A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
Dopo aver guidato il Paese durante l'austerità, la Brexit e la pandemia COVID, tra le altre importanti sfide, i conservatori inglesi sono diventati profondamente e largamente impopolari fino all’ultimo vistoso crollo elettorale delle recenti consultazioni politiche nel Regno Unito.
Il quesito che si pongono numerosi analisti è come sia stato possibile che il partito conservatore dopo ben 14 anni di potere abbia rimediato la peggiore sconfitta di tutta la sua storia?
La Gran Bretagna è stata guidata dai conservatori per gli ultimi 14 anni. Tra gli elettori era già diffusa la sensazione che qualcosa di grosso stesse andando storto sotto il governo. Inoltre che il Paese fosse in una fase di stagnazione economica, se non, come per i più pessimisti di essi, persino in una fase di pericoloso e irreversibile declino anche sociale. Era già ampiamente previsto dai sondaggi che gli elettori britannici avrebbero inaugurato una nuova era di leadership del Partito Laburista.
E così è stato : quasi tre quarti degli elettori britannici ritengono che il paese stia molto peggio di quanto non stava 14 anni fa. E in una certa misura, i dati economici e di altro tipo non fanno altro che confermarlo: in effetti 14 anni sotto il governo conservatore hanno comportato diversi avvenimenti tutti di evidente segno negativo.
In questi anni, il Regno Unito ha avuto cinque governi con altrettanti e diversi primi ministri, incluso uno che è durato solo 49 giorni, il governo più breve in centinaia di anni di storia britannica. Una urente figuraccia di fronte ai sudditi di Sua Maestà britannica.
Non basta: Il paese ha avuto nove ministri degli esteri e otto ministri degli interni. Ci sono state quattro elezioni nazionali, un voto sull'indipendenza scozzese (che è fallito) e una consultazione generale sull'uscita dall'Unione Europea (Brexit) che ha determinato l'uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, gravida di conseguenze negative.
Solo la Brexit, approvata dagli elettori nel 2016 e completata nel 2020, è stata un cambiamento di entità sismica. I conservatori hanno preso le redini in seguito a una crisi finanziaria globale, hanno visto una pandemia colpire pesantemente la Gran Bretagna più duramente di molti dei suoi pari e hanno risposto a una sorta di grande guerra economica verso l'Europa continentale.
E giusto per concludere in bellezza, la regina Elisabetta II è morta quasi centenaria.
Le ricadute di questi 14 anni sono state un punto focale di questa campagna elettorale del Labour Party. Il leader del partito laburista Keir Starmer, divenuto attualmente primo ministro, ha spinto fortemente per un cambiamento radicale in numerosi campi d’intervento. Ma quanta della sfida che la Gran Bretagna deve affrontare è il risultato e quante di queste politiche scadenti sono state davvero inevitabili? La Gran Bretagna è realmente in una situazione peggiore rispetto al 2010? Pensando alle condizioni socio-economiche della Gran Bretagna, ritieni che le cose siano attualmente migliori, peggiori o più o meno le stesse di quando i conservatori salirono al potere nel 2010?
Questi ultimi tre sono stati i quesiti cruciali assiduamente posti dai laburisti agli elettori inglesi nel corso di tutta l’accesissima e lunga campagna elettorale. Questo fa sì che sia diventato un fatto abbastanza insolito e curioso, in quanto in UK nessuno incredibilmente, nonostante i danni all’economia, voleva più parlare della Brexit, a parte l’estrema destra di Nigel Farage.
In quello che molti ora considerano un colossale e imperdonabile errore di valutazione politica, l’ex Primo ministro David Cameron ha mantenuto Farage e il suo “UK Independence Party” come alleato nel gruppo conservatore per le elezioni generali del 2015, promettendo anche un referendum sulla Brexit (anche questo mai realizzato). Infatti, la sua scommessa era che gli elettori britannici avrebbero desiderato rimanere nell'Unione Europea. Ma non è stato così. A poche ore dal voto referendario a favore della Brexit, Cameron ha annunciato le proprie dimissioni.
