Il debito pubblico: possiamo indebitarci per sempre?

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  Davide Bertot
  09 luglio 2021
  10 minuti, 59 secondi

Il debito pubblico è forse l’argomento più controverso e discusso di ogni tempo, e nel mezzo di una pandemia che ha costretto i governi di tutto il mondo a indebitarsi per miliardi è necessario fare un po’ di chiarezza su come funziona il debito, perché gli economisti hanno teorie differenti sulle sue conseguenze e perché gli effetti terribili che alcuni pronosticano sembrano non avverarsi.

Nel prossimo articolo vedremo nel dettaglio perché sembra che i governi possano indebitarsi più di quanto si credeva possibile, per questo oggi dobbiamo capire cos’è il debito, quando viene considerato insostenibile e cosa può fare un governo a riguardo.

Cos’è il debito pubblico?

Il debito pubblico è essenzialmente la quantità totale di denaro che un governo in un dato momento deve rendere ai propri creditori, accumulata anno dopo anno per pagare le proprie spese.

Ogni anno, se un governo spende più di quello che riscuote in tasse, si ha un deficit di bilancio, e per pagare questa differenza si indebita con privati cittadini o governi stranieri, prendendo in prestito denaro che dovrà essere restituito con un interesse e quindi aumentando il proprio debito. In particolare, il governo paga il suo deficit e gli interessi sul debito accumulato emettendo titoli di stato, un tipo di obbligazione che viene venduta a risparmiatori interni o esteri.

Ma se incorrere in un deficit di bilancio comporta il dover chiedere soldi in prestito, sapendo di doverne ripagare di più in futuro, perché un governo dovrebbe decidere di finanziarsi emettendo debito anziché aumentare le tasse?

Innanzitutto, se il debito serve a finanziare un investimento pubblico che produrrà benefici per molti anni a venire, indebitarsi è un modo per trasferire una parte dell’onere fiscale ad anni e generazioni future. Questa redistribuzione intergenerazionale, che distribuisce il costo delle spese pubbliche su molti anni invece di farlo pagare in una volta sola ai contribuenti, si basa sul fatto che le generazioni future godranno dei benefici dell’investimento odierno e di conseguenza saranno più ricche e in grado di pagare la loro parte.

Un altro motivo per ricorrere al debito è stabilizzare l’economia: aumentare le spese pubbliche o ridurre le tasse può servire per ridurre l’impatto di una recessione sull’economia, e questo può essere finanziato aumentando il debito in un periodo depressivo con l’obiettivo di ripagarlo una volta avviata la ripresa economica.

Quanto debito è troppo debito?

La differenza sostanziale fra il debito di un individuo e quello di uno stato è che l’individuo ha una vita limitata mentre lo stato in un certo senso vive per sempre. Per questo, mentre il debito di un individuo deve essere teoricamente ripagato nella sua interezza durante la vita del debitore, non c’è ragione per uno stato di ripagare totalmente il proprio debito. Quello che conta è la sostenibilità fiscale del debito, intesa come la capacità di un governo di pagare gli interessi sul debito e ripagare i capitali quando i prestiti scadono.

Per questo, il debito di uno stato viene comunemente considerato insostenibile quando il debitore non è più in grado di contenere la sua crescita, ovvero quando è costretto a emettere nuovo debito solo per pagare gli interessi sul debito già esistente. Tuttavia, dal momento che l’abilità di un governo di ripagare il debito dipende dalle tasse che raccoglie, e il guadagno della tassazione cresce con la crescita economica (perché redditi più alti significano tasse più alte e ricavi più alti per il governo), valutare la sostenibilità del debito significa considerare il rapporto fra debito e PIL: il debito pubblico è insostenibile se, data una certa crescita del PIL, il governo non è in grado di generare un surplus tale da frenare la crescita del rapporto debito/PIL.

Tuttavia, questa regola apparentemente rigida non sempre rispecchia la realtà, dal momento che ci sono vari esempi di debiti che, secondo questa teoria, dovrebbero aver già causato un tracollo dell’economia (primo fra tutti il Giappone, un paese in cui il debito netto era pari al 154% del PIL ancor prima della pandemia). Di queste discrepanze, e della nuova sensibilità intorno al debito pubblico che si sta sviluppando nel mondo economico, parleremo nel prossimo articolo, ma prima dobbiamo focalizzarci su quali soluzioni può adottare un governo per risolvere un debito insostenibile.

Cosa fare quando il debito è insostenibile?

Il vero problema di un debito insostenibile è legato alla fiducia degli investitori: se il rapporto debito/PIL continua a crescere, i creditori potrebbero iniziare a dubitare che lo stato sia in grado di ripagarlo. In questo caso, essi potrebbero chiedere un interesse più alto sui propri prestiti (cosa che in realtà non farebbe che accelerare la crescita del debito) o persino smettere di comprare i titoli di stato, rendendo lo stato incapace di finanziarsi con nuovo debito.

