A cura di Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS.
I costi a lungo termine della guerra in Ucraina sono e saranno senza eguali.
Nel febbraio scorso gli analisti prevedevano che l’economia russa fosse destinata ad un futuro di incertezza e povertà a seguito della guerra di aggressione contro l’Ucraina.
All’inizio del conflitto, avvenuto il 24 febbraio 2022 vennero emanate le prime pesanti sanzioni verso la Federazione russa da parte di tutto l’Occidente. Subito dopo, il valore del rublo, la moneta vigente in Russia, ha subito una depressione del proprio valore e del mercato finanziario ad esso legato.
Nei mesi successivi l’economia russa ha saputo mantenere un certo livello di sopravvivenza del sistema economico.
L’andamento reale
Tuttavia, dopo oltre un anno di guerra, analizzando in profondità la contrazione economica russa pari al 2,1% del PIL nel solo 2022 e una solida previsione, sempre da parte l’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), di un'ulteriore contrazione del 2,5% nel 2023, appare evidente che il deterioramento finanziario è in realtà ben più grave: anzi per l'economia della Federazione russa si valuta un periodo di stagnazione dei fondamentali economici per una lunga durata.
Attualmente si assiste anche ad una maggiore pressione finanziaria sul settore privato russo che minaccia l’esiguità degli investimenti nei settori economici più ambiti e a più alto rendimento come quelli dell’innovazione più avanzata in campo tecnico e tecnologico. Più in generale, ne sta risentendo sensibilmente l’intera redditività delle transazioni nel mercato dell’ import-export.
In tale contingenza, gli economisti consigliano vivamente il varo in Russia di grandi riforme - che però neanche si intravvedono – oppure un traumatico scontro istituzionale che rinnovi l’intero regime politico al governo della società secondo quanto è già avvenuto in occasione della caduta del regime comunista sovietico nel 1990-1991.
L’effetto delle sanzioni sull’economia russa
Certi equivoci di interpretazione sugli effetti delle sanzioni occidentali nascono in realtà da varie aspettative tutte poco realistiche.
E’ possibile che le sanzioni possano ridurre la consistenza dell’economia specie nel lungo periodo. Ma già in quello breve può incominciare a determinare un calo marcato delle importazioni.
In tale situazione, la prima naturale conseguenza delle sanzioni è rappresentata dalla diminuzione della domanda commerciale russa, tutta da saldare in dollari e/o in euro – con i quali effettuare gran parte dei pagamenti con l’estero – il quale, come conseguenza immediata si riduce grandemente e in proporzione.
E poiché il denaro che sarebbe stato speso da Mosca per le importazioni viene reindirizzato fatalmente verso la produzione interna, il PIL dovrebbe in realtà aumentare piuttosto che diminuire: tradizionalmente, gli economisti sanno che l'effetto delle sanzioni sui consumi e sulla qualità della vita richiede tempi più lunghi per affermarsi nell'ambito generale dell’economia di un paese.
In breve, non è esatto dire che le sanzioni non abbiano funzionato. Al contrario, ad esempio, secondo i dati economici dell’OCSE, il loro effetto a breve termine sulle importazioni è stato forte e non recuperabile.
Un calo così cospicuo delle importazioni non era affatto previsto dal Cremlino: qualora la banca centrale russa avesse atteso una caduta così massiccia, non avrebbe introdotto severe restrizioni sui depositi in dollari a marzo del 2022 per evitare il crollo di valore del rublo.
Le altre sanzioni
Le sanzioni economiche hanno avuto altri effetti immediati.
La limitazione alla vendita e spedizioni verso la Russia di microelettronica, di chip e di semiconduttori avanzati ha ridotto la produzione di automobili (90%) e in eguale misura dell’industria aeronautica civile e militare.
Lo stesso vale per la produzione di vari sistemi d’arma terrestri nonostante che rappresenti in questo momento una assoluta priorità per il Cremlino.
Si potrebbe obiettare che le nuove rotte commerciali passanti attraverso la Cina, la Turchia ed altri paesi, che non sono oggetto delle medesime sanzioni, avrebbero comunque compensato la perdita delle importazioni dall’ Occidente.
Ma questo di fatto non è accaduto in quanto il forte aumento iniziale del rublo era dovuto proprio alla chiusura dei canali d’importazione.
Infatti, se le importazioni fossero fluite in Russia attraverso canali più o meno clandestini, gli importatori avrebbero comprato dollari facendo diminuire il valore del rublo.
