Il Kenya e l'energia nucleare in Africa: una partita aperta

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  Leonardo Di Girolamo
  18 settembre 2023
  4 minuti, 36 secondi

Lunedì 5 settembre, a Nairobi, si sono aperti la Settimana e il Summit sui cambiamenti climatici in Africa. Si è trattata di una tappa di preparazione alla conferenza generale dell’ONU sul clima (COP28), dove governi, società civile e forze economiche hanno lavorato per ricercare posizioni comuni da presentare il prossimo dicembre a Dubai. Ad aprire la sessione inaugurale è stato il Presidente del Kenya William Ruto, forte della sua posizione dopo aver reso più efficace la legge kenyana nel combattere cause ed effetti dei cambiamenti climatici.

Un continente giovane

Nel fine settimana che ha preceduto l’African Climate Summit e l’Africa Climate Week, sempre nella capitale kenyana si è tenuta l’Assemblea dei giovani africani sul clima (African Youth Climate Assembly), coordinata dalla giovane attivista e fondatrice della Green Generation Initiative, Elizabeth Wathuti. Alla cerimonia di chiusura ha preso parte anche il Presidente Ruto, a sottolineare il supporto politico, recandosi presso l’evento alla guida di un’auto elettrica. La dichiarazione finale dell’evento, di stampo fortemente unitario, ha affrontato sei aree tematiche importanti per il continente: la finanza legata al clima, l’adattamento e la resilienza, l’uso sostenibile del territorio e delle risorse marine, le energie rinnovabili, l’attenzione per il capitale naturale. È stato inoltre sottolineato il fatto che in Africa viva la popolazione più giovane del pianeta e che, dunque, erediterà più di qualunque altro continente le conseguenze drammatiche dei cambiamenti climatici. Proprio in virtù di ciò, i giovani africani continuano a chiedere di essere integrati nei processi decisionali, non in modo solamente formale, con Elizabeth Wathuti che ha sottolineato come, ad oggi, siano sistematicamente esclusi.

L'energia nucleare in Kenya, fra transizione green e sicurezza energetica

Il tema della transizione energetica è stato al centro del programma dell’African Climate Summit e dell’Africa Climate Week. In particolare, l’energia nucleare viene considerata da sempre più Paesi del continente una possibile alternativa ai combustibili fossili, e proprio il Kenya è uno dei Paesi più determinati a esplorare la fattibilità di tale settore. NuPEA, l’agenzia kenyana per l’energia nucleare, sostiene che ci sono già piani per utilizzare questo tipo di energia a partire dal 2034, allo scopo di ridurre la produzione di anidride carbonica, migliorando al contempo stabilità ed affidabilità del rifornimento energetico e riducendone i costi. Una scelta presa dunque non solamente in termini di sicurezza energetica e di economia energetica, ma anche di transizione verso le energie rinnovabili.

Alex Wachira, primo segretario al Ministero dell’Energia del governo kenyano, ha dichiarato che l’energia nucleare è la base necessaria per stimolare lo sviluppo del Paese, sostenendo inoltre che si tratti di “uno strumento indispensabile per raggiungere l’agenda globale dello sviluppo sostenibile”. Queste parole sono state pronunciate durante un corso di formazione sullo sviluppo delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo di un’industria nucleare: molto più di un semplice corso tecnico, quasi un summit internazionale in linea con l’obiettivo del Kenya di guidare altri Paesi del continente verso questa scelta strategica. Difatti, hanno partecipato al corso presenziato da Wachira delegati provenienti da 17 Paesi, per lo più africani: Algeria, Egitto, Etiopia, Ghana, Nigeria, Senegal, Uganda e Zambia. Il corso, iniziato il 28 agosto, ha anche una forte valenza geopolitica, perché nonostante sia stato ospitato da NuPEA, è stato organizzato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), in collaborazione con il governo degli Stati Uniti: una mossa importante, in un periodo storico durante il quale sempre più Paesi africani si stanno allineando politicamente con Russia e Cina tramite accordi di sicurezza energetica.

La geopolitica dell'energia nucleare in Africa

L’energia nucleare promossa dal Kenya non è una novità nel continente africano: seppure il Sudafrica sia l’unico ad avere, al momento, una centrale attiva, altri sette Paesi hanno già intrapreso la strada per dare vita ad impianti nucleari su scala nazionale. A questi si è recentemente aggiunto il Kenya, annunciando di aver già individuato due possibili siti per la costruzione della sua prima centrale nucleare. I siti indicati si trovano entrambi nelle vicinanze della costa, sull’Oceano Indiano. L’Egitto, invece, ha già incominciato la costruzione del proprio impianto, dal costo stimato di 25 miliardi di dollari e che verrà realizzato dalla multinazionale governativa russa dell’energia Rosatom. Rosatom ha inoltre firmato accordi anche con Nigeria, Rwanda e Tanzania. Verso un simile indirizzo anche l’Uganda, il cui impianto nucleare dovrebbe diventare operativo dal 2031 e che ha siglato un accordo con investitori cinesi e con il Ministero dell’Energia russo. In generale, gli investitori che hanno mostrato interesse nei confronti dell’industria nucleare africana sono Cina, Corea del Sud, Francia, Russia e Slovacchia. È estremamente interessante notare come il grande assente siano gli Stati Uniti, che ora tentano di recuperare con iniziative come il corso organizzato a Mombasa.

Una partita aperta

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica si è già interrogata, in più occasioni, sulla situazione energetica del continente africano, ritenendo che i Paesi interessati siano già sostanzialmente pronti per gestire degli impianti nucleari, nonostante sia ovviamente necessario investire nel miglioramento delle già esistenti conoscenze tecniche. In un clima di forte instabilità e in una nuova stagione di golpe nel continente, la partita per la sicurezza energetica sembra ora giocarsi attorno all’atomo, un’energia comune sia all’alleanza sino-russa che all’Occidente, che però si sta unendo in ritardo e in forte svantaggio.

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