Il riconoscimento del diritto ad un ambiente sano come diritto umano

Gli ultimi sviluppi in tema di giustizia ambientale

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  Mariasole Caira
  23 aprile 2023
  4 minuti, 35 secondi

Quello che da molti considerato come il più grande problema del nostro tempo, ovvero il cambiamento climatico e tutto ciò che esso comporta, è ormai un tema ampiamente indagato da parte non solo della comunità scientifica ma anche dalla società civile. Eppure, ancora oggi, non se ne parla abbastanza dei suoi devastanti effetti umanitari, come l’impatto negativo che esso ha sulla vita di milioni di persone e sul godimento dei loro diritti fondamentali. Il diritto stesso alla vita, infatti, previsto all’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, e all’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, non può essere pienamente goduto in condizioni di ambiente degradato, così come il diritto, previsto dall’articolo 25 della stessa Dichiarazione, a un tenore di vita sufficiente a garantire il benessere proprio e della propria famiglia.

La comunità internazionale ha mostrato, dapprima, una mancanza di consapevolezza e di volontà di agire per tutelare i diritti di coloro che subiscono gli effetti del cambiamento climatico. Invece, hanno dimostrato che preferiscono tutelare gli interessi economici dei singoli Stati e anche un’incapacità di dare vita a un’azione urgente ed efficace. Il risultato è una situazione emergenziale, che vede milioni di persone in condizioni di vita insostenibili a causa del degrado ambientale.

Uno dei problemi principali riguarda il fatto che gli individui non hanno avuto accesso agli opportuni strumenti di tutela da moltissimo tempo. Complice anche il fatto che il diritto a un ambiente sano è stato riconosciuto come un diritto inalienabile dell'uomo soltanto in tempi recenti.

È così che i diversi sistemi regionali per i diritti umani si sono adoperati nel tempo per interpretare i rispettivi strumenti in modo tale da farvi rientrare il diritto ad un ambiente sano. Particolarmente importante risulta l’azione svolta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha riconosciuto che il deterioramento ambientale possa impedire alla persona di godere di alcuni diritti fondamentali previsti dalla CEDU, come il diritto al rispetto della vita privata e familiare, previsto all’articolo 8 e il diritto alla vita, previsto all’articolo 2.

Anche le Corti nazionali hanno dato il loro contributo in tal senso: è il caso, in particolare, della Corte suprema olandese che ha emesso una sentenza dal carattere epocale nel caso Olanda contro Urgenda, originato dal ricorso presentato dinnanzi alla Corte territoriale dell’Aja dall’associazione ambientalista Urgenda, la quale richiedeva che le autorità statali fossero obbligate a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra. La Corte Suprema olandese aveva fatto leva sul principio consuetudinario che impone agli Stati il divieto di procurare danno ad altri Stati, interpretandolo, però, estensivamente in modo da far rientrare nella protezione del principio non solo gli Stati ma anche gli individui. Conseguenza di ciò è stato, dunque, il riconoscimento in favore degli individui di un vero e proprio diritto alla riduzione delle emissioni.

Più recentemente anche il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani si è espresso sulla questione, nel caso Teitiota c. Nuova Zelanda: il signor Teitiota ha presentato al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani una comunicazione nella quale affermava di essere stato vittima di una violazione del diritto alla vita. Non avendo ottenuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra, Teitota era stato respinto dalla Nuova Zelanda mentre cercava di ritornare al suo Paese d’origine, la Repubblica di Kiribati. Stato insulare situato nell’Oceano Pacifico, dove, però, l’innalzamento del livello del mare e la conseguente erosione di terreno abitabile aveva creato una situazione sempre più instabile e precaria. 

Le osservazioni del Comitato rappresentarono uno spartiacque, perché in esse viene affermato che il degrado ambientale e lo sviluppo non sostenibile possono influire in maniera negativa sul benessere di un individuo e di conseguenza portare a una violazione del diritto alla vita. Si apre così la strada, per la prima volta in assoluto, a situazioni nelle quali gli Stati saranno costretti a rispettare il principio di non respingimento anche verso territori particolarmente colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.

L’intervento della giurisprudenza, dunque, è stato prezioso, ma il vero passo in avanti è avvenuto con il recente ed epocale riconoscimento dell’Assemblea Generale del diritto ad un ambiente pulito, sano e sostenibile come un diritto umano, avvenuto nel luglio 2022 con una Risoluzione accolta come una tappa fondamentale nel processo di tutela climatica.

Solo qualche settimana fa, poi, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha effettuato un ulteriore passo in avanti in materia di giustizia climatica, adottando una Risoluzione con la quale si richiede un parere consultivo alla Corte Internazionale di Giustizia sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamenti climatici. In particolare, si richiede di esprimere un parere sulle conseguenze legali che dovranno essere affrontate dagli Stati che hanno causato gravi danni all’ambiente con le loro azioni o omissioni.

Le due risoluzioni rappresentano, dunque, segnali positivi. Sono un segno dell'inizio dell’azione della comunità internazionale, volta a colmare le lacune in materia di protezione e a elaborare strumenti di tutela idonei a fornire protezione a coloro che vivono in condizioni di degrado ambientale, in modo che siano finalmente garantiti i loro diritti fondamentali.

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Fonti utilizzate per la stesura del presente articolo:

https://www.ohchr.org/en/press...htt

ps://press.un.org/en/2023/g...

https://news.un.org/en/story/2...http

s://www.unep.org/news-and-...

fonte immagine: https://unsplash.com/it/s/foto...

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L'Autore

Mariasole Caira

Mariasole Caira ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense, a Roma, con una tesi in diritto internazionale dal titolo “Cambiamento climatico e flussi migratori: verso una tutela giuridica per i rifugiati ambientali”.

Durante il suo percorso di studi ha frequentato per un semestre l’Université Catholique de Louvain, dove ha avuto modo di approfondire il diritto internazionale.

È da sempre appassionata al tema dei diritti fondamentali, per questo oggi frequenta un Master di II livello presso l’Università La Sapienza sulla tutela internazionale dei diritti umani.

In Mondo Internazionale Post è autrice per l’area tematica di Diritti Umani.

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Diritti Umani

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Diritti umani Ambiente cambiamento climatico diritto ad un ambiente sano