E’ fin troppo facile immaginare lo status dell’economia russa privata di tali cruciali importazioni e in particolare la poco felice prospettiva di produzione nel lungo periodo dell'industria high-tech.
L'economia russa verso la stagnazione.
Ancora più importante delle sanzioni tecnologiche occidentali è il fatto che la Russia sta inequivocabilmente entrando in un periodo storico nel quale gli oligarchi di partito stanno consolidando la loro presa di guadagno e di potere sul settore privato.
C'è voluto tempo per realizzarlo. Infatti, dopo la dura prova economica che la Russia ha patito nel corso della crisi finanziaria del 2008, il presidente Putin ha essenzialmente nazionalizzato tutte le grandi imprese.
In alcuni casi, le ha messe sotto il diretto controllo del governo. In altri casi, le ha poste sotto la dipendenza delle banche di Stato.
Per rimanere nelle grazie politiche del governo centrale, ci si aspettava che questi grandi gruppi industriali mantenessero un certo surplus di lavoratori gravante sui loro bilanci. Anche alle imprese rimaste private è stato in sostanza proibito di licenziare anche un solo dipendente.
Ciò ha fornito al popolo russo la sensazione di una illusoria sicurezza economica che perdura tuttora e di conseguenza quella stabilità che rappresenta una parte cruciale della saldezza del patto politico che Putin ha e ha conservato con i suoi elettori durante tutti gli anni del suo potere politico.
Ma un'economia in cui le imprese non possono modernizzarsi, ristrutturare e proporzionare l’organico dei propri dipendenti per ottimizzare i profitti e le riserve finanziarie, non potrà che ristagnare di fatto in breve tempo.
Non sorprende che la crescita del PIL della Russia dal 2009 al 2021 sia stata in media dello 0,8% all'anno, addirittura inferiore al periodo negli anni 1970 e 1980 che ha preceduto il crollo dell'Unione Sovietica.
Il ricatto per le imprese
Dall'inizio della guerra, il governo ha rafforzato ulteriormente la sua presa sul settore privato.
A partire da marzo 2021, il Cremlino ha emanato leggi e regolamenti che danno al governo il potere di chiudere le imprese, assumere decisioni sulla organizzazione e produzione e fissare senza un minimo di contraddittorio i prezzi dei manufatti.
La mobilitazione di massa delle reclute militari indetta il 21 settembre 2022 ha ulteriormente peggiorato le relazioni interne: Putin sta brandendo un altro strumento sulle imprese russe in quanto per preservare la loro forza lavoro, i leader aziendali sono costretti a contrattare con i funzionari governativi per assicurare che i loro dipendenti siano esenti dalla coscrizione militare.
Una lunga strada da percorrere
La Russia potrebbe ancora ottenere una vittoria in Ucraina, anche se non è per niente chiaro per alcun analista come potrebbe concretizzarla.
Oppure, la Russia potrebbe perdere la guerra, un risultato che renderebbe più che probabile la perdita di ogni potere da parte di Vladimir Putin e del suo gruppo dirigente al potere.
Un nuovo governo riformista assumerebbe il controllo politico della Russia e ritirare le truppe d’invasione in Ucraina, prendere in considerazione le riparazioni di guerra e negoziare positivamente una revoca delle sanzioni commerciali.
Conclusione
Perché l'economia russa cresca, avrà bisogno non solo di importanti riforme istituzionali, tangibili e non formali, ma anche di una sorta di “tabula rasa” da praticarsi in tutto l’ambito industriale interno che in questi ultimi anni è retrocesso in maniera sensibile dal 1991 fino ad oggi.
Il crollo dello stato sovietico rese le istituzioni di quell'epoca quasi irrilevanti.
Seguì un lungo e doloroso processo di costruzione di istituzioni innovative e l’aumento della capacità statale di creare un nuovo rapporto virtuoso tra i cittadini e le istituzioni. Non in ultimo si arrivò a ridurre la corruttela dilagante.
Quando Putin salì al potere , smantellò molte imprese istituzionali agenti sul mercato e costruì ex novo il “suo” sistema di gestione clientelare attraverso l’istituzione delle figure e ruolo di potere degli oligarchi, in vigore tutt’oggi.
La lezione storica è davvero poco edificante: anche se Putin dovesse perdere il potere e un successore inaugurasse un nuovo sistema politico con riforme significative, ci vorranno comunque tempi lunghi affinché la Federazione Russa torni ai livelli produttivi e sinergici del settore privato e ad una buona qualità della vita per tutti i suoi cittadini.
Queste sono alcune delle conseguenze di questa guerra disastrosa e a dir poco sbagliata.
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