In occasione della Giornata Internazionale della Donna si approfondisce la crescente repressione delle donne in Iran con l’apertura delle “cliniche dell’hijab” e il coraggioso gesto di Ahoo Daryaei, studentessa simbolo della lotta contro il velo obbligatorio.
Dati inquietanti sulla violenza di genere
Le statistiche globali sulla violenza di genere dipingono un quadro drammatico.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una donna su tre nel mondo è vittima di violenza nel corso della sua vita, spesso da parte di un partner o di un familiare.
A livello mondiale si stima che:
- Circa 137 donne al giorno vengono uccise da un membro della propria famiglia.
- 736 milioni di donne hanno subito violenza fisica e/o sessuale.
- Il 70% delle donne coinvolte in conflitti, guerre e crisi umanitarie hanno subito violenza di genere.
- Dal 2016, la mutilazione genitale femminile è aumentata del 15%.
- Nel 2023, almeno 51.100 donne sono state vittime di violenza di genere, e ciò significa che ogni 10 minuti una donna viene uccisa.
La violenza di genere non è solo fisica. Le donne possono essere vittime di emarginazione sociale, subire discriminazioni economiche o vedersi negato l’accesso all’istruzione e alla salute. Questa violenza strutturale impedisce qualsiasi possibilità di crescita personale e perpetua un ciclo di disuguaglianza e oppressione.
Iran: quando la ribellione diventa una malattia mentale
La violenza contro le donne non conosce confini geografici o culturali, ma in molti Stati fattori come conflitti armati, disuguaglianze economiche e norme patriarcali la rendono ancora più endemica. In contesti dove prevalgono interpretazioni estremiste della religione, come in Iran, la violenza è spesso giustificata o amplificata da leggi che limitano i diritti delle donne e impongono un controllo sociale basato su credenze religiose conservatrici.
In Iran, una delle misure recenti di repressione contro le donne è l’apertura di “cliniche psicologiche” rivolte a chi si rifiuta di indossare l’hijab. Questa iniziativa non si limita a reprimere il dissenso, ma segna un inquietante processo di medicalizzazione della protesta politica, trasformando la resistenza a un’imposizione ideologica in una “malattia mentale” da curare. Sebbene la psichiatrizzazione delle donne che non indossano il velo non sia una novità, ora questa pratica repressiva è diventata parte integrante della legge e si inserisce nel contesto della sharia.
Le donne che rifiutano il velo obbligatorio non solo sono costrette a sottoporsi a visite psichiatriche settimanali, ma subiscono anche l’imposizione di sanzioni economiche, come il congelamento dei conti bancari, e restrizioni alla loro libertà di movimento, tra cui il divieto di viaggiare. Le “cliniche dell’hijab” rappresentano un ulteriore tassello di una crescente repressione nei confronti delle donne iraniane, iniziata dopo le proteste di “Donna, Vita, Libertà” del 2022, in seguito alla morte di Mahsa Amini. Queste manifestazioni hanno spinto Teheran a intensificare la repressione, con misure come la sorveglianza potenziata, una maggiore presenza della polizia morale e l’esclusione delle donne senza velo da spazi pubblici come centri commerciali e parchi. Le Nazioni Unite hanno definito questa politica come un vero e proprio “apartheid di genere”.
A due anni dalla rivolta “Donna, Vita, Libertà”, la situazione in Iran è tutt’altro che migliorata. Le autorità iraniane stanno conducendo una vera e propria “guerra contro le donne”: le donne che guidano senza velo vengono inseguite, arrestate e i loro veicoli confiscati. Le testimonianze raccolte raccontano scene di violenza brutale e gratuita da parte delle forze dell’ordine.
Le ultime notizie dalla lotta delle donne in Iran
1. Ahoo Daryaei si spoglia all'Università di Teheran
In questo clima di repressione, il gesto di Ahoo Daryaei, una giovane studentessa universitaria, ha scosso profondamente l’opinione pubblica. Decidendo di spogliarsi all’aperto come atto di protesta, ha sfidato il controllo che il regime esercita sul corpo femminile. Il suo gesto, immortalato in immagini che hanno fatto il giro del mondo, è diventato un potente simbolo della lotta per la libertà e l’autodeterminazione.
Ahoo Daryaei, arrestata nel novembre scorso dopo aver camminato in biancheria intima all’interno dell’Università Islamica Azad di Teheran e successivamente internata in una “clinica dell’hijab”, è stata successivamente riconsegnata alle cure della sua famiglia in quanto considerata “malata mentale”. Secondo i gruppi di attivisti che hanno diffuso il video, la giovane si è spogliata per protesta dopo essere stata molestata da alcuni funzionari universitari.
