firma del Professore indiano Brahma Chellaney. Il suo ampio e rapido successo presso i media occidentali l’ha portata a imporsi come “salda credenza diffusa e ad essere accettata come profonda verità storica” indipendentemente da prove fattuali, come denunciato dalla Prof. Deborah Brautigam.

In breve, attraverso la trappola del debito, un Paese creditore offrirebbe progetti o prestiti deliberatamente ardui da restituire da parte del Paese debitore, in modo da costringere quest’ultimo a fare concessioni politiche o economiche al primo.

In quest’ottica, infrastrutture faraoniche come porti o aeroporti finanziate da Pechino nell’ambito della BRI che si rivelano essere economicamente insostenibili non sarebbero dei semplici incidenti di percorso. Al contrario, queste cattedrali nel deserto – cosiddetti ‘white elephants’ – erette nelle piccole nazioni del Sud-Est asiatico o dell’Africa mirerebbero a sommergere tali nazioni nel debito, fino a costringerle a cedere quote maggioritarie o la gestione di tali progetti a compagnie cinesi. Quindi, il Celeste Impero assumerebbe di fatto il controllo di numerosi asset strategici lungo tutta la Via della Seta, a beneficio della propria influenza globale e potenzialmente della proiezione della propria forza militare.

Pochi vantano la fama di vittima esemplare della debt-trap diplomacy cinese più dello Sri Lanka. Crocevia commerciale dell’Oceano Pacifico posto sulla rotta percorsa dal petrolio del Golfo in direzione della Cina, il piccolo Stato insulare gode di una posizione strategica dal punto di vista geo-economico. Inoltre, la vicinanza all’India ne fa una potenziale base per il contenimento di Nuova Delhi.

Per questi motivi, quando nel 2017 la compagnia cinese CM Port ottenne un contratto di affitto del Porto di Hambantota per 99 anni, i campanelli d’allarme della debt-trap diplomacy son tornati a squillare. Fonti autorevoli del calibro del New York Times hanno denunciato la politica predatoria di Pechino nei confronti di Colombo, descrivendo il fatto come una capitalizzazione del debito – debt-to-equity swap – che mina la sovranità dell’isola. Presto il Porto è stato presentato come esempio da manuale della cosiddetta strategia della “collana di perle” cinese, volta a circondare l’India tramite una serie di basi marittime aperte al “duplice uso”, civile e militare.

Il default sul debito sovrano presso creditori stranieri annunciato nell’aprile 2022 dallo Sri Lanka ha gettato ulteriore benzina sul fuoco della narrativa della trappola del debito cinese.

In effetti, secondo le stime del 2023, la Cina figura ancora come il primo creditore bilaterale dello Sri Lanka, con una porzione del debito sovrano estero superiore alla Banca Mondiale e al cosiddetto Paris Club – un gruppo di Paesi creditori a trazione occidentale volto a coordinare la ristrutturazione del debito di Paesi in difficoltà.

Ciononostante, l’era della BRI (2013-19) ha visto solo un modesto incremento negli investimenti infrastrutturali cinesi nell’isola rispetto al periodo precedente (2006-13). Inoltre, negli ultimi due decenni, ai prestiti multilaterali e bilaterali lo Sri Lanka ha preferito il più costoso mercato del debito privato, emettendo sempre più obbligazioni sovrane – International Sovereign Bonds (ISBs). Come evidenziato su The Diplomat, la causa immediata del collasso economico dell’isola consiste nella struttura del debito del Paese, e in particolare all’esposizione ai rischiosi mercati finanziari internazionali, tanto da parlare di “ISB Debt Trap”.

Infine, parafrasando l’esperta Nilanthi Samaranayake, occorre resistere alla tentazione di ridurre lo Sri Lanka a mere dinamiche regionali e al volere delle grandi potenze, in luce delle forze e inefficienze che lo caratterizzano. In questo senso, la Cina sembra essere solo un attore in una trama complicata cominciata prima dell’arrivo del Dragone sulla scena, nel contesto locale di instabilità macroeconomica, stagnazione e miopia politica.


Quali, quindi, le conclusioni?

La complessità della realtà di fatto mette in guardia contro spiegazioni parsimoniose e strutturali come quella fornita dalla retorica sulla trappola del debito cinese. La convinzione secondo cui la BRI costituirebbe una “strategia monolitica volta al dominio mondiale” appare dunque sconsigliabile.

Ciò non significa che aderire alla Via della Seta sia sempre vantaggioso, né che la Cina sia un creditore disinteressato a cui affidarsi senza riserve.

Il Dragone avrebbe speso 240 miliardi di dollari tra il 2008 e il 2021 per soccorrere Paesi schiacciati dal debito incorso con la BRI. Inoltre, come dimostra il caso dello Sri Lanka, pur adottando politiche di prestito più lasche rispetto ai membri del Paris Club, il Celeste Impero si dimostra più intransigente nei confronti dei Paesi debitori che non riescono a rispettare gli accordi di restituzione. Rifiutando di coordinarsi con gli altri creditori, Pechino sta tenendo in ostaggio Colombo, rallentando il processo di ristrutturazione del debito dell’isola.
Se suggerire cautela può sembrare banale, un atteggiamento prudente ma non prevenuto appare preferibile a una demonizzazione o una santificazione aprioristica della Cina e della sua Nuova Via della Seta.

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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