Elezioni in Russia e lo stato di salute del putinismo

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  Redazione
  11 marzo 2024
  13 minuti, 12 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Dal 15 al 17 marzo si terranno le elezioni presidenziali in Russia per rafforzare il dominio del presidente russo Vladimir Putin. Non ci sono mai stati reali dubbi sull'esito, che preannuncia la certezza del suo quinto mandato. Ma il Cremlino ha adottato misure straordinarie per assicurarsi quest’esito: l’8 febbraio scorso la Commissione elettorale centrale ha annunciato che il candidato pacifista Boris Nadezhdin era stato squalificato e pertanto estromesso dalla candidatura.

Non basta: otto giorni dopo, Alexei Navalny è deceduto in una gelida colonia carceraria prossima al mare artico, un evento ampiamente attribuito allo stato russo, eliminando il più importante leader dell’opposizione russa. Navalny non era candidato alle elezioni, ma la politica interna russa fino a poco tempo fa si era ridotta a uno scontro continuo e acceso Navalny-Putin.

Ora Putin è davvero unico nell’aspirare all’Olimpo politico: con figure come Navalny e Nadezhdin fuori gioco, il voto può ora concludersi con una clamorosa affermazione di Putin con una maggioranza “bulgara” e del suo progetto preferito in questo momento, la guerra in Ucraina.

La stabilità incerta

Tuttavia, la Russia non è né stabile né normale. Le elezioni presidenziali portano a maturazione il putinismo in fase avanzata, iniziato con il referendum costituzionale dell’estate del 2020, quando il potenziale mandato di Putin è stato esteso legislativamente fino al 2036. In questa fase, tuttavia, c’è qualcosa di più della semplice e cinica autocrazia che governa il Cremlino. Putin ha chiarito che la Russia sta combattendo una guerra di fondo permanente contro l’Occidente, che gli fornisce sia una ragion d’essere di natura ideologica sia un modo soddisfacente per le sue élite dominanti a Mosca e a San Pietroburgo di mantenere ben saldo il potere.

Per riuscire ad andare avanti, Putin deve bruciare continuamente le risorse del Paese, finanziarie, umane, politiche e psicologiche. Tutto ciò in uno stato come la Federazione Russa che possiede un Pil (prodotto interno lordo) inferiore a quello dell’Italia.

Il totale di questi eventi evidenzia la fragilità politica ed economica del Paese. Basta considerare la situazione finanziaria ed economica: pur mantenendo i fondamentali del mercato, l’economia russa sta dipendendo sempre più dagli investimenti pubblici e non dal mondo delle imprese.

Il complesso militare-industriale è diventato il principale cliente e motore di questa economia malsana e improduttiva, basata sul controllo statale e non su una virtuosa imprenditorialità, come chiarisce ampiamente il bilancio 2024: le spese militari saranno 1,7 volte superiori anche rispetto alle cifre gonfiate dello scorso anno, raggiungendo il 25% dell’intera spesa nazionale. Nel frattempo, le esportazioni russe, rappresentate principalmente dalle abbondanti risorse di petrolio e gas, stanno fornendo rendimenti attualmente decrescenti a causa della chiusura dei mercati occidentali e delle vendite alternative a prezzi, però, decisamente scontati rispetto al passato. Tuttavia, queste fonti non rinnovabili non sono ancora esaurite e Putin sembra sperare che siano sufficienti per tutto il proprio governo.

Un problema ancora più grande è la demografia.

Insieme alla tendenza a lungo termine dell’invecchiamento della popolazione generale, la forte domanda di militari insieme al crollo dei flussi migratori stanno gettando il paese in una crisi demografica a medio termine.

Gli economisti osservano che fra non molto tutte queste pressioni sociali si combineranno con un calo della produttività del lavoro. Sebbene la crescita artificiale dei salari attraverso l’economia militare abbia per ora migliorato la situazione, l’ha anche distorta.

Putin è preoccupato, esprimendolo anche attraverso i media, di aumentare il tasso di natalità ad ogni costo, ma ci sono pochi segnali che ciò possa essere cambiato in breve tempo. Una società russa modernizzata e urbana non potrà materialmente produrre tanti bambini quanti ne servono a Putin per alimentare le necessità del complesso militare-industriale. Del resto, come potrebbe una famiglia russa pianificare il futuro in un costosissimo stato di guerra permanente?

