Il Caucaso: una complessa geometria strategica

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  Michele Magistretti
  30 aprile 2025
  3 minuti, 43 secondi

Pur essendo una regione spesso ignorata dalla maggioranza dei media tradizionali, il Caucaso ricopre in realtà un ruolo fondamentale nelle considerazioni strategiche dei leader del Vecchio Continente. Questa regione, un puzzle complesso di storia, etnie e religioni, ha sperimentato notevoli cambiamenti nell’ultimo periodo.

Vediamo quali sono i recenti sviluppi e quali possono essere le conseguenze sia per gli attori regionali che per i paesi occidentali.

Un tripolarismo asimmetrico in trasformazione

Nelle prime due decadi del nuovo millennio, due dei tre paesi incastonati tra i monti del Caucaso, hanno stretto rapporti stretti con l’Europa e gli Stati Uniti.

Inizialmente, la Georgia ha tentato di avvicinarsi all’Occidente, pagando anche un prezzo salato, dovendo fare fronte al revisionismo imperiale russo. Il processo di assimilazione ha subito due battute d’arresto, la prima di natura esogena, mentre la seconda ha avuto origine da cambiamenti politici interni. L’attacco russo del 2008 ha congelato lo status quo militare tra la Tbilisi e le repubbliche separatiste di Abcasia e Ossezia del Sud, diventate de facto protettorati russi. Nonostante la retorica di alcuni occidentali, questo stallo diplomatico-militare ha de facto congelato l’eventuale entrata del paese nell’Alleanza Atlantica. Successivamente, la vittoria di Sogno Georgiano nelle elezioni del 2012 ha gradualmente modificato il posizionamento strategico di Tbilisi. Mentre continuava a guardare ad ovest per le opportunità economiche offerte dall’Unione Europea, cercando e ottenendo lo status di candidato, ha finito per legarsi maggiormente a Mosca, in particolare tramite il leader del partito, il miliardario Bidzina Ivanishvili. Le recenti leggi volte a scongiurare le influenze straniere e le modalità opache con cui sono state vinte le elezioni del 2024 certificano un ulteriore scivolamento della Georgia verso un regime ibrido maggiormente repressivo e amichevole con il vicino russo.

Sull’altro versante della catena, l’Azerbaigian guidato dal dittatore Aliyev ha gradualmente optato per una strategia multivettoriale, giocando su più tavoli e modificando la propria postura nei confronti del vicino russo. Pur avendo forti legami economici e commerciali con gli stati europei, in ragione anche della rete di gasdotti tramite il quale rifornisce il continente del proprio gas, è riuscito a instaurare una nuova partnership diplomatica con Mosca, anche nel tentativo di isolare la rivale Armenia.

Pur essendo fortemente secolarizzato e laico rispetto all’alleato turco e al vicino Iran, il regime di Baku è tra i più repressivi e autoritari nel Caucaso. Obiettivo di lungo periodo del leader azero è sempre stato il recupero dei territori della repubblica separatista armena nata dalla sconfitta subita nella guerra del Nagorno Karabakh degli anni Novanta. Dopo due campagne militari, la prima nel 2020 e la seconda nel 2023, Baku ottiene la dissoluzione della repubblica dell’Artsakh e la reintegrazione dei suoi territori nella repubblica azera. Parallelamente, a causa del timore di subire persecuzioni e discriminazioni, avviene l’esodo della quasi totalità degli armeni residenti in quei territori, eventualità che comporta quindi una pulizia etnica de facto della popolazione di etnia armena. In questo contesto, l’Azerbaigian è riuscito quindi a disarticolare l’alleanza russo-armena ottenendo così l’indebolimento di Yerevan, che si è ritrovata senza il supporto del proprio “padrino” da una parte e con l’immobilismo o il disinteresse euro-americano dall’altra.

Pur avendo credenziali democratiche migliori dei propri vicini, ma essendo priva di risorse e geograficamente di scarsa salienza strategica, l’Armenia pare condannata all’irrilevanza e a una condizione di subordinazione rispetto al vicino Azerbaigian. Nonostante la retorica sui diritti umani e i valori democratici, i paesi occidentali sembrano prediligere il rapporto con la repubblica azera per ragioni di Realpolitik, legate alla necessità di approvvigionamento energetico e alla deterrenza offerta da Baku nel contenimento della Repubblica islamica iraniana.

Tuttavia, Tbilisi e Baku sembrano avviate sulla strada di un riallineamento strategico, desiderose di trovare un nuovo modus vivendi con Mosca e non intenzionate a sacrificare i propri rapporti con la Russia in nome di quelli con l’Occidente. Il rischio che corrono i partner occidentali, europei in particolare, è quello di vedere la propria influenza regionale pregiudicata dalla propria dipendenza energetica. Con Tbilisi che si allontana dall’Occidente e Baku sempre più “battitore libero”, i paesi europei dovranno trovare nuove forme di dialogo con entrambi i paesi per evitare uno sbilanciamento dei rapporti a loro sfavorevole.

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Michele Magistretti

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