Il greenwashing nel 2023

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  Alessia Pagano
  28 febbraio 2023
  5 minuti, 24 secondi

Il greenwashing è una pratica di marketing fuorviante attraverso cui un'azienda o un'organizzazione si presenta come più ecologica di quanto effettivamente sia al fine di migliorare la propria reputazione e attrarre i consumatori sensibili alle questioni ambientali.

Questa tecnica è dannosa perché può indurre i consumatori a credere che stiano facendo scelte sostenibili o socialmente responsabili quando in realtà il loro l’impatto climatico rimane invariato se non addirittura peggiora. Attraverso il greenwashing infatti, un’azienda può migliorare la sua reputazione e aumentare le vendite senza effettivamente ridurre la sua impronta carbonica e quindi inquinando di più. Non a caso, i nomi di molte aziende che sono state denunciate per le loro pubblicità ingannevoli figurano anche nelle classifiche dei marchi più inquinanti.

Ma come viene perpetrato il greenwashing? Si tratta semplicemente di bugie e di mezze verità, oppure di una strategia più complessa che si evolve di pari passo con le esigenze di vendita alla luce della sensibilità attuale? E soprattutto, in che modo gli Stati fanno fronte a questo fenomeno?

Tecniche di greenwashing

Occorre innanzitutto precisare che sono molteplici le modalità attraverso cui le aziende possono creare un'immagine più “verde” senza effettivamente andare incontro agli oneri che deriverebbero dal dover effettivamente adeguare le proprie attività allo standard che stanno promuovendo.

Alcuni metodi sono più semplici ma anche più rischiosi per le imprese, che attraverso dichiarazioni fraudolente sulla sostenibilità dei loro prodotti portano campagne di marketing nell’ambito dell’illegalità. Ne sono esempi la scoperta della falsificazione delle emissioni di automobili munite di motore diesel del gruppo Volkswagen nel 2015 o lo scandalo in cui è stato coinvolto l’anno scorso il colosso dell’abbigliamento H&M per aver contraffatto i dati che venivano forniti in merito alla sua linea “Conscious”.

C’è poi chi si presenta come un paladino della natura facendo mostra dell’assenza di agenti nocivi nei propri prodotti. Il fatto che uno spray non presenti Clorofluorocarburi (CFC), è sì un bene perché questi sono incredibilmente dannosi per l’atmosfera, ma difficilmente si può riconoscere a questi marchi una componente di merito dato che i CFC non sono stati usati nei loro prodotti non per una presa di posizione etica da parte delle aziende ma perché si tratta di composti attualmente illegali in 197 Paesi. A tessere le proprie lodi sono anche compagnie che si fregiano di titoli che però non possono dimostrare, come la Nest Labs, che nel 2013 ha fatto vanto di qualità di eccellenza nel suo settore, ma che poi è stata costretta a ritirare quanto affermato perché privo di sufficienti prove in suo supporto. Per questo quando si incontrano “campioni” del settore è sempre consigliabile verificare che questi meriti siano attestati da enti terzi che provvedano un’etichetta di garanzia. È opportuno però che anche queste certificazioni siano accreditate, perché non sarebbe la prima volta che viene fornita l’approvazione da un’organizzazione indipendente non qualificata o che neanche esiste.

Infine, c’è la tecnica più insidiosa: quella di avvalersi di termini come “ecofriendly”, “verde” o “rispettoso dell’ambiente”, che possono essere usati in modo vago e senza un termine di paragone o il requisito di soddisfare dei criteri che siano validi universalmente. In questo modo ogni azienda può far leva sui suoi punti forti e impegnarsi in determinate battaglie tralasciandone altre altrettanto importanti.