Una delle risorse più scarse è quella psicologica

Incapace di soddisfare la fame di pace e di vita normale dei cittadini il regime ha fatto ricorso a gigantesche spese sociali e a un trattamento preferenziale per i poveri. La società russa, a sua volta, è stata costretta a adattarsi e a sopravvivere, piuttosto che a sviluppare liberamente i propri talenti imprenditoriali.

Ma la società civile, diversa da una società indifferente, incapace di protestare apertamente, ha mostrato almeno una grande resistenza morale: le persone si sono messe apertamente in fila per firmare a sostegno di Nadezhdin; dopo la morte di Navalny, hanno portato fiori e candele ai memoriali delle vittime delle repressioni staliniste. E la fila per salutare Navalny, l’uomo che incarnava l’alternativa a Putin, era enorme.

Il percorso della Russia verso l’anormalità non è iniziato nel 2022

Il sistema di Putin si è mosso in una direzione autoritaria sin da quando è iniziato, più di due decenni fa. Già nel dicembre del 2000 Putin aveva riproposto il vecchio inno stalinista: le parole avrebbero potuto essere diverse, ma il futuro autocrate offriva una prima indicazione significativa su dove intendeva andare.

La differenza era che allora l'autoritarismo antimoderno del regime era in parte nascosto; ora è in piena vista ed evidenza. Molto semplicemente, Putin e il suo gruppo sembrano presupporre che la Russia avrà sufficienti riserve di tutti i tipi – inclusa la tolleranza della sua popolazione – per durare in tutta la loro vita. Quello che succede dopo ha minore importanza.

Un Cremlino ordinario

Vent’anni fa la Russia veniva definita come un paese normale.

Notando l’ascesa di un’economia di mercato e l’esordio di istituzioni di tipo occidentale, si sosteneva, a Parigi come a New York, che la Federazione Russa stava diventando una tipica democrazia capitalista a reddito medio, sicuramente meno che perfetta, ma, con altrettanta certezza, lontana da quell’ “impero del male” stalinista che un tempo aveva minacciato gli oppositori in patria e all’estero. Considerando ciò che è accaduto alla Russia negli anni successivi, queste opinioni potrebbero essere considerate altamente infarcite d’ingenuità. In pochi ammettevano che la Russia potesse ancora seguire, o meglio riprendere un percorso spietato e autoritario come quello attuale.

Come per altri stati post-sovietici dell’Europa orientale, nonostante tutte le difficoltà dovute alla loro transizione verso un’economia di mercato e una gestione democratica dello stato, la transizione è avvenuta, anche se non sempre è stata impeccabile.

Fortunatamente, in questi paesi, la democrazia multipartitica e i trasferimenti pacifici del potere hanno funzionato: le elezioni polacche dell’ottobre 2023, che hanno portato al potere il centrista liberale Donald Tusk dopo anni di governo del partito di destra Diritto e Giustizia, ne sono solo una delle prove.

Riflessi autoritari

Nel 2004, l’apparente emergenza della Russia come democrazia capitalista non era una pura illusione. Ma è stato proprio in quel momento – l’inizio del secondo mandato presidenziale di Putin – che la Russia ha cominciato a perdere le sue possibilità di sviluppo democratico in politica interna e virtuoso in economia.

In realtà, alcuni risultati economici positivi, che all’epoca sembravano così degni di nota, non avevano nulla a che fare con Putin: erano piuttosto il risultato della precedente transizione della Russia dal socialismo al capitalismo e delle riforme economiche radicali dei primi anni ’90.

Il vero architetto di quelle riforme, Yegor Gaidar – l’economista che fu, per breve tempo, primo ministro ad interim sotto il presidente Boris Eltsin – fu criticato malamente dall’opinione pubblica, che lo incolpò di aver distrutto l’economia sovietica e di aver impoverito la popolazione.

Ciò ha permesso a Putin di definirsi il vero costruttore dell’economia post-sovietica, una sorta di Homo Novus, sebbene non vi avesse avuto alcun ruolo.

Durante i suoi primi due anni in carica, Putin ha preso più o meno sul serio le riforme economiche, ma in seguito ha perso interesse per esse.