La carica di premier di Theresa May è stata consumata dal caos generato dalla Brexit. Il successivo premier, Boris Johnson, è stato di nuovo un sostenitore della Brexit. Così com’è accaduto anche per l’ultimo leader, Rishi Sunak. Oggi la gente in generale considera con forza la Brexit come un clamoroso flop. Ma non si torna indietro, figuriamoci se gli inglesi indietreggiano (!), almeno non in tempi brevi.
L’immigrazione
Il voto per l'uscita dall'Unione Europea è stato – secondo i maggiori sondaggi - in buona parte condizionato dalla paura dell'immigrazione. Secondo le promesse elettorali l'uscita dall'Unione Europea avrebbe donato alla Gran Bretagna un maggiore se non assoluto controllo dei suoi confini nazionali. In realtà, contrariamente a queste improvvide previsioni e considerazioni, l'immigrazione netta è salita alle stelle.
Cameron e May avevano giurato di limitare la migrazione netta a "poche decine di migliaia". Johnson che i numeri sarebbero comunque scesi. Sunak ha fatto il populista a buon mercato dicendo che avrebbe "fermato le barche" che attraversavano illegalmente la Manica e avrebbe inviato i richiedenti asilo in Ruanda. Tali affermazioni non hanno poi retto le verifiche sul campo le quali hanno accertato la totale assenza di voli diretti in Ruanda.
Al contrario, l’ immigrazione netta annuale risulta più che raddoppiata rispetto all'inizio del governo dei conservatori. Le nazionalità sono cambiate: prima della Brexit, la maggior parte dei migranti di lunga permanenza proveniva dagli Stati membri dell'Unione Europea. Ora, la maggior parte degli immigrati proviene da paesi esterni alla UE. Le principali fonti nel 2023 sono state non dai paesi africani ma da India, Nigeria, Cina, Pakistan e Zimbabwe.
Quali fattori stanno guidando tale ondata migratoria?
L’analisi dei dati raccolti sul campo dice che sono in gran parte a causa di alcune decisioni politiche: il governo vuole più studenti internazionali, che pagano un extra per poter studiare nelle università britanniche, e lavoratori utili per ricoprire tutti i lavori a basso salario – che gli inglesi non vogliono più esercitare nelle case di cura e in altri settori dei servizi sia pubblici che privati.
Austerità e salute
Prima della Brexit, sulla politica conservatrice aleggiava e veniva propagandata come un mantra un’altra parola eufemistica : “la austerità virtuosa”. Il leader Cameron ha spinto per effettuare tagli alla spesa pubblica volti a ridurre il deficit dei servizi e dello Stato. Risultato: questi obiettivi non sono mai stati raggiunti (il debito pubblico quest'anno 2024 ha raggiunto il suo tasso più elevato in percentuale in relazione alla produzione economica dagli anni '60 ), ma l'austerità ha avuto molti effetti collaterali e venefici per la società, tra i quali enormi tagli finanziari alle amministrazioni locali che hanno impoverito servizi importanti come scuole e la partecipazione agli impianti sportivi.
Il tanto decantato “National Health Service (NHS)” britannico è stato uno dei pochi settori in cui i finanziamenti statali sono aumentati in termini reali durante questo periodo, ma non è riuscito per lo più a raggiungere e seguire le tendenze pre-2010, per non parlare di tenere il passo con l'aumento dell'inflazione, l'immigrazione perdurante e le complesse esigenze di una popolazione sempre più anziana. Sotto i governi dei conservatori, i tempi di attesa per le cure sono aumentati vertiginosamente.
L'elevato tasso di mortalità registrato in Gran Bretagna durante la pandemia di coronavirus (il 20° nel mondo, secondo i dati della Johns Hopkins School of Medicine) è stato ampiamente attribuito a un sistema sanitario pubblico in concreta difficoltà. L'aspettativa di vita alla nascita, un indicatore chiave della salute di un Paese, è stagnante in UK dal 2010, collocando il Paese al sesto posto nel Gruppo delle sette nazioni altamente sviluppate, davanti solo agli Stati Uniti, da tempo un caso anomalo in termini di risultati sanitari.