Il suo ricovero in ospedale è stato denunciato come una forma di “tortura” dall’attivista iraniana Shirin Ebadi, che ha accusato il governo di Teheran di usare metodi repressivi. La Premio Nobel per la Pace, che dal 2009 vive in esilio a Londra, ha dichiarato che rinchiudere i dissidenti in ospedale “è un vecchio metodo del sistema di repressione”. Anche Sima Sabet, giornalista iraniana residente nel Regno Unito, ha definito l’iniziativa “vergognosa”, aggiungendo: “L’idea di istituire cliniche per ‘curare’ le donne che non indossano l’hijab è agghiacciante. Non è possibile che le persone vengano separate dalla società semplicemente per non conformarsi all’ideologia dominante”.
2. Parastoo Ahmadi: la cantante senza velo
Solo un mese dopo dall’accaduto di Ahoo Daryaei, la cantante iraniana Parastoo Ahmadi ha compiuto un gesto che ha attirato nuovamente l’attenzione a livello internazionale. Durante un concerto su YouTube, Parastoo ha scelto di esibirsi senza velo, sfidando apertamente le rigide leggi iraniane che vietano alle donne in Iran di cantare in pubblico senza coprirsi la testa. Nonostante il concerto fosse stato trasmesso clandestinamente, il suo atto ha subito suscitato un’ondata di supporto, ma anche dure critiche da parte delle autorità iraniane. Dopo l’esibizione, Ahmadi è stata arrestata, ma fortunatamente rilasciata dopo poco. Il suo gesto non solo ha sollevato interrogativi sui diritti delle donne in Iran, ma ha anche messo in evidenza le difficoltà che affrontano le artiste in un Paese dove la libertà di espressione è limitata.
3. Ragazza strappa il turbante a un mullah
Un altro episodio simbolico si è verificato all’aeroporto internazionale di Teheran i primi di gennaio, dove una giovane donna è stata ripresa mentre strappava il turbante a un mullah che l’aveva rimproverata per non indossare l’hijab. Non solo ha umiliato simbolicamente il religioso, ma ha anche utilizzato il turbante come sciarpa, come per dimostrare di non accettare il controllo e l’oppressione del regime. Il video di questo gesto ha rapidamente fatto il giro dei social, suscitando sia indignazione che supporto. Molti attivisti hanno interpretato questo atto come un simbolo di resistenza contro l’autorità religiosa, che ha un enorme peso nella vita quotidiana in Iran. Le reazioni online sono state un chiaro segno della crescente rabbia nei confronti dell’istituzione religiosa, accusata di perpetuare l’apartheid di genere e le ingiustizie nei confronti delle donne. Masih Alinejad, una delle attiviste più note in esilio, ha commentato l’incidente come una chiara manifestazione di ribellione contro la repressione religiosa, evidenziando come le donne stiano sempre più mettendo in discussione le norme imposte dal regime.
4. Donna nuda sulla macchina della polizia
Risale al 3 febbraio un video che mostra una giovane donna che, nel cuore di Teheran, si spoglia in segno di protesta e si siede completamente nuda sulla macchina della polizia. Le immagini hanno – fortunatamente – suscitato un’ondata di sostegno sui social. La sua protesta ha immediatamente catturato l’attenzione non solo per la sua audacia, ma anche per il simbolismo che ha rappresentato: la lotta per la libertà e l’autodeterminazione del corpo femminile. È sempre Masih Alinejad, una delle più note attiviste contro il regime iraniano, ad aver rilanciato il video, sottolineando come il gesto di questa giovane donna rappresenti la crescente rabbia contro le restrizioni imposte dal governo iraniano.
Conclusione
La violenza contro le donne, sia essa perpetrata da individui, istituzioni o norme culturali, rappresenta una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Le donne in Iran stanno affrontando una repressione brutale, ma la loro resistenza sta diventando sempre più visibile e potente. Gli atti di coraggio, come quelli di Ahoo Daryaei e Parastoo Ahmadi, sono simboli di una lotta più grande che richiede la solidarietà globale.
La Giornata della Donna non deve limitarsi a una riflessione sulle disuguaglianze, ma deve essere un momento di azione concreta per un impegno globale volto a porre fine a ogni forma di discriminazione, violenza e repressione contro le donne. La loro lotta per la libertà è anche la nostra.
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L'Autore
Gaia Ciceri
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