Ciò che ha realmente trainato l’economia russa è stato il diluvio di petrodollari che ha improvvisamente inondato il paese, un altro fattore con cui non aveva nulla a che fare.

Ci furono altri primi segnali che indicavano che Putin non era un riformatore. Nel 2001, il canale televisivo indipendente NTV – simbolo della democratizzazione degli anni ’90 e frequente critico di Putin – fu rilevato da Gazprom e trasformato rapidamente in un braccio “addomesticato” dei media ufficiali di stato.

Tali riflessi autoritari presto ritornarono nel sistema politico, che cominciò a controllare i sempre più larghi aspetti dell’attività e della vita sociale. Valga come esempio, nel 2003, il Centro russo di ricerca sull'opinione pubblica, il principale centro di ricerca sociale del paese, è stato sequestrato dallo Stato e posto sotto stretto controllo del governo.

L’Occidente sbagliò valutazione

Un sistema del genere difficilmente può essere considerato normale, ma le élite russe e alcuni anche in Occidente (ultradestra e ultrasinistra) si sono convinti che lo fosse.

Molti davano per scontato che le autorità non avrebbero rischiato di intraprendere apertamente azioni repressive che avrebbero potuto ritorcersi contro di loro e mettere così a repentaglio le loro vite privilegiate.

Queste ipotesi persistevano anche dopo che il Cremlino aveva neutralizzato ogni competizione politica e invaso la Georgia nel 2008.

Ogni volta, tuttavia, questi sforzi di modernizzazione post-sovietica sono stati vanificati dalla mancanza di volontà politica, ed è diventato chiaro che qualsiasi tentativo di miglioramento autoritario si sarebbe concluso soltanto con l’autoritarismo, senza alcuna modernizzazione del sistema.

È sintomatico che molti degli esperti che hanno guidato questi sforzi negli ultimi due anni siano stati messi tutti da parte o costretti a lasciare il Paese.

Pochi russi hanno visto una relazione tra la presa sempre più stretta del regime e il fallimento dell’economia.

In quegli anni c’era ancora una certa opposizione politica, con le persone che scendevano in piazza e vari gruppi della società civile che entravano in azione. Molti hanno corso rischi significativi, tra cui essere etichettati come “agenti stranieri”, una designazione legale ideata dal Cremlino nel 2012 per chiunque ricevesse sostegno dall’esterno della Russia o sembrasse influenzato da fonti esterne.

Il principale problema sociale era che l’economia di mercato russa aveva trasformato i cittadini russi in consumatori capitalisti senza però renderli civilmente impegnati.

Essendosi adattati alle nuove condizioni del mercato durante la transizione post-sovietica, non vedevano il legame inestricabile tra mercato aperto e democrazia politica.

Nelle grandi città in pochissimi vedevano il senso e ruolo virtuoso della democrazia, della rotazione del potere e del rispetto dei diritti umani.

Nonostante il calo dei redditi reali medi e i problemi delle classi lavoratrici, il boom consumistico è continuato. I russi della classe media si erano abituati anche a trascorrere le vacanze in Europa, specie in Italia.

Per molti di loro è stato facile sottovalutare l’importanza della democrazia in tutto questo.

Putin, in ogni caso, ha dimostrato di non avere mai creduto nella modernizzazione, quindi quando ha ritenuto che questa non funzionasse, ha fatto una scelta consapevole a favore dell’arcaismo istituzionale e della demodernizzazione.

Niente più libri per bambini

Putin sarebbe sorpreso per primo di essere definito marxista. Ma è almeno in parte un determinista economico, poiché la sua tattica principale per preservare il potere è mantenere un livello sufficiente di benessere socioeconomico, in particolare comprando la lealtà delle classi medio-basse con il sostegno sociale.

Se i fallimenti economici possono essere superati attraverso la repressione politica e un’ideologia nazional-imperiale arcaica, è possibile governare per molto tempo.

I tassi di natalità seguono invece tendenze a più lungo termine, e alcune spiegazioni sono date dalle inesorabili conseguenze demografiche del diventare un paese post industriale: la società russa ha iniziato a diventare moderna, con persone che si trasferiscono nelle città, diventando più istruite e avere meno figli negli anni ’60.