I ricercatori della London School of Economics hanno dato la colpa all'austerità: sostengono che i vincoli finanziari posti non solo al NHS ma anche al welfare e ad altri servizi pubblici sono costati ai britannici quasi mezzo anno di aspettativa media di vita.
L'economia improduttiva
La Gran Bretagna – e questo rimane comunque chiaro anche nelle considerazioni degli economisti - resta una delle economie più grandi ed avanzate al mondo, ma con la criticità che il suo tasso di crescita è sceso notevolmente rispetto ai livelli precedenti al 2010.
Il più autorevole organismo di analisi economica inglese, il “National Institute of Economic and Social Research” attribuisce gran parte della colpa alla Brexit. L'istituto ha concluso che nel solo 2023 l'uscita dall'Unione Europea è costata al paese fino al 3 percento del suo prodotto interno lordo reale (PIL), ovvero un costo pari a circa 1.000 sterline ad ogni cittadino inglese.Ma secondo un’analisi meno superficiale si rivelano condizioni ancora più preoccupanti: la crescita del PIL, ovvero la produzione economica totale del paese, è stata spinta in gran parte da un aumento della popolazione causato dall'immigrazione e dai cambiamenti demografici.
La crescita della produttività, misurata in base alla produzione economica per ogni ora lavorata in tutto il paese, è rimasta al di sotto dei valori positivi standard, collocando la Gran Bretagna molto più in basso rispetto a molti dei suoi pari. Il rallentamento in questo senso è iniziato intorno all'elezione di Cameron, quattordici anni fa.
La vittoria dei conservatori nel 2010 è avvenuta subito dopo che la crisi finanziaria globale ha scosso la Gran Bretagna e molte altre nazioni. Alcuni analisti affermano che gli eventi per i quali il governo può essere incolpato, come la Brexit, non possono essere separati da quelli sui quali non ha colpe se non in scarsa misura, tra le quali la crisi finanziaria mondiale, la pandemia e le conseguenze devastanti della guerra in Ucraina.
Tuttavia, qualunque sia la causa, gli impatti sono reali. I salari sono rimasti più o meno in linea con la produttività, dando luogo a quello che è stato descritto come il più lungo periodo di stagnazione delle retribuzioni britanniche da secoli.
I successi dei conservatori
In onore alle medaglie che hanno sempre due facce, anche i conservatori possono vantare alcuni successi, tra cui il mantenimento ad un alto livello del sistema scolastico, collocato un elevato standard internazionale, e l'assunzione di un ruolo guida nel sostenere l'Ucraina contro gli invasori russi. Ma se c'è un germoglio verde negli anni del potere dei conservatori, per via del quale la Gran Bretagna si è affermata come uno dei leader mondiali nella lotta contro il cambiamento climatico: sotto la leader Theresa May, la Gran Bretagna si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas serra a "zero netto" entro il 2050.
Johnson ha sostenuto concretamente una "rivoluzione industriale verde". Ma Sunak ha frenato tale programma ritardando di ben cinque anni il divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel, ad esempio, affermando che la Gran Bretagna deve ridurre le emissioni in modo "pragmatico, economicamente proporzionato e realistico".
Nel frattempo, l'utilizzo delle varie forme di energia verde in UK è salito esponenzialmente: nel solo 2023, le energie rinnovabili ( eolica, solare, biomassa e idroelettrica) hanno generato la ragguardevole cifra del 47% dell'elettricità dell’intero paese. Nel 2023, in Italia il 43,8 dell’energia è prodotta da fonti green. Si tratta di un risultato che curiosamente smentisce il caos politico del periodo: in 14 anni di governi dei conservatori, il Regno Unito ha avuto ben 10 segretari all'ambiente…!