La risposta degli Stati

Con l’evoluzione dei mercati si adattano anche le tecniche di marketing, e per far fronte al fenomeno del greenwashing diversi Paesi stanno promulgando leggi per tutelare i consumatori e permettere loro di fare scelte informate senza cadere vittime di simili strategie. Tuttavia, poiché si tratta ancora di un fenomeno relativamente recente, non c’è un vero e proprio accordo su cosa possa essere permesso e cosa no. In molti Stati le aziende possono essere perseguite dalla legge se si avvalgono di pubblicità ingannevoli le cui conseguenze ledono in modo evidente i diritti del consumatore, ma non ci sono ulteriori garanzie contro le tecniche di greenwashing meno evidenti. Solo in alcuni Paesi c’è una maggiore attenzione alla tutela dei consumatori in modo da prevenire le violazioni dei loro diritti anziché punirle. In Canada, per esempio, alcuni termini, come “naturale” hanno una definizione abbastanza stringente da assicurare che le aziende non alterino in modo significativo gli ingredienti, anche se è sufficiente scrivere “con ingredienti naturali” per poter legalmente mettere in commercio un prodotto in cui anche solo un ingrediente rispetta questi limiti, mentre tutti gli altri possono essere notevolmente processati. Gli Stati Uniti, attraverso la Federal Trade Commission, dispongono già dal 1992 di linee guida più precise e olistiche, che sono state aggiornate più volte e che lo saranno ancora a breve, la cui efficacia è però indebolita per il fatto di non essere vincolanti.

È l’Unione Europea finora ad aver adottato più provvedimenti in grado di contrastare il fenomeno del greenwashing. L’ultima è la Corporate Sustainability Reporting Directive, che è stata adottata lo scorso novembre e che dal 2024 imporrà alle grandi imprese di rendere pubblici i dati riguardanti l’impatto ambientale e sociale delle loro attività al fine di promuovere una maggiore trasparenza e responsabilizzazione. In questo modo le dichiarazioni, che prima erano volontarie, saranno meno parziali e selettive circa la natura dei dati che vengono condivisi. Tra le misure più recenti è poi opportuno menzionare la decisione presa attraverso il New Green Deal che vincola le aziende a calcolare il loro impatto sull’ambiente attraverso una metodologia standard, senza quindi poter decidere attraverso quali criteri valutarsi. Verso fine marzo verrà poi reso pubblico il testo delle nuove direttive dell’UE sui green claims, che promuoverà l’armonizzazione delle leggi dei Paesi membri che tutelano i consumatori da pubblicità ingannevoli. In particolare, saranno previste delle sanzioni per le aziende che si avvalgono di termini che non siano verificabili e comprovati. Inoltre si vedrà il debutto ufficiale del Product Environmental Footprint come metodo di stima per la sostenibilità dei prodotti.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://unsplash.com/it/foto/YFiHaY2DVyE

https://www.esg360.it/esg-world/greenwashing-cose-quali-rischi-comporta-e-come-difendersi-le-esperienze-di-chi-ci-e-cascato/

https://esgnews.it/focus/analisi-e-approfondimenti/greenwashing-definizione-ed-esempi/

https://www.youtube.com/watch?v=Em07usLG2oY&ab_channel=DWPlanetA

https://www.youtube.com/watch?v=-xjZ54TFT2o&ab_channel=OurChangingClimate

https://www.ul.com/insights/sins-greenwashing

https://www.wsj.com/articles/SB10001424052702303467004575574521710082414

https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2022/11/28/council-gives-final-green-light-to-corporate-sustainability-reporting-directive/?utm_source=dsms-auto&utm_medium=email&utm_campaign=Council+gives+final+green+light+to+corporate+sustainability+reporting+directive

https://ec.europa.eu/environment/eussd/smgp/initiative_on_green_claims.htm

https://www.wired.it/article/greenwashing-direttiva-ue-greenwashing/

https://economiacircolare.com/sostenibilita-imprese-direttiva-ue/#:~:text=Il%2028%20novembre%20il%20Consiglio,l'ambiente%20e%20le%20persone.

https://www.ftc.gov/

https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/01/25/news/unione_europea_greenwashing_etichette-384764224/

https://www.insideenergyandenvironment.com/2023/01/upcoming-eu-rules-on-green-claims/

https://www.euractiv.com/section/energy-environment/news/leak-eu-to-slap-penalties-on-companies-making-false-green-claims/

https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:ccf4e0b8-b0cc-11ec-83e1-01aa75ed71a1.0012.02/DOC_1&format=PDF

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