Ma un’altra ragione per la quale il tasso di natalità della Russia oggi è così basso è che Putin ha bisogno di soldati e lavoratori nelle fabbriche dei complessi militari-industriali, e oggi sono sempre di meno i russi che vogliono che i loro figli crescano fino a diventare soldati e lavoratori.

Nel frattempo, il declino della popolazione in età lavorativa – dovuto principalmente all’invecchiamento della popolazione e al minor numero di persone che entrano nel mercato del lavoro – ha già causato un’elevata carenza di manodopera.

Nel 2023 i posti vacanti erano due milioni in più rispetto ai lavoratori.

Secondo le previsioni degli specialisti del mercato del lavoro e dei demografi, entro il 2035 ci saranno da tre a quattro milioni di russi occupati in meno, la quota dei giovani sul mercato del lavoro diminuirà costantemente e il livello di istruzione della forza lavoro ristagnerà.

Secondo lo scenario più pessimistico modellato dal servizio statistico statale, entro il 2046 la popolazione della Russia (esclusi i quattro territori la cui annessione all’Ucraina è stata annunciata dal Cremlino nel settembre 2022) diminuirà di un totale di 15,4 milioni di persone, equivalenti a un calo demografico medio annuo di 700.000 unità.

Gli sforzi del governo per affrontare questa bomba a orologeria demografica stanno diventando sempre più assurdi.

Nessun divieto sull’aborto – che non è più comune in Russia che nei paesi europei sviluppati – potrà rilanciare il tasso di natalità. Né riuscirà a convincere le persone a trasferirsi nelle zone rurali per vivere una “vita tradizionale”, dato che, lontano dalle città e dalle infrastrutture economiche, è ancora più difficile sostenere una famiglia più numerosa.

Anche i russi che possono lavorare sono stati compromessi dalla guerra in Ucraina: le richieste militari hanno distolto denaro da settori critici come la sanità e l’istruzione.

Una lotta contro il futuro

Costruire l’economia attorno a obiettivi diversi dal miglioramento della qualità della vita umana rende l’economia decisamente improduttiva.

Secondo le statistiche comunicate dal governo, nel 2022 la produttività del lavoro è diminuita del 3,6% rispetto all’anno precedente. Mentre i dati per il 2023 non sono stati ancora pubblicati.

Finanziata in gran parte a spese dei contribuenti e dalle entrate derivanti dalle materie prime, l’intensificarsi della produzione di “beni metallici” l’eufemismo del governo per denominare le armi sta rendendo l’economia più primitiva.

Ormai, gran parte della crescita del PIL russo – un terzo, secondo alcune stime – può essere attribuita al complesso militare-industriale e alle industrie correlate.

Putin spera che le industrie militari stimolino lo sviluppo delle tecnologie civili. Ma questo cosiddetto “schema di conversione” fallì già durante gli anni del sovietismo e l’inizio dell’era delle riforme post-sovietiche.

Putin ha iniziato la sua guerra per cambiare l’ordine mondiale e per costringere tutti gli altri a vivere secondo le sue regole. Per questo aveva bisogno di posizionare il suo Paese e la sua zona di influenza geopolitica contro l’Occidente e il progetto di modernizzazione che questo rappresenta.

Questi obiettivi spiegano la strenua volontà di Putin di intraprendere l’espansione territoriale: molti altri paesi stanno andando avanti, passando ad altri tipi di energia proprio per avere risorse per il futuro.

Ma la Russia sta difendendo un modello di sviluppo ormai morente, che richiede un’ideologia totalitaria e imperiale e che implica l’utilizzo immediato delle risorse energetiche di valenza strategica, compresi gli stessi vecchi petrolio e gas.

Per Putin ed il suo gruppo di potere sembra essere una scommessa che vale la pena fare: il suo costoso progetto in Ucraina ha gettato un campo minato per il futuro economico e demografico del paese, ma è del tutto possibile che queste mine esplodano solo dopo che lui sarà uscito di scena.

Lo si può chiamare come il modello di governo dell’antico re di Francia Luigi XV di Borbone: “Après moi, le déluge” . "Dopo di me, il diluvio."

La guerra di Putin è sempre più una lotta contro il futuro.

Per quanto concerne il diluvio…..quello in Russia c’è già!

Homo Hominis faber

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