La soluzione migliore, dal momento che il problema è un deficit di bilancio strutturale, sarebbe ricorrere a riforme fiscali, tagliando la spesa pubblica o aumentando le tasse (o entrambe). Tuttavia, questa manovra non è sempre possibile, innanzitutto perché queste riforme sono politicamente impopolari, e anche perché un Paese improduttivo o in crisi spesso necessita di riforme strutturali più profonde del tessuto produttivo, che richiedono tempo che spesso lo stato indebitato non ha.

A fronte di questo scenario, ci sono solo due modi principali con cui uno stato può “risolvere” un debito insostenibile: la monetizzazione del debito o una ristrutturazione del debito.

Monetizzare il debito significa sostanzialmente chiedere alla Banca Centrale di comprare il debito dello stato, acquistando titoli di stato e aumentando così la quantità di moneta circolante nell’economia. Così facendo, viene aumentata l’inflazione e il valore reale del denaro scende, e il debito, il cui valore nominale è sempre uguale, diventa più facile da ripagare perché anche il suo valore reale diminuisce. Ma un uso sistematico di questo meccanismo alla fine risulta controproducente, perché aumenta l’inflazione, non risolve i problemi fiscali del paese e rende gli investitori più restii a comprare un debito che varrà di meno quando sarà ripagato.

Un’altra soluzione prevede che lo stato decida unilateralmente di ristrutturare il debito, rinegoziandolo con i creditori o dichiarando default parziale o totale sul proprio debito (semplicemente affermando che non verrà ripagato). Se questa misura a prima vista può sembrare provvidenziale, in realtà uno stato che va in bancarotta vedrà un’imponente fuga di capitali, che gli impedirà per molto tempo di potersi finanziare emettendo debito, e quindi dovrà attuare una riduzione drastica della spesa pubblica e del welfare.

Il debito è dunque un importantissimo indicatore della performance economica di una nazione, e la sua insostenibilità sembra poter distruggere la stabilità di uno Stato e la vita dei suoi cittadini. Ma la situazione è davvero così tragica?

Negli ultimi decenni, politici ed economisti hanno visto con diffidenza il debito pubblico, ponendo poca fede nei suoi potenziali benefici e concentrandosi sui suoi pericoli. Tuttavia, anche perché privi di altre opzioni di fronte a sfide come il Covid-19, recentemente molti governi si sono pesantemente indebitati, senza per ora scontarne alcuna terribile conseguenza. Ma questo può continuare?

Nel secondo appuntamento sull’argomento vediamo insieme l’evolversi della sensibilità intorno al debito e le ragioni per cui indebitarsi oggi sembra molto più attraente che in passato.

Aspettative adattive e aspettative razionali

La grande depressione del 1929, e il suo tremendo impatto economico e politico a livello globale, portarono John Maynard Keynes – considerato il padre della macroeconomia – a sviluppare una certa visione di recessioni e debito. Le recessioni avvengono per una crescita improvvisa della propensione al risparmio che porta a una minore spesa privata, la quale a sua volta aumenta la disoccupazione, che abbassa ancora la spesa privata, e così via. Se il governo è in grado di indebitarsi e incrementare la propria spesa per contrastare questo circolo vizioso, la recessione può essere combattuta o persino prevenuta. La teoria keynesiana si fonda anche sul presupposto che i consumatori abbiano aspettative adattive, ovvero che si basino solo su quello che vedono sul momento per le proprie scelte di consumo e di risparmio, e che quindi un abbassamento delle tasse (o incremento dei servizi) finanziato che emette debito causi l’impressione di maggiore ricchezza e quindi una maggiore spesa privata.

Tuttavia, gli sviluppi economici degli anni ’70 e ’80 hanno messo in discussione l’ortodossia keynesiana, e la combinazione di crescita lenta, l’inflazione galoppante e la disoccupazione in aumento hanno portato gli economisti a dubitare dei supposti benefici del debito. In particolare, i fautori della teoria delle “aspettative razionali” hanno iniziato a sostenere che i consumatori, capaci di prendere decisioni basate anche sulle prospettive future delle scelte odierne, in caso di indebitamento risparmierebbero maggiormente invece di spendere, perché capirebbero che indebitarsi oggi sicuramente comporterebbe un aumento delle tasse future: questo ulteriore calo della spesa privata vanificherebbe i benefici del debito pubblico.

La nuova ortodossia a quel punto è diventata affidarsi alla politica monetaria. Quando l’economia entra in recessione – secondo questa teoria – bisogna attuare un’espansione monetaria, rendendo i prestiti più convenienti e incoraggiando le persone a spendere. Il debito pubblico, invece, dovrebbe essere contenuto, perché un alto debito erode la fiducia dei mercati e la loro volontà di investire capitali, aumentando così i tassi d’interesse e quindi vanificando l’espansione monetaria.

Interessi bassi e fissi

Gli anni 2000, tuttavia, hanno dimostrato i limiti anche di questo approccio: dagli anni ’80 i tassi di interesse hanno sperimentato un calo lento ma costante, e negli anni 2000 hanno raggiunto minimi storici. Interessi bassi rendono più difficile per le banche centrali attuare politiche monetarie espansive che mirino ad abbassarli ulteriormente, tanto che la crisi finanziaria del 2008 ha portato gli interessi a livello globale a rasentare lo zero.

A quel punto una nuova sensibilità ha iniziato a emergere, o meglio un rinnovato keynesianismo, proponendo nuovamente di utilizzare il debito per finanziare la ripresa. Grazie ai bassi tassi d’interesse, i benefici che le spese di deficit porterebbero accelerando la crescita del PIL sovrastano i costi di ripagare il debito. Infatti, interessi bassi significano che le economie possono crescere più velocemente degli interessi sul debito, e tassi d’interesse negativi, come sono stati adottati ad esempio in Europa in tempi recenti, implicano che la somma da ripagare sia persino minore di quella presa in prestito.

Gli scettici hanno continuato a insistere che un tale approccio avrebbe alzato i tassi d’interesse, ma col passare degli anni e con interessi fissi a minimi storici l’idea di stimoli fiscali finanziati tramite debito è diventata via via più attraente. Le cause di questo comportamento dei tassi d’interesse non sono perfettamente chiare nemmeno agli economisti, tuttavia questo ha portato il Congressional Budget Office degli USA nel 2021 a dire che il rapporto debito/PIL non sembra avere un punto critico, oltre il quale una crisi finanziaria diventa probabile o imminente. Infatti, alcuni sostengono persino che il rapporto debito/PIL non sia più un parametro così affidabile; data la relazione inversa fra un debito crescente e tassi d’interesse bassi a livello globale, ne consegue che la capacità di un’economia di fare debito senza incorrere in conseguenze catastrofiche sia molto più ampia di quanto precedentemente teorizzato.

Questo cambiamento riguardo al debito può spiegare perché, anche di fronte a enormi indebitamenti dei governi per fronteggiare la pandemia (come lo stimolo di 1.900 miliardi di dollari voluto dall’amministrazione Biden), gli economisti non si sono preoccupati eccessivamente. Ma ora che i governi del mondo sono diventati più inclini a utilizzare il debito, quale dovrebbe essere il loro limite?

Sfide e opportunità per il futuro

In realtà, a oggi si è sviluppato un certo consenso fra gli economisti nel dire che, con tassi d’interesse ai minimi storici, la domanda non dovrebbe essere quanto debito sia troppo debito, ma qual è il valore di ciò che otteniamo in cambio. Indebitarsi, infatti, può essere un ottimo investimento per un Paese, e la questione fondamentale è diventata spenderlo per le cose giuste: finanziare attività economiche reali per incrementare la produzione (invece di regalarli alle persone senza dietro un piano di investimenti).

Tuttavia, i governi devono ricordarsi che il debito contratto a un tasso d’interesse può ancora – se i sentimenti del mercato cambiano – essere ripagato a un tasso molto più alto. Con questo rischio in mente, idealmente ogni governo dovrebbe assicurarsi che il nuovo debito sia usato per produrre beni duraturi, il cui valore complessivo sia maggiore dei costi d’indebitamento.

La nuova sensibilità intorno al debito come a un importante stabilizzatore dell’economia, unita alla consapevolezza che i tassi d’interesse odierni permettono una certa flessibilità nel contrarre debito, è essenziale all’economia contemporanea, in quanto il Covid ci ha dimostrato quanto questo strumento sia fondamentale per affrontare i nuovi rischi globali. Se l’inflazione o gli interessi iniziassero a crescere, è chiaro che dovremmo prestare sempre più attenzione alle nostre decisioni di bilancio e forse iniziare a capire come ridurre il deficit. Tuttavia per ora il dibattito non dovrebbe riguardare se il debito pubblico sia intrinsecamente buono o cattivo, ma se gli investimenti così finanziati ne valgano la pena.

http://www.dt.mef.gov.it/it/debito_pubblico/titoli_di_stato/quali_sono_titoli/ https://www.economist.com/schools-brief/2020/09/10/governments-can-borrow-more-than-was-once-believed

https://www.youtube.com/watch?v=yq_E3HquRJY

http://www.dt.mef.gov.it/it/debito_pubblico/

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-previsioni-su-deficit-debito-pubblico-e-aiuti-europei-nel-2021

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-debito-pubblico-in-italia-perche-e-un-problema-e-come-se-ne-esce

Gregory Mankiw and Mark Taylor, Macroeconomics, 2° Edition, European Edition, Macmillan, 2014.

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Categorie

Società

Tag

